Dove eravamo rimasti?

 In LIFE
Qualche tempo fa, una delle persone a me più care, sapendo che il mio “foglio” stava rimanendo sempre di più intonso, mi incoraggiò scrivendomi in chat: «Non preoccuparti, quando sarà il momento l’ispirazione tornerà». Aveva ragione, anche perché ha quasi sempre ragione! Non avrei tuttavia mai immaginato che questa ispirazione sarebbe tornata nel periodo più drammatico per il nostro Paese dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma tant’è.

Dunque, dove eravamo rimasti?

È trascorso poco più di un anno dall’ultimo post su questo sito. Raccontare l’ultimo anno sarebbe troppo complicato e nemmeno così importante: ciò che posso dire è che è stato una parte importante del percorso che tutti noi compiamo su questa terra. Ho compiuto da poco 48 anni, mi avvicino a una cifra tonda che qualche anno fa mi faceva un po’ impressione e questa cosa mi ha sicuramente avviato in un deciso cambio di direzione nell’assecondare alcune priorità.

Siamo in piena quarantena e per ironia della sorte mi trovo chiuso nella mia dimora romana, quella che quando cominciai a scrivere su questo blog era semplicemente la “casa che mi ospita”. Dieci anni fa salivo su un aereo alle 6:15 di ogni lunedì, trascorrevo quattro notti a Roma (prima in una pensionino e poi qui in questo appartamento) e poi ritornavo in Sicilia. Vivevo praticamente in altitudine – appunto a Trentamila Piedi sopra lo Stivale! – e lottavo per disincrostare le calcificazioni che nel mondo del lavoro portavano a considerare la misurazione della produttività soltanto in termini di “presenza fisica” e forse dopo un bel po’ lo sguardo si posava sugli obiettivi del lavoratore. Ricordo polemiche con i sindacati aziendali per una mia email che esortava tutti a lottare per una maggiore conciliazione fra vita privata e lavoro, fra ufficio e casa, fra azienda e famiglia: “così si alienano i lavoratori, la funzione sociale della collettività!” – mi dissero. Qualche anno più tardi quindi, dopo che per lustri interi abbiamo spaccato il capello sulla distinzione formale fra “telelavoro” e “lavoro agile” (quello che tutti chiamiamo “smart working” ma che la legge che l’ha introdotto ha dovuto tradurre con una aggettivo quasi ginnico, chissà perché … forse perché il governo che l’ha introdotto ha fatto della gioventù e della rottamazione del vecchio una sorta di marchio di fabbrica!), c’è voluto un virus che ha deciso di saltare la specie per mandare in confusione ogni possibile distinzione e sbattere in faccia la realtà a chiunque: capi e capetti, direttori e amministratori, sempre così desiderosi di voler controllare persino i bisogni fisiologici dei propri collaboratori (che spesso invero considerano sudditi secondo l’antichissima e mai tramontata usanza che si è forti con i deboli e deboli con i forti), si sono trovati di fronte all’evidenza che la gente che sta a casa continua a lavorare e spesso produce anche di più e meglio. E chissà che la ragione non sia anche che l’assenza dei propri responsabili comporta qualche rottura di balle in meno di riunioni inutili e di pensose riflessioni congiunte dinanzi a uno schermo, con il risultato che i lavoratori a casa sono più focalizzati sul loro obiettivo di breve, medio o lungo termine e compiono serenamente la loro attività!

Dicevamo dunque dell’ispirazione: non so bene nemmeno io ancora in cosa si traduca, se le storie che ascolto e che mi ispirano si tradurranno poi in un nuovo romanzo o in una serie di racconti. Certo, il coronavirus in sé ha già partorito una serie di titoli meravigliosi: L’amore al tempo del coronavirus, per rendere omaggio all’immenso Gabriel Garcia Marquez, quello più citato su internet. Oppure potremmo scriverci su I quarantenati, magari una serie di racconti di noi forzati dentro le nostre quattro mura. Eviterei di scomodare Silvio Pellico con il suo Le mie prigioni perché siamo sempre confinati dentro casa e poi un po’ di rispetto verso i carcerati dovremmo pur averlo, anche se ormai viviamo in una società dove gli ultimi e gli emarginati anziché sforzarci di aiutarli e recuperarli, tendiamo sempre di più a stigmatizzarli e a colpevolizzarli di non avercela fatta. Come i poveri, d’altra parte, l’altra faccia di una feroce globalizzazione che misura soltanto il successo come cifra distintiva dell’essere umano.

Quindi ancora non so dove mi porterà questo nuovo viaggio ma visto che la mia casa fisica è sbarrata ho pensato che almeno questo balcone sul mondo lo potrei provare a riaprire e a comunicare nuovamente con il mondo. Non credo – giuro! – di voler tornare a parlare di politica per come l’abbiamo vista in passato: non trovo più interessante osservare la cronaca del palazzo e visto che frequento molti giovani mi sembra molto più stimolante scoprire la linfa vitale che viene dal loro mondo, dalla loro inesauribile forza di volontà e dal loro immenso serbatoio di idee ed energie.

Vorrei raccontarvi dei libri che compro (forse troppi) e di quelli che leggo (sempre troppo pochi!), parlarvi di sport come antidoto per l’età che avanza e come farmaco per curare molti dei mali del nostro tempo, confrontarmi sul mondo che stiamo per lasciare ai nostri figli.

Non so ancora con quale frequenza prenderò la penna in mano ma ogni tanto fate una capatina su queste pagine: magari verrà fuori qualche spunto per una bella chiacchierata o anche per un sano litigio!

Ben ritrovati!

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