Nativi Pendolari
Lasci con il magone la tua terra, oltrepassi lo stretto con il groppo in gola e le lacrime agli occhi: l’hai fatto mille volte eppure ancora non ti sei abituato.
Non hai fatto in tempo a renderti conto di dove avevi riposto le posate del “servizio buono” che subito ti tocca inscatolare di nuovo tutto, coprire mobili e divani e ripartire. È qualcosa che ormai fai due o tre volte l’anno ma che ancora ti provoca sconquassi emotivi e crisi di identità, un dolore lacerante che ti taglia in due come il celebre tonno della pubblicità veniva spaccato dal grissino.
E poi invece c’è lei: a qualche metro di distanza da te, entra ed esce dalle sue case come se fosse la cosa più normale del mondo. Saluta il suo mondo immaginario, i suoi “amichetti” di peluche sparsi nelle due camere da letto che la ospitano da quando è venuta al mondo. In Sicilia ha la camera più grande della casa: era quella dove la sua bisnonna creava gli abiti per mia madre e prima ancora per una dozzina di donne e bambini che la mia famiglia allargata ha visto crescere.
Ama molto la sua stanza catanese e ogni volta che riparte saluta ogni componente del suo territorio: il leone gigante, che sin da piccola aveva issato a guardiano del sonno; Guido “conta e canta”, una macchinina che adesso adopera poco viste le sue “dimensioni”; bambole e peluche che allietano la sua vita catanese. Si prepara la sua borsa e si rimette in viaggio, sempre insieme al suo inseparabile amico della notte, Hyppo, un simpatico ippopotamo di peluche, con il quale dorme da sempre.
E mentre io faccio i conti con la mia realtà di pendolare dei cieli e della terra, mentre risalgo per l’ennesima volta la penisola, con le Calabrie che non finiscono mai e gli ultimi 150 km che ti sembrano interminabili, lei ha perfettamente inserito la modalità rientro e lo gestisce serenamente.
Arrivi a Roma a qualunque orario e sei sempre devastato: non dal viaggio ma del carico emotivo che ogni volta ti porti addosso, per chi lasci laggiù, per quelle rughe che inevitabilmente vedrai sempre più scavate sei mesi dopo, per quella città che ogni volta che torni ti sembra sempre un’occasione sprecata e vorresti contribuire a farla rinascere.
«Vado a giocare un po’ in camera mia che è da molto che non vedo i miei giochi» – ti dice lei, con quell’aria fresca di chi invece ha accettato la sua condizione di pendolare dalla nascita.
E mentre tu giri all’impazzata per casa sistemando valigie e dispense (avete mai visto il bagagliaio di una macchina di un emigrante?), auspicando che la doccia e la nanna arrivino presto, lei è già operativa in camera sua, a giocare con le sue Barbie, a leggere qualche libro lasciato in sospeso nell’altra città.
Vola da un posto all’altro come io non potrò mai fare: perché io lo sono stato forzato mentre lei è una pendolare nativa, una per cui spostarsi di 800 km in una notte è la cosa più normale del mondo.