Poteva andare peggio: #italicum o #paraculum
Ho ascoltato molti interventi ieri, alla direzione del PD, perdendo purtroppo quello incriminato di Gianni Cuperlo che ha fatto saltare i nervi al segretario Matteo Renzi. Il più divertente è stato quello di Franco Marini, mentre il più interessante è stato quello di Walter Veltroni. Il vecchio lupo marsicano ha dimostrato – ai giovani rampanti del Partito – cosa significhi fare politica per passione: avrebbe potuto mandarli gratuitamente a quel paese, dopo lo sgarro della mancata elezione al Quirinale, e invece ecco il vecchio leone sindacalista a commentare la situazione del partito dalla posizione privilegiata di “garante“.
Il primo segretario del PD invece ha voluto sottolineare una cosa molto importante, partendo da un’analisi di Ilvo Diamanti, pubblicata recentemente da Repubblica. L’esperto di statistica ha infatti reso noto un sondaggio molto interessante: il 30% degli italiani è disposto a rinunciare alla democrazia o a porzioni di essa in cambio di “decisioni“. È un po’ una sorte di cinesizzazione della politica: nel paese di Mao, infatti, in cambio di maggior benessere e di decisionismo, si continua a mantenere un centralismo partitico, un monolite quale il Partito Comunista Cinese che di comunista ha solo il nome, ma che sta portando il gigante asiatico verso destinazioni impensabili fino a non molto tempo fa.
Sulla riforma costituzionale prospettata da Renzi, con il superamento del Senato e la revisione del Titolo V, ne ho già parlato.
Per quanto riguarda la legge elettorale essa va decisamente incontro a questa analisi di Diamanti: tutto sommato poteva andare peggio, poteva essere escluso il doppio turno che salvaguardia un minimo di partecipazione popolare alla scelta della maggioranza del Paese. Potevano essere scelte circoscrizioni più larghe e quindi listoni bloccati anziché i collegi plurinominali, come li ha paraculescamente chiamati Matteo Renzi.
Tuttavia – se analizziamo i numeri delle precedenti elezioni – e consideriamo che in Italia il bipartitismo non c’è e non ci sarà mai (siamo fatti così e forse è persino un bene) è indubbio che la legge elettorale proposta da Renzi e Berlusconi, in maniera molto colorita “prendere o lasciare“, è una legge che assicura certamente la governabilità a scapito però della democrazia e della rappresentatività. E persino – direi – dell’autorevolezza del governo che ne scaturirebbe.
Il fatto che un partito o una coalizione – con soltanto il 35% dei consensi – si porti a casa il 53% dei seggi, cioè un premio di maggioranza enorme (18%) – è un fattore certo stabilizzante per il governo ma significherà poi gestire un’opinione pubblica per la maggior parte ostile (il 65% che non lo vota). Paradossalmente a un qualunque partito che oscilli su quella soglia converrebbe restare sotto e giocarsi la legittimazione al ballottaggio: quanto meno chiami il popolo sovrano all’assunzione di responsabilità. Faccio osservare che nel finale della scorsa legislatura, quando il Parlmaneto avrebbe potuto modificare il Porcellum (modifiche che saltarono per colpa del partito del risorto statista Berlusconi, non certo per il PD di Bersani anche se Renzi, la sua segreteria e la totalità dei media devoti al nuovo leader carismatico della sinistra non lo ricordano mai – ah le amnesie!), si propose una soglia del 42,5% che fece imbufalire il PD poiché si pensava fosse la soglia attorno alla quale il centrosinistra ballasse all’epoca. Insomma il premio sarebbe stato del 12,5% anziché il 18%. Non è di poco conto la differenza.
Poi c’è la questione delle soglie di sbarramento: il Porcellum premiava molto i partiti in coalizione (prendeva seggi anche il miglior perdente: alla Camera è infatti presente Fratelli d’Italia) e chiedeva una soglia del 4% per quei partiti che non si coalizzavano. Qui siamo invece alla ghigliottina verso chi si ritiene alternativo ai tre partiti maggiori. Mi si dirà: ma non è il problema dell’Italia quello di avere i partitini? Vero, verissimo. Ora a parte il fatto che naturalmente nessuno impedisce di fare un listone per cercare di arrivare al famigerato 8% o al 5% se coalizzati e poi dividersi in Parlamento (nulla ha detto Renzi e il PD sui regolamenti parlamentari, vero pozzo senza fondo di ogni nefandezza legislativa) il punto è un altro e lo dobbiamo esaminare con i numeri.
Alle scorse primarie quasi due milioni di persone hanno messo una croce sul nome e quindi sulla piattaforma di Matteo Renzi. Se fossero un partito, costituirebbero circa 4% dell’elettorato (circa 43 milioni di elettori), che quindi resterebbe senza rappresentatività né coalizzandosi né – a maggior ragione – restando fuori.
Ma so bene che mele e pere non si possono confrontare: analizziamo dunque i dati delle ultime elezioni politiche.
Nel riparto proporzionale della Camera dei Deputati, nel 2001 – ultime elezioni con il maggioritario uninominale per il 75% (il cosiddetto Mattarellum) – Rifondazione Comunista ottenne 1.868.659 voti, pari al 5,03%, conseguendo 11 seggi (ricordo che sono 630 i deputati). Poiché si accordò per non presentare candidati nei collegi, il partito guidato da Bertinotti ebbe questa “tribuna” che rappresentava circa 1,9 milioni di individui e quindi di istanze sociali e civili. La Lega Nord invece era lievemente sotto, ottenendo il 3,94% di voti grazie a circa 1,4 milioni ma rimase fuori dal riparto dei seggi (per lo sbarramento al 4%). Se non ci fosse stato l’accordo con Berlusconi per il maggioritario, quanti collegi autonomamente sarebbe riuscita a vincere nel Nord? Analoghe analisi si possono fare per le liste di Di Pietro, Casini, Bonino.
Nel 2006 fa il suo esordio il proporzionale corretto, passato ormai alla storia con il nome di Porcellum: ovviamente qui la ripartizione dei seggi è completamente distorta dal premio di maggioranza. Attenzione però a come andarono le cose: sull’intero collegio nazionale il premio scattò alla coalizione guidata da Prodi con il 49,81% dei voti. Insomma il premio in “seggi” fu soltanto del 5,19%. Oggi parliamo del 18%!
Nel 2008 si sfila Casini dal centrodestra e la coalizione di Berlusconi ottiene il 46,81% ottenendo quindi quel premio di 8,19% in più di seggi che avrebbe assicurato una maggioranza se fossero stati in grado di governare. Come è finita, lo sappiamo. L’UDC di Casini ottenne il 5,62% con oltre due milioni di voti. Con la legge appena proposta sarebbe fuori. Idem la coalizione guidata da Bertinotti e l’IDV di Di Pietro – nonostante l’alleanza con il PD di Veltroni – non avrebbe ottenuto seggi perché sotto il 5%.
E veniamo alle ultime consultazioni, quelle che hanno portato al Governo Letta: la Coalizione di Monti entrerebbe in Parlamento per il rotto della cuffia, avendo ottenuto il 9,17% sul collegio nazionale della Camera e con quasi tre milioni di voti. Fuori Lega, Fratelli d’Italia, SEL: partiti che comunque ottengono dai 600 mila voti (FDI) al quasi milione (SEL).
Ecco certamente l’Italicum, che sarebbe in effetti un Paraculum, assicurerà governabilità e questo è un bene. Ma siamo sicuri che sia anche un bene, per la nostra scassata democrazia, non garantire almeno la rappresentatività alle forze politiche che ottengono un milione di voti? È democratica una soglia del 35% – che probabilmente sia Berlusconi che Renzi ritengono alla loro portata, probabilmente senza coalizzarsi – per ottenere il 18% dei seggi in più, a scapito del diritto di tribuna?
E il riparto nazionale non mortifica i territori (come giustamente osservato da Civati) che praticamente saranno insignificanti, allontanando ancora di più i cittadini dal Palazzo?
Naturalmente siamo in attesa di capire quale sia il meccanismo di salvaguardia che D’Alimonte ha annunciato oggi sul Sole ma ci rendiamo conto che la Lega Nord, con tutta la massa di consensi che riesce ancora a mietere nel Settentrione, resterebbe a zero seggi per il perverso meccanismo del collegio unico nazionale? Ci rendiamo conto che non avranno rappresentanza adeguata talune istanze locali anche per il fatto che il Senato non sarà più elettivo ma nominato da altri organi? Dove troveranno sbocco queste istanze?
Certo, poteva andare peggio: potevano essere abolite le elezioni generali, per risparmiare qualche altro miliardo, magari sostituite dai mitici sindaci e dai consiglieri regionali, le famose classi dirigenti locali e vicine alla gente, che tante soddisfazioni ci stanno dando negli ultimi anni e che non dubito non vedano l’ora di farsi qualche trasferta a Roma.
Infine non invidio quei parlamentari, del PD e di Forza Italia, che dovranno votare l’accordo Renzi-Berlusconi a occhi chiusi, senza poter minimamente emendare (così è stato detto ieri) e persino senza poter fare osservazioni o manifestare qualche critica nel merito e di metodo. Specialmente se magari si trovano alla Camera o al Senato in forza di un listino bloccato e non hanno ottenuto preferenze alle primarie.
p.s. Vorrei infine, pacatamente e sommessamente, osservare che ammiro molto la capacità dell’apparato digerente del segratario del PD. Se già provavo difficoltà a immaginarmi in “profonda sintonia” con il Cavaliere, aver sentito dalla voce di Renzi l’espressione di sentimenti di “gratitudine” per il Presidente Berlusconi, per il solo fatto che si è recato al Nazareno a incontrarlo, mi riempi di grande invidia. Non sarei mai in grado di provare “gratitudine” per un uomo che – quando non ha commesso reati, compiuti persino da Capo del Governo – ha posto il proprio “interesse” privato, familistico, aziendale e personale, al centro del nostro Paese e ben prima di tutti gli interessi nazionali, ridicolizzandoci davanti al mondo intero.
Sarà probabilmente la parte di me “calvinista” che non riesce a perdonare “politicamente” il Cavaliere tanto da proferire parole di elogio e di encomio, come ha fatto ieri sera il segretario del Partito Democratico.
Dopo tutti i danni che ha fatto, dopo tutti i miliardi che sono stati bruciati nell’estate del 2011 per l’inerzia del suo governo e per l’insussistenza politica della sua persona, dopo tutte le menzogne che ha detto e le nefandezze compiute, dopo tutte le occasioni che ha ricevuto e non ha saputo cogliere, ecco che forse la “gratitudine” che è un sentimento nobile mi appare un tantino eccessiva.
Ma per fortuna non sono iscritto al PD e quindi non debbo nemmeno pormi il problema di capire qualcosa dei collegi plurinominali, di come scatteranno quei seggi, di come verranno realizzate le primarie per la scelta dell’ordine nelle liste bloccate.