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 In LIFE, SPORT

C’è un giorno che spero di non dimenticare mai nella vita, se un domani dovessi perdere la memoria, ed è quello che per me fu all’epoca il più bel giorno sportivo della mia vita: l’11 luglio 1982! Mi ero svegliato con tanta adrenalina in corpo e ancora negli occhi l’euforia di qualche giorno prima quando Pablito Rossi si era inginocchiato davanti al perfetto traversone da sinistra di Bruno Conti, insaccando di testa la palla dentro la porta difesa dal portiere polacco Józef Młynarczyk e rimandando i sogni di gloria di Zibì Boniek ai fasti bianconeri degli anni successivi. Con mia sorella, più piccola allora di quanto sia mia figlia adesso, ci eravamo vestiti di verde, bianco e rosso aspettando la finale mondiale contro la Germania. Mi perdoneranno i più giovani lettori di questo blog ma per me il Mondiale è solo quello! La Coppa del Mondo del 2006, a 34 anni suonati e quasi padre di famiglia, è stata un po’ come ordinaria amministrazione, dopo la finale mancata di Roma ’90, la sconfitta ai rigori di Pasadena nel ’94, la beffa del Golden Gol di Trezeguet negli europei del 2000.

Grandi imprese, partite memorabili, cucchiai da infarto: ma il mondiale spagnolo, a dieci anni, è qualcosa che ogni bambino che ama giocare a pallone sogna, immedesimandosi nei propri beniamini, desiderando un domani di urlare come Marco Tardelli.

Ho dovuto attendere 34 anni per “urlare” la mia gioia, partecipando a 44 anni suonati a un evento continentale come i campionati europei di nuoto masters, che si sono tenuti a Londra a fine maggio. E comprendi come la gioia sportiva provata in prima persona, e non riflessa dai gesti atletici di altri, diventi qualcosa di indescrivibile, ti senti padrone del mondo, del tuo mondo, a prescindere dai risultati in sé ma per il solo fatto di esserci.

Forse qualcuno ricorderà ciò che avevo scritto a dicembre e cioè che lo standard time, il minimo per andare in classifica agli europei, l’avevo ottenuto alla prima gare in vasca corta che avevo disputato a Ostia: un mese dopo, resi noti i calendari, avevo deciso di partecipare agli Europei Masters che si sarebbero appunto tenuti a Londra nel mese di maggio, nella stessa piscina dove gli atleti professionisti avrebbero disputato il loro europeo una settimana prima, quattro anni dopo gli stupendi giochi olimpici di Londra 2012. Per tutto l’inverno ho lavorato per un solo obiettivo: entrare in quella classifica.

Iscritto alla gara regina, i 100 stile libero, e ai 50 farfalla erano proprio questi ultimi che temevo maggiormente: il tempo nuotato a Roma era infatti un po’ border line, e sarebbe bastata una sbavatura, un’imperfezione nella fase subacquea, un arrivo scomposto per compromettere tutto e ritrovarsi un NT, No Time, accanto al proprio nome. Fortunatamente la stagione è scivolata via senza troppi impedimenti, a parte una bruttissima rino-sinusite che mi ha tenuto lontano dalla vasca per una decina di giorni a febbraio. Per il resto grande costanza di allenamenti (da tre a quattro volte la settimana), tanta bicicletta per far fiato (ogni giorno lavorativo, evitando quanto più possibile la metropolitana!) e tante, tantissime vasche!

Mano a mano che maggio si avvicinava la tensione si acuiva: sono partito per Londra nelle migliori condizioni fisiche possibili, con una grande voglia di godermi un evento bellissimo e da vivere insieme a migliaia e migliaia di atleti, provenienti da tutta l’Europa, persino da Israele. Sbarcato in perfetto orario a Heathrow ed espletate al volo le formalità di ingresso nel Regno Unito, mi sono diretto immediatamente alle piscine per ritirare l’accredito: le notizie che giungevano infatti dal Parco Olimpico erano terrificanti.

File ovunque all’ingresso: per il pubblico, per gli atleti, per gli accrediti. Così volendo avere il venerdì libero per godermi la “mia” Londra sono arrivato intorno alle 21:30 (con l’orario di chiusura fissato per le 22!): l’impatto con la struttura era semplicemente mozzafiato. Il London Aquatics Centre è un vero capolavoro di architettura moderna, un lascito enorme dell’architetta Zaha Hadid, recentemente scomparsa. È il primo impianto che si vede entrando nel parco dalla stazione di Stratford, la zona di Londra che ospita l’intero Parco Olimpico, prima di arrivare allo Stadio Olimpico.
Ed è un impianto bellissimo di notte e di giorno, con le sue curve e i suoi vetri! Ed è meraviglioso di fuori e di dentro!

Il sabato mattina, emozionato come un bambino mi metto in fila per entrare nell’impianto: a dispetto di quanto uno si aspettasse, l’organizzazione dell’evento masters è stata pessima. Probabilmente non attrezzati a gestire oltre diecimila atleti, gli organizzatori hanno intrapreso una strada assurda, con scelte tecniche incomprensibili, a partire dalle gare più gettonate nel medesimo giorno. Ossessionati – forse anche un po’ giustamente – dal numero complessivo di persone che potessero essere contemporaneamente presenti, il risultato è stato di spalti spesso vuoti e atleti obbligati a file interminabili per entrare nell’impianto, per accedere allo spogliatoio, per cominciare un assurdo riscaldamento della durata di dieci minuti (quando ti andava bene!) sempre che riuscivi a entrare fra i 220 che contemporaneamente potevano sciogliersi (si fa per dire, visto che l’acqua era a 26°C!) in vasca.

In ogni caso l’emozione provata nel primo riscaldamento difficilmente la scorderò: le tribune che si riempivano di colori e bandiere; la piscina, profonda 3 metri, inusuale per i meeting ai quali si è abituati durante le stagioni e quindi assai veloce; l’enorme numero di nuotatori in vasca che sembrava di stare a Via del Corso durante i saldi!

Indossato il costume da gara sono letteralmente volato in Call Room ad attendere il mio turno: fortunatamente quella è stata l’unica fase dell’europeo gestita meglio, sebbene la troppa velocità non ci abbia fatto gustare a pieno quei momenti. Finalmente viene chiamata la nostra batteria e cominciamo a entrare nell’impianto: sistemate borsa e tuta nella vaschetta, aspettiamo il triplice fischio del giudice di partenza. Fischio singolo lungo e saliamo sul blocco. «Take your marks» – intima lo starter. E finalmente è il via! Dura poco un 50 e hai giusto il tempo di leggere il videowall e così urlare tutta la tua soddisfazione: il primo NT è stato evitato!

Decido di rimanere dentro l’impianto: i 100 stile libero stanno saranno chiamati dopo qualche ora, ma di fare di nuovo tutte le file non ho proprio voglia. Provo a riposare un po’ ma ovviamente non ci riesco. Incontro il mio vecchio allenatore di Catania, Marco, uno dei più forti in Europa e nel Mondo per la sua categoria, e almeno il tempo passa. Decido di fare un furbata come peraltro in molti hanno fatto: mi intrufolo nel turno di riscaldamento precedente a quello previsto per la mia età: tutto sommato – mi auto giustifico – fra otto mesi compio 45 anni e già a settembre la mia categoria sarà quella più anziana! Ciò mi permette di riposare – si fa per dire – un po’ di più! L’attesa è lunghissima: in piedi nella piccola saletta di accesso alla vasca rimaniamo quasi un’ora, attendendo che siano esaurite le batterie precedenti!

Faccio in tempo a guardare i 100 di Marco e di ammirarne ancora l’eleganza del gesto atletico: a 52 anni ma nuota ancora da dio! Finalmente ci fanno riscaldare: nuoto giusto 8 vasche, 400 metri per prendere di nuovo confidenza con la vasca. Le luci sono accese e l’impianto dà il massimo del suo splendore: è magnifico!

Mi dirigo in camera di chiamata e cerco la concentrazione aspettando la mia batteria. Scrivo in chat con mia moglie e con i compagni di squadra: tutti sono davanti al PC o al telefonino per vedere lo streaming! Saluto Silvia: ci chiamano! Si entra per l’ultima gara: stavolta me la godo di più! I 100 stile durano poco più di un minuto e quindi ho il tempo di guardarmi attorno e capire meglio dove mi trovo: sono proprio io quello che sta per disputare una gara di nuoto in uno degli impianti più belli del pianeta! Passa quel minuto ed è di nuovo «Take your marks»: prendo posizione e via! Non ricordo più nulla di quella gara, né quando ho virato, né come ho nuotato! So solo che alla fine stavolta il tempo l’ho visto subito ed è stato allora che – finalmente – anche io come Marco Tardelli ho potuto urlare. Proprio io, al quale Madre Natura non ha certo riservato il migliore dei fisici sportivi, vista la “bassezza” e la tendenza a gonfiare alla prima birra (e in Inghilterra si sa non è evitabile …), proprio io che pensavo di dover gioire soltanto davanti alla TV. Proprio io quel 28 maggio 2016 ero riuscito ad evitare un triste No Time. Non soltanto avevo partecipato ma la mia prestazione agli europei sarebbe stata comunque sempre registrata negli annali di questa disciplina sportiva.

Stavolta non c’è Paolo Rossi che si catapulta dentro la porta; non c’è Marco Tardelli, con il missile terra-aria che abbatte Schumacher; non c’è Alessandro “Spillo” Altobelli, che infila per la terza volta la porta tedesca mandando in visibilio il Presidente Pertini; non c’è Dino Zoff che alza sorridente a 41 anni (più giovane di me ora, pensate!) la Coppa: stavolta questo momento è tutto mio e la gioia di quel tuffo e di quelle bracciate mi accompagneranno per tutta la vita.

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