Un paese peggiore
Popolari e Patto Segni si sono suicidati: non hanno capito nulla del sistema maggioritario, persino Mariotto Segni – fautore dei referendum elettorali – non ha avuto il coraggio di schierarsi da una parte e alla fine … altro che bipolarismo! C’è un centro, piccolo, ma c’è. In sala studio si osserva il dovuto silenzio: entra Alessandro, un mio carissimo amico, che appena vede me, così scuro in volto perché sapeva quanto ci tenessi a vincerle quelle elezioni, comincia a intonare: «… e Forza Italia, che siamo tantissimi, tantissimi coglioni che votan Berlusconi!».
È questo uno dei primi ricordi – ormai di quasi 23 anni fa – che conservo del Berlusconi politico. L’endorsement a Gianfranco Fini – vero inizio del suo interesse per la politica – era stato solo l’antipasto. Il resto forse lo ricordate tutti: Scalfaro affida l’incarico al Cavaliere, che vara il primo governo da lui presieduto grazie a tre senatori, fulminati sulla via di Damasco, dopo che erano stati eletti proprio con i centristi: per loro le categorie del trasformismo non sono state scomodate e sono passati alla storia come “salvatori della patria”, in nome della governabilità, che già allora era il totem che veniva agitato (50 governi in 50 anni, dove andremo a finire signora mia!) per mascherare l’inadeguatezza di una classe dirigente sopravvissuta a Mani Pulite e che cercava – come sempre in Italia – l’uomo forte al quale affidare le nostri sorti. Parlare, discutere, far funzionare insomma il Parlamento era evidentemente assai più complicato di sbraitare e prendersela con l’inquilino di turno di Palazzo Chigi. D’altra parte all’epoca c’era Carlo Azeglio Ciampi a Palazzo Chigi nel pieno dei suoi poteri, pur con un Parlamento sciolto. Qualcosa di inaudito nella storia repubblicana e probabilmente persino nel resto dell’Occidente, dove sull’equilibrio dei poteri sono assai più rigorosi di noi. La stessa cosa accadde 18 anni dopo, con un altro primo ministro tecnico.
Ho trascorso questi ultimi 22 anni nella consapevolezza che la battaglia contro Silvio Berlusconi non fosse soltanto una lotta politica bensì innanzi tutto culturale. Perché, come abbiamo anche scritto molte volte qui, il conflitto di interessi non è affare soltanto suo ma riguarda ogni aspetto della vita pubblica. Il controllo dei media, l’impero economico senza limiti e senza regole, la commistione fra sport e politica, hanno rappresentato un liberismo all’italiana dove la parola d’ordine è sempre stata “fate un po’ come cazzo vi pare”, magistrale sintesi di Guzzanti nel celeberrimo pseudo spot della Casa della Libertà.
E dopo 22 anni possiamo tranquillamente dire che noi abbiamo perso. Silvio ha veramente vinto la sua battaglia, ha trasformato l’Italia in un paese a sua immagine e somiglianza, ha dato il via a una serie di pulsioni egoiste e individualiste che il nostro Paese, appena uscito dal secondo dopoguerra, non aveva conosciuto. I grandi partiti di massa, per i quali chi scrive adesso comincia a provare una nostalgia terribile (sarà l’ingravescentem aetatem …), erano riusciti a sterilizzare la darwiniana propensione a farsi gli affari propri portando un minimo di solidarietà collettiva, diritti universali, doveri sociali.
Il Berlusconismo ha invece fatto tabula rasa di tutto ciò che di buono era stato costruito dai nostri nonni, riuscendo a estrarre da ciascuno di noi il Berlusconi in sé, ben celato e neutralizzato da decenni di Prima Repubblica, da una classe dirigente che almeno studiava e non liquidava sessanta anni di storia con una sequela di luoghi comuni, come le nuove e rampanti generazioni continuano a fare quando sono invitate ai vari talk show. E se oggi la principale obiezione che ci viene rivolta, a noi che non vogliamo rassegnarci a “morire” renziani, è che al caro Matteo «non c’è alternativa», essa è la medesima di allora quando c’era B. al suo posto: è stato il primo a personalizzare così tanto la politica che un’intera generazione – quella che ha votato soltanto nella seconda repubblica – ha sempre ritenuto che si scegliessero governi e non rappresentanti, che la “governabilità” e la “stabilità” dei governi fossero un valore, come se la Cina comunista o la Nord Corea, dove i governi sono stabilissimi, fossero quindi una specie di Eden in terra. Ha realizzato il suo sogno di trasformare l’Italia: in peggio, per quel che mi riguarda, e tanto i renziani quanto i grillini non sono altro che il prodotto di questo paese arrogante che Silvio Berlusconi ci ha lasciato in eredità.
Oggi il Cavaliere compie 80 anni: nell’augurargli un ritiro dalla vita pubblica e una lunga vita da pensionato d’oro, scampato alle patrie galere grazie alla fortuna accumulata che gli ha consentito ciò che a imputati “normali” non verrebbe concesso, vogliamo rendergli merito di aver raggiunto i suoi obiettivi.
Mission Accomplished, avrebbe detto il suo amico Giorgino Bush. Ecco, sì Presidente non più Cavaliere, missione compiuta. Gli italiani sono proprio come lei desiderava: ragazzini di terza media nemmeno troppo intelligenti, ottimi consumatori (quando hanno di che consumare), buoni a bersi qualunque cosa pur di allontanare l’amaro calice. Si goda la pensione, le donne, i nipoti: ha vinto lei, anche se l’Italia ha perso.
E pazienza per Alessandro e per me: sono certo che anche lui, quando ci incrociamo sui social a cercare di ragionare con me in mezzo ai troll, si sarà fatto quella ragione che nel 1994, con l’euforia e l’energia dei vent’anni, non riuscivamo nemmeno a concepire.