Fuori dalla realtà

 In POLITICA
Ho pochi capelli grigi in testa ma sono abbastanza adulto per ricordare benissimo cosa accadde nel Partito Comunista Italiano quando Occhetto lanciò la svolta della Bolognina. Era il 12 novembre 1989, il muro di Berlino era crollato da un mese e finalmente anche in Italia il legame con l’Unione Sovietica – ormai nei fatti inesistente – poteva considerarsi definitivamente sciolto. Il processo di formazione del nuovo partito, il Partito Democratico della Sinistra, durò oltre un anno e fu nel corso del XX e ultimo congresso del PCI a Rimini, il 3 febbraio del 1991 che la Quercia nacque. Ci fu una scissione, dolorosa ma inevitabile, perché la mozione Occhetto, appoggiata da tutti i “giovani” di allora, fu avversata da pezzi grossissimi del PCI: Cossutta, Natta, Ingrao, Garavini e Bertinotti. Ma il dibattito che precedette la scissione fu drammatico, tragico, di enorme e vasta portata storica. Epocale, come si direbbe con il più abusato aggettivo della nostra recente storia repubblicana.

Ventotto anni dopo la tragedia si ripete ovviamente e dolorosamente in farsa, una macchietta, la caricatura di ciò che un serio dibattito politico-programmatico dovrebbe essere.

Vista dall’esterno, agli occhi di chi ha sempre sperato in una democrazia semplificata ma non semplice, in una rappresentatività prossima al territorio e possibilmente poco televisiva, in una democrazia matura e non infantile, lo spettacolo che i leader – tutti, nessuno escluso – del Partito Democratico stanno offrendo alla collettività diviene grottesco, patetico e ridicolo. Anzi, siamo oltre il ridicolo.

Dopo la conta del Corriere, nella quale si rappresentavano decine di correnti di maggioranza (renziani) e altrettante di minoranza (non renziani); dopo un leader che senza aver fatto nemmeno mezza analisi (figuriamoci un’autocritica!) politica su taluni fallimenti, suoi personali e del governo da lui guidato, offre un Congresso con “rito abbreviato” (cit. Michele Emiliano) per togliersi l’impiccio del dibattito congressuale e poter comandare e fare successivamente le liste elettorali; dopo una minoranza che si divide in tante piccole parti (a proposito, la scissione dell’atomo democratico è assai vicina!) e che appare imbambolata ancora in un eterno dibattito “contro” (ma l’hanno capito che Renzi non vede l’ora di fare un dibattito pro/contro?); dopo tutto questo è assolutamente impossibile riuscire a capire di cosa diavolo si stia parlando in Italia nella cosiddetta politica, che ormai di politico non ha nulla ed è sempre più attorcigliata nei contorsionismi della partitocrazia, l’unica vera battaglia che Marco Pannella ha decisamente perduto!

Immagino stuoli di corrispondenti esteri a Roma divertirsi come non mai perché non c’è assolutamente nulla da raccontare e possono godersi questo anticipo di primavera che sta deliziando la Capitale.

Mentre nel mondo infuriano discussioni attorno a temi enormi quali l’accoglienza, le migrazioni, la guerra, la pace, la globalizzazione, il protezionismo, il lavoro, i diritti, il divario sociale, il dibattito nel principale partito italiano, quello che esprime la maggioranza di governo e ha espresso tre Presidenti del Consiglio di seguito in questa legislatura, è totalmente fuori dalla realtà nella quale tutti noi ci alziamo ogni santa mattina e andiamo a lavorare.

Hanno torto tutti: Matteo Renzi, chiuso nel suo fortino e circondato dal deleterio Giglio Magico, che pensa di liquidare una discussione seria e quasi epocale in meno di un mese, considerando l’investitura popolare come l’unica fonte battesimale possibile e che conti in politica. In pratica è nei fatti un giovane Silvio Berlusconi, senza conflitto di interessi (e senza Olgettine, gliene diamo atto!), che vede nel solo “voto popolare” la democrazia, senza rendersi conto che anche in Corea del Nord votano, così come in Cina, a Cuba, nel Cile di Pinochet (non era Venezuela, on. Di Maio!). Non si rende conto o non si vuol rendere conto (e non so cosa sia peggio!) che il mondo è complicato e le soluzioni semplici non possono mai essere la soluzione per un problema complesso. Un grande partito di massa, come erano il PCI, la DC e il PSI prima della loro deriva autolesionistica, è un partito all’interno del quale si discute per poi raggiungere una sintesi, riconoscendo le ragioni degli altri che non possono avere sempre torto e non possono sempre stare sotto il ricatto di un voto di fiducia o di una mancata candidatura! Non è accettabile! Ma hanno mai studiato la storia dei partiti in Italia? O pensano forse che la linea unitaria con la quale Berlinguer guidava il PCI era frutto di un voto di maggioranza e chi non ci stava s’attaccava al tram?

Dall’altro fronte della “guerra civile” democratica, è tutto un balletto di date, un “esco ma non esco”, pluri-candidature per un posto solo da segretario (Rossi, Speranza, Emiliano, Orlando, forse qualcun altro candidato, chi lo sa!), correnti e spifferi vari che nemmeno ai tempi d’oro d’oro della DC si erano visti così numerosi: ecco tutto ciò risulta interessante per l’opinione pubblica quanto una partita di curling della terza serie dilettanti canadese.

Tutto ciò accade mentre sullo sfondo, che appare sempre meno illuminato e quindi più cupo e minaccioso, il vero dramma del paese, la disoccupazione giovanile, è sempre lì, come una spada di Damocle sulle future generazioni; la “luna nera” del gioco di Baudo di qualche decennio fa che non accenna a colorarsi; la falciatrice di ogni speranza dei nostri giovani, cioè del futuro dell’Italia.

Non trovo altre parole se non vergogna: sì, perché ci sarebbe da vergognarsi se soltanto nel PD fosse rimasto qualche leader in grado di provare pudore di fronte alla colossale presa per i fondelli che tutti loro, maggioranza e opposizione interne, stanno perpetrando ai danni dell’intera collettività.

Volete scindervi? Fatelo!

Volete stare uniti? E chi ve lo impedisce!

Fate quel che volete ma poi non lamentatevi se alle urne la gente non va o se decide all’ultimo di andare e preferisce gli irresponsabili matricolati a voi sedicenti responsabili.

 

p.s. Nel 1996 il centrosinistra abbatté come piccioni i governi prima di Prodi e poi di D’Alema (che si dimise dopo le regionali del 2000) e infine anche la leadership di Giuliano Amato venne sacrificata per far posto alle ambizioni di un sindaco in uscita, Rutelli, che si schiantò sul muro della Casa della Libertà nonostante i cinque anni complessivamente positivi di governo del centrosinistra. Osservo che ventuno anni dopo la lezione non è servita e dopo aver azzoppato Bersani prima di cominciare, Letta dopo un anno (beato lui che s’è trasferito a insegnare a Parigi!) e Renzi (che si è politicamente suicidato il 4 dicembre), adesso è il turno di far vivere a Paolo Gentiloni le stesse emozioni di Amato e di Letta. Bravi. Avete capito tutto dalla vostra storia recente.

p.p.s. l’immagine in alto è tratta da Internet ed è l’Unità quando era l’Unità e non il giornaletto da tiratura scolastica che è diventato adesso.

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