Grazie lo stesso
Ho ripensato a questa conversazione stanotte, cercando di smaltire l’adrenalina per quelle due ore e mezza davanti alla televisione in attesa di un miracolo, o quanto meno di un tiro in porta dopo l’unico effettuato da Sturaro. No, noi ammalati di tifo per la Nazionale Italiana non baratteremmo mai un campionato e nemmeno una Champions per un mondiale e un europeo: sarà perché in molti dobbiamo sopperire alla mancanza di una seria squadra locale con il tifo surrogato per quelle più blasonate, così il tifo per l’Italia diventa forse la manifestazione di una passione sportiva unica nel suo genere, che si ripete ogni due anni per meno di un mese e che non ha il tempo di essere distribuita e quindi metabolizzata nel corso di una stagione sportiva.
Anche io ho avuto le mie simpatie per squadre più titolate: simpatie rossonere, innanzi tutto, almeno fino a quando Berlusconi non fece del suo Milan lo strumento principale per interferire nelle campagne elettorali e rovinare definitivamente il gioco del pallone con decreti spalmadebiti e conflitti di interesse vergognosi. E poi ho tifato Napoli, quando c’era Maradona, che comunque era sempre una squadra del sud e Diego era Diego! E la Roma, che ancora oggi fra le due squadre della Capitale è quella che mi desta più simpatia e che mi fece impazzire quando recupero otto punti alla Juventus di Trapattoni, per poi crollare in casa con il Lecce, e per la quale ho sofferto come un dannato quella maledetta sera dell’Olimpico contro il Liverpool (sì, lo so, amici romanisti, quella partita non si è mai disputata!). Così quando giocavano in Europa, le squadre italiane hanno da me ricevuto sempre un occhio preferenziale: vale per la Juve beffata da Magath e dall’Amburgo ad Atene, per la Sampdoria uscita sconfitta a Wembley contro il Barcellona, per l’Inter del Triplete a Madrid, per il Parma, il Toro, ecc.
Ma la Nazionale è un’altra cosa: forse nella passione per gli azzurri c’è l’embrione di ciò che politicamente non siamo mai stati e cioè un paese unito. Troppo giovane l’unità nazionale (soltanto 155 anni), troppe differenze fra nord e sud, fra est e ovest, fra il centro governato dai papi e il sud borbonico, fra l’efficienza settentrionale e il calore meridionale. Ma attorno alla Nazionale di calcio ecco che come per incanto steccati non ne esistono più: almeno per me, perché nella mente di commentatori e malati di calcio sui social network, Éder è per esempio un grande attaccante se gioca nell’Inter, mentre sarebbe rimasto mediocre se avesse deciso di continuare a prendere a calci un pallone indossando una maglia blucerchiata (a scanso di equivoci per me De Sciglio fa schifo in azzurro così come nel Milan!). C’è nella passione per la Nazionale la consapevolezza che quei ventitré ragazzi per un mese non sono più alle dipendenze di tifoserie esagitate che vedono il mondo soltanto attraverso l’occhio strabico della loro faziosità, della loro incapacità di pensare sportivamente e lealmente.
Con la stessa lealtà che invece oggi ci porta da un lato a ringraziare la squadra di Conte per le emozioni che ci ha dato e dall’altro a rendere onore alla Germania che oggettivamente è la squadra più organizzata e più solida di tutte le altre in questo Europeo, anzi probabilmente in tutto il mondo calcistico.
Non è certo giornata di pagelle: sono stati tutti bravi i nostri azzurri, anche quelli che hanno fatto gli sboroni e hanno perduto l’occasione di buttare fuori dall’Europeo i campioni del mondo in carica. È stato eccezionale l’allenatore, che soltanto i ciechi antijuventini viscerali potrebbero contestare quando è del tutto evidente che si tratta di uno straordinario coach, un uomo che allena prima che gestisce, un professionista in grado di trasformare una selezione di giocatori in una squadra, insegnando loro calcio giocato e comportamento in campo.
Sulla partita contro i tedeschi c’è poco da dire: abbiamo fatto un solo tiro in porta e se non butti la palla dentro non vai da nessuna parte. Se la Germania avesse raddoppiato sull’occasione di Gomez (solo un miracolo di Gigi Buffon ha evitato il 2-0) nessuno avrebbe mai potuto dire nulla (e già Florenzi “bellodenonna” aveva fatto un numero da circo per evitare un gol praticamente fatto). Certo c’è il rammarico per aver visto poco Insigne, ma questa è sempre la nostra maledetta tradizione dove gli uomini di fantasia, quelli che danno del “tu” al pallone (come si dice dalle mie parti), faticano a trovare spazio nella Nazionale, a meno che il tecnico non sia un altro eccezionale coach, quel Marcello Lippi che schierava tranquillamente sia Del Piero che Totti durante la semifinale mondiale di dieci anni fa a Monaco, finendo per annientare i tedeschi con quattro punte (oltre ai due campioni di Juventus e Roma, nei tempi supplementari il tecnico schierò Iaquinta e Gilardino, con una squadra super sbilanciata in avanti che però aveva una difesa e un centrocampo spaventosi).
Come per la sconfitta contro l’Irlanda quindi non riporto le mie pagelle: meritano tutti un bel 8 i nostri ragazzi, perché ci hanno saputo far emozionare e considerando che squadra mediocre questa fosse è già molto. Chiudiamo però questa rubrica sportiva nata casualmente dopo la vittoria contro il Belgio con le cinque cose da non disperdere nei prossimi due anni:
- La squadra: è il lascito più importante di Conte, quello di aver saputo creare un attaccamento alla maglia non comune. Salvo i tre campioni del mondo, Buffon, De Rossi e Barzagli, gli altri venti non hanno vinto nulla oltre il Po e sarebbe il caso che non facciano i mocciosi come Messi che non vuol più indossare la maglia Albiceleste perché non vince mai (giocasse magari meglio le finali sarebbe cosa buona). In Nazionale si va sempre, anche per fare gruppo e aiutare i più giovani a crescere e a giocare con quelle pressioni addosso.
- Fare di tutto per non far giocare a Montolivo, Marchisio e Verratti le ultime partite con i loro club: troppa sfiga! Non ci possiamo permettere in Russia di non avere centrocampo ed essere costretti a convocare Thiago Motta.
- Inserire quest’ultimo nel gruppo dirigente azzurro: fermo per fermo meglio tenerlo in giacca e cravatta in tribuna.
- Oriundi: anziché naturalizzare qualunque brasiliano abbia un nonno originario di Rocca Priora, magari provare a capire se qualche ragazzetto di quindici anni nelle varie giovanili può emergere. Pare sia così che la Germania sia rinata e così vennero fuori le generazioni dei Cabrini, dei Maldini, dei Baggio, dei Totti e dei Del Piero: i primi due esordirono in nazionale poco più che ventenni, senza peraltro possedere altra nazionalità che non fosse quella italiana (certo entrambi molto belli ma non credo che Bearzot e Vicini fossero così suggestionabili dagli occhi dei due terzini sinistri).
- Buffon: oltre ai test genetici per la clonazione, lavorare urgentemente per rallentarne il processo di invecchiamento, visto che non si intravede all’orizzonte nessuno che minimamente possa tenergli testa come miglior portiere al mondo. È una sicurezza, può e deve battere il record di Dino Zoff. Forza Gigione siamo con te!
Con questo post salutiamo il calcio per qualche mesetto, aspettando l’evento che ogni quattro anni mi tiene incollato al divano in pieno agosto, i Giochi Olimpici, con un’abbuffata di sport attraverso la quale proveremo ad addolcire l’amarezza di questo campionato europeo di calcio: per ovvie ragioni il nuoto è la disciplina che seguirò con più interesse ma non vedo l’ora di godermi il tiro con l’arco, il tiro a volo, la scherma, l’atletica e tutti gli sport di squadra. Con un pensiero come sempre rivolto a chi quand’ero piccolo li guardava insieme a me e mi ha “rovinato” la vita con questa insana passione che molti chiamano sport e noi che lo pratichiamo lo chiamiamo invece “vita”.
p.s. penso che questo screenshot degli azzurri che si preparano attorno a Conte prima dei rigori sia meraviglioso. Con quel De Rossi infortunato e arrampicato sopra i compagni di squadra, con un’attenzione enorme di tutti, tecnici, preparatori atletici, medici e panchinari attorno al loro coach. Pizzul avrebbe detto: «tutto molto bello!»