Venti anni di te e di me

 In LIFE
Ti ho incontrato la prima volta che ero poco più di un bambino ma ancora oggi ricordo l’emozione appena ti ho visto, come quella di un giovane innamorato a cui batte forte il cuore davanti all’amore dei suoi sogni.

Avevo poco più di 11 anni e mi sei sembrata bellissima! Certo, a un ragazzino di prima media, sì sveglio e precoce ma pur sempre un fanciullo, interessava più correre dietro un pallone che ammirarti come meritavi e meriti ancora. Ma quando mamma e papà ci dissero che saremmo partiti per qualche giorno, così da poter seguire la nostra squadra del cuore, a me non sembrava vero: pallone e storia si fondevano e che c’era di più bello che visitare la più bella città del mondo e andare a tifare in trasferta per la tua squadra? Non trovammo biglietti a prezzi abbordabili così papà si svenò per acquistare un intero e un ridotto in tribuna Monte Mario: in 35 anni ci sarei tornato soltanto una volta, per guardare Shevchenko battere i giallorossi.

Nel giugno del 1983, invece, la città era ancora ubriaca dello scudetto vinto da Falcao e Conti, Pruzzo e Di Bartolomei, Nela e Tancredi, mentre l’altra metà, quella biancoceleste, sfidava noi e il Milan per uno dei tre posti per la serie A. Alla fine, nonostante la sconfitta all’Olimpico davanti ai miei occhi, anche il Catania riuscì ad andare in A, giusto coronamento di un periodo magico per la mia infanzia dopo il mundial spagnolo, ancora oggi l’evento sportivo che per me rimane indelebile nei miei ricordi.

Dopo quel primo viaggio alla vigilia dell’estate, sarei tornato a Roma altre volte: l’anno dopo, di rientro dalle Alpi valdostane; nella primavera del 1987, quando il vulcanico preside del mio Liceo si inventò il Pellegrinaggio per la Pace, con tanto di udienza in Campidoglio e in Vaticano, per aggirare il divieto delle gite scolastiche vigente durante quell’anno scolastico e consentire ai suoi amatissimi studenti di fare un’esperienza unica nel suo genere. E poi dovetti attendere quasi un decennio, quando con un’amica trascorremmo due bellissime giornate fra i suoi vicoli dopo alcuni giorni trascorsi a Bologna.

La svolta avvenne così a Livorno: nel febbraio di venti anni fa, sul finire del Corso per Ufficiali di Complemento in Accademia Navale, ci chiesero le destinazioni desiderate: Augusta e Messina furono le mie prime scelte, ma ovviamente andarono ai raccomandati di turno. La terza scelta, che diventava sicurissima se segnavi che avevi a disposizione un alloggio, sei stata tu.

Sono arrivato a Roma sul finire di marzo di venti anni fa e salvo quei tredici mesi passati svolazzando fra Fontanarossa e Fiumicino, proprio quelli nei quali nacque il blog sul quale vi trovate, praticamente non mi sono mosso più da qui. Ho amato l’Urbe visceralmente da giovane, quando a bordo della fiammante Alfa 33 di mio papà, cinque ufficiali di Marina, con evidenti e profondi sensi di colpa per ricevere dallo Stato due milioni di lire al mese per compiere il servizio militare divertendosi come matti, decisero di far crescere l’economia della Capitale spendendo tutto lo spendibile in ristoranti, cinema e gite fuori porta, sul modello delle celeberrime zingarate di Monicelli! Ho provato a tradirti subito, quando si paventò l’occasione di tornare in Sicilia all’Arsenale di Augusta per completare il militare: ma fu un tradimento effimero.

Il 30 settembre del 1998 ero di nuovo a bordo della mia Alfa per tornare nella Capitale e non lasciarla praticamente più.

Ma adesso l’amore furioso e totalizzante della fine degli anni Novanta e dell’inizio del nuovo Millennio, anni spensierati come mai più ne abbiamo trascorsi insieme, ha lasciato il posto a un composto rispetto per la storia di questa città e per l’immenso patrimonio culturale che possiede e che facilita il compito di trasmettere conoscenza a mia figlia.

Nulla di più e nulla di meno.

In venti anni di vita comprendi che Roma ti ha dato moltissimo (lavoro, amori, famiglia, figli, amici, squadra) ma ha anche preteso tanto, come in ogni rapporto amoroso. E adesso, vigilia del nostro ventesimo anniversario insieme, posso serenamente dire che ha preteso persino troppo. Tante volte mi scontro con chi viene a Roma soltanto come turista e rimane incantato dall’accecante bellezza del centro, quello confinato dentro mura aureliane di quasi duemila anni che continuano a stare in piedi, nonostante tutto e tutti! Solo che è facile innamorarsi dei Fori, del Tridente o di Campo de’ Fiori: vinceremmo tutti un premio GAC, come direbbe Diego “Zoro” Bianchi!

Il punto è che diventando adulti, e con responsabilità su altri, Roma diventa un labirinto soffocante, fatto di inefficienza e approssimazione e lo scarto con le altre capitali europee e mondiali comincia a farsi così elevato da vanificare tutto il vantaggio che la città può possedere in termini di patrimonio artistico. Certo, il cielo azzurro terso romano, quello che in questo inizio di primavera sta un po’ latitando, a Milano se lo sognano, per non parlare delle altre città del nord Europa! Ma non di solo bel tempo possono vivere gli abitanti di una metropoli come la nostra, che spesso non hanno nemmeno il tempo di riposare le membra sul divano tanto devono pagare pegno per doversi spostare nel traffico di questa metropoli, combattendo contro le inefficienze pubbliche che – se in provincia possono persino sembrare bizzarre – in una città come questa – la più vasta per territorio d’Europa – diventano spesso la trappola per i suoi abitanti.

La cosa che più mi auguro, nel festeggiare con la mia Roma questo ventennale, è che un po’ di quell’amore giovanile riesca a riemergere, ora che ci incamminiamo lungo gli ultimi decenni della nostra vita insieme: vorrei lasciarla con quel sorriso fanciullesco che mi si stampò in volto quando salii per la prima volta sul Cupolone;  come quando estasiato contemplavo in moto dal Gianicolo i suoi tetti, stretto abbracciato alla mia fidanzata; come quando passeggiavo lungo le banchine del suo biondo fiume, incantato dalla sua grande bellezza.

Auguri, Roma mia e si nun ci sta più l’amore, almeno volemose bene.

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