Il male peggiore

 In POLITICA
Premessa d’obbligo: sono un antifascista convinto. Credo che il Fascismo in Italia e il Nazismo in Germania siano stati veramente il male assoluto – tanto per usare un’espressione (sincera, spero) adoperata da Gianfranco Fini durante la sua storica visita in Israele di qualche tempo fa – che ha colpito l’Occidente nel Novecento e sono convinto che il socialismo sovietico lo sia stato anche per le popolazioni dell’est europeo che hanno pagato salatamente il passaggio dallo zar ai soviet consegnandosi all’autocrazia del Politburo.

Pertanto se fossi francese, probabilmente turandomi il naso, alla fine sceglierei come presidente Macron, visto che una scelta sarei chiamato a compiere, confidando che nelle elezioni politiche di giugno gli equilibri si riescano a compensare (in Francia, come in qualunque paese civile i contropoteri esistono). Lasciar scegliere gli altri – con l’astensione – non è mai stato nelle mie corde.

Tuttavia ultimamente non credo di essere in grande compagnia. Né in Italia, dove abbiamo avuto al governo persino i repubblichini di Salò (Tremaglia sotto Berlusconi, mentre nel secondo gabinetto D’Alema per una settimana Misserville fu sottosegretario, poi dimessosi quando dichiarò di sentirsi convintamente fascista), opportunamente travestitisi da democratici convinti. E neppure in Francia dove sono chiamati – a distanza di quindici anni – a scegliere nuovamente un candidato contro quello del Front National, contro l’estrema destra: nel 2002 Le Pen senior, oggigiorno sua figlia.

La compagnia non c’è più per svariate ragioni: la prima, quella più evidente, è che la memoria si sta consumando sempre di più, come lo stoppino di un lumino al cimitero. Sarebbe stato impensabile, qualche anno fa, vedere il cosiddetto principale partito di centrosinistra, il PD, sfilare a Milano – durante il 25 aprile – ammantato di blu, anzi di blUE, come hanno scritto per sottolineare la festa europea, anziché con i fazzoletti tricolori al collo. E uno scivolone come quello su Coco Chanel, collaborazionista e antisemita, sarebbe stato impossibile perché la cultura nel vecchio PCI-PDS-DS (come l’amava chiamare Silvio) avrebbe adeguatamente informato le nuove classi dirigenti della storia passata.

E sarebbe stato assolutamente impossibile che il PD non usasse la parola “liberazione” preferendo quella di libertà: il 25 aprile non è una festa, è l’Anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo, una ricorrenza storica ben precisa, non una “festa della libertà”, o della patria europea (che non vuol dir proprio nulla): si proponga l’anniversario dei trattati romani quale festa europea e allora sarà normale vestirsi di blu e parlare di festa europea!

E sarebbe infine stato impossibile, qualche anno orsono, che la Brigata Ebraica di Roma fosse stata cacciata dall’ANPI capitolina per far posto agli eredi del Mufti di Gerusalemme, che vedeva di buon occhio il Führer e le sue “politiche” volte allo sterminio degli ebrei.

Quindi mettiamola così: l’argomentazione antifascista comincia a indebolirsi, a causa del costante revisionismo che in molti negli ultimi anni hanno portato avanti (a partire da Pansa sul finire degli anni Novanta) e all’inevitabile scomparsa di molti dei protagonisti, Tina Anselmi in primis recentemente passata a miglior vita.

Assieme a questo affievolirsi della memoria c’è però un altro aspetto che a mio avviso può condizionare le scelte degli elettori, sia in Francia domenica 7 maggio che in Germania a settembre e in Italia quando – vorrà Dio – si voterà: l’alternativa. La lezione americana, con la vittoria di Donald Trump, non è stata compresa a fondo, specialmente a sinistra: dietro l’eleganza e la giovinezza di Macron, che lo fanno un candidato ideale per i giornali, c’è l’ombra enorme di tutto ciò che l’elettore medio interpreta come il male.

C’è un europeismo che ormai è percepito come vessatorio e non come foriero di opportunità: per tanti giovani, soprattutto per coloro che sono nati negli anni Ottanta, il Reno – il fiume più insanguinato d’Europa – è sempre stato attraversabile! Per loro è assolutamente normale trascorrere un fine settimana in una capitale europea, possibilmente senza nemmeno passare dall’ufficio cambi! E anche per parecchi miei coetanei o di poco più anziani, spostarsi in Europa, attraversare i confini, godere dei benefici di un mercato comunitario di libero scambio è ormai un dato di fatto.

Ciò che però la classe politica fatica a comprendere è che la stragrande maggioranza dei loro concittadini sta impoverendosi: non viaggiano più e per loro “low cost” è sempre più sinonimo di discount e di scarti anziché compagnie aeree in grado di trasportarli in altri nazioni e a contatto con altre culture. Che il prossimo 15 giugno sparisca il roaming cellulare per la quasi totalità dei cittadini è qualcosa che non riguarda, poiché fuori dai confini del loro comune, forse al più da quelli della propria provincia, essi non vanno.

Per questa ragione l’equazione fascismo=liberismo, che per molti di noi è una bestemmia laica, per tantissimi comincia ad avere un certo senso. Si attribuisce giustamente a una dottrina economica, e quindi alle persone che la portano avanti, la responsabilità dell’attuale situazione: la recessione, la precarietà nel mondo del lavoro, la crescente diseguaglianza fra ceti sociali, l’assenza di un ascensore sociale che assicuri la mobilità delle nuove generazioni verso l’alto. Per questa vasta sacca di popolazione assume un significato secondario il razzismo, la posizione sui migranti, la contrazione della democrazia: anzi, i migranti, i profughi, i disgraziati di ogni parte del mondo vengono visti come una minaccia e in molti casi come i responsabili dell’attuale situazione sociale. A nulla valgono numeri e dati di fatto: in un’epoca di alternative facts, come impunemente li ha definiti una collaboratrice di Trump alla Casa Bianca, in un’era nella quale le bufale vengono rilanciate in rete come una verità rivelata, moltissimi elettori si formano la loro opinione lasciandosi prima influenzare dalle fake news e poi trasportare dall’emotività del momento. Il libero convincimento dell’elettore è ormai assai meno libero di quanto non fosse in un’epoca pre-social.

Temo quindi che in Europa il peggio ancora non l’abbiamo visto e che domenica 7 maggio Marine Le Pen abbia serie possibilità di vincere le elezioni presidenziali, sebbene difficilmente riuscirà a formare un governo dopo le politiche di giugno: ma se una (post) fascista dovesse arrivare in cima alla più importante democrazia presidenziale dell’Unione, in un paese che ha fatto dei diritti civili la propria stella polare e di esempio per tutti, qualche interrogativo – fossi nei panni dei politici antifascisti – me lo porrei, soprattutto sul ruolo che destra, centro e sinistra hanno svolto nei paesi dell’Unione Europea per far sì che il germe del nazi-fascismo, che noi europei abbiamo dentro come una sorta di virus incorporato e genetico, sia potuto germogliare così tanto e invadere il campo della democrazia così faticosamente e sanguinosamente perseguita nel 1945.

Spero di sbagliarmi ma non mi stupirei troppo se dopo la chioma arancione alla Casa Bianca fra cinque giorni andremo a dormire con una signora bionda che salirà i gradini che portano all’Eliseo.

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