DisUnione Europea

 In POLITICA

Aleggere la stampa italiana e soprattutto “gironzolando” per i social la questione catalana viene incredibilmente ridotta a una specie di Superclásico in versione politica: Barça contro Real Madrid. Nel paese in cui tutto ciò che è serio diventa incredibilmente patetico e ridicolo (guardate Berlusconi che parla di immigrazione e racconta la storiella del bidet e dei preliminari insegnati ai libici) non poteva che albergare questa sorta di tifoseria per gli uni o gli altri, possibilmente declinando le varie posizioni in chiave italiana. Così abbiamo il paradosso che due partiti fra loro alleati, la Lega Nord e Fratelli d’Italia, si scontrano sul commento all’indipendenza catalana, proiettando su scala italiana le conseguenze del referendum del primo ottobre. Come se fosse minimamente confrontabile la questione catalana con la buffonata della secessione della Padania di bossiana memoria. O come se la questione unitaria e nazionale italiana fosse confrontabile con quella spagnola, visto che noi siamo sempre stati terra di conquista (anche da parte dei cugini spagnoli, colonizzatori da sempre).

In questi giorni mi è tornato in mente il vecchio professore di Lettere al Liceo: ricordo che un giorno ci parlò del sogno degli Stati Uniti d’Europa, gli USE, mutuando l’acronimo statunitense. Stavamo preparandoci alla gita d’istruzione in Francia e alla visita al Parlamento Europeo a Strasburgo. Ricordo che durante quell’incontro ci regalarono una bandiera europea, in un tempo in cui ancora non c’era nemmeno l’obbligo di esposizione della bandiera comune accanto al vessillo nazionale. Erano tempi di grande entusiasmo per il sogno europeo, coronatosi con la prima tappa della moneta unica. Poi però sono arrivate le rogne e le conseguenze oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Penso che se ci fosse veramente stata un’Unione Europea, cioè uno stato federale o confederale sul modello americano o svizzero, la separazione della Catalogna sarebbe stata perfettamente sopportabile. Questo perché viviamo tempi in cui gli stati nazionali sono insufficienti per far fronte alle sfide della globalizzazione e soltanto la dimensione continentale può consentire ai più piccoli di essere protetti, anche quando vogliano autodeterminarsi come oggigiorno vogliono fare i catalani. I quali si sono imbarcati in un’avventura che ha un sapore antistorico se la osserviamo volgendo lo sguardo verso il passato ma che potrebbe apparire perfettamente naturale se ci fosse un’altra dimensione – quella sovranazionale – verso la quale proiettarsi. D’altra parte se nella lingua italiana i termini nazione e stato spesso vengono adoperati come sinonimi ciò non è assolutamente vero in altre lingue e in altri contesti. Si prenda il caso del Regno Unito che si chiama così non per l’unione di “regioni” bensì di “nazioni”: inglesi, gallesi, scozzesi e irlandesi si sentono innanzi tutto tali, altro che british! E, restando in Spagna, le comunità hanno fortissima autonomia (roba da far impallidire gli statuti speciali italiani), spesso con letteratura, lingue e tradizioni proprie – come nel caso dei Paesi Baschi – e che hanno mano a mano negoziato con il governo centrale larghi spazi di autonomia e di autogoverno.

Ed è forse questo il grande limite che l’Unione Europea non ha saputo varcare, quello di trasformarsi in un’unione di popoli e nazioni, dove le spinte secessioniste e indipendentiste potevano contenersi nella più grande comunità di valori, preferendo invece una strada di unione fra governi quando per definizione i governi nazionali hanno l’orizzonte e la vista corti, limitati dalla contingenza del consenso elettorale che devono conquistarsi ciclicamente per restare al potere.

La corsa verso l’indipendenza di Barcellona ha avuto l’accelerazione proprio dalla miopia dei governi nazionali e in particolar modo proprio di quello della Moncloa: se il Partido Popular non avesse contribuito in maniera determinante all’affossamento del nuovo statuto catalano, che Zapatero e Mas faticosamente raggiunsero, probabilmente non si sarebbe giunti al referendum del primo ottobre, con le incredibili scene di violenza che hanno caratterizzato la repressione governativa. Una visione miope e arrogante che ha fatto sì che i catalani reagissero con le armi proprie pacifiche di una democrazia: proteste, manifestazioni e voto. Mai violenze.

A meno che – s’intende – a Madrid forse non si preferiva invece un conflitto più cruento, come spesso è accaduto anche nel loro territorio (i Paesi Baschi hanno un’autonomia enormemente più ampia di quella catalana e sappiamo bene quanto ciò abbia depotenziato il terrorismo nazionalista dell’ETA).

Adesso l’impressione che si ha è che le posizioni siano effettivamente inconciliabili, con la Generalitat che è pronta a dichiarare formalmente l’indipendenza e il governo spagnolo che sembra non abbia altra chance che rispondere per non perdere la faccia, con l’appoggio di una Casa Reale che sembra aver smarrito l’autorevolezza che consentì alla Spagna di superare il golpe del 1981.
Rimane sullo sfondo – per l’ennesima volta – una grande assente: l’Unione Europea, che in maniera pilatesca se ne è lavata le mani e ha derubricato a questione nazionale ciò che sarebbe precipuo e costituente proprio dell’Unione. E al netto dell’abilità comunicativa espressa da questo video si fa fatica a dare torto a questa ragazza che afferma che ciò che sta accadendo in Catalogna non sia affare spagnolo ma proprio dell’intera Unione Europea.

Help Catalonia. Save Europe.

p.s.  ma nel 2017 non potremmo lasciare re e regine, principi e principesse, alle favole dei bambini?

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