Spes ultima dea
Molti di loro sono stati anche giudici costituzionali e presidenti della Consulta quindi “forse” tecnicamente sono preparati e hanno quella vision che a noi comuni cittadini potrebbe mancare. Riescono cioè a vedere gli effetti sulla legislazione ordinaria e sul funzionamento delle Istituzioni che alla Costituzione rinnovata dovranno poi a loro volta ordinarsi.
Nella vulgata mediatica invece passa l’idea che il referendum sia soltanto un voto secco, Sì o No, per abolire il Senato della Repubblica e risparmiare sui costi della politica. Ora a parte il fatto che l’assemblea di Palazzo Madama non verrà abolita ma cambierà la sua composizione e la sua funzione, il punto è che il disegno di legge costituzionale approvato dal Parlamento senza la maggioranza qualificata dei due terzi (che avrebbero impedito la consultazione popolare) non tratta soltanto del Senato ma di tantissime altre cose, alcune delle quali avrebbero potuto trovare un facile consenso parlamentare se soltanto si fosse stralciato in più progetti di legge di revisione costituzionale (peraltro molti autorevoli giuristi sostengono che la procedura di revisione costituzionale prevista dall’articolo 138 si riferisca proprio a piccoli interventi mentre per riforme complesse come quella della Boschi servirebbe una nuova Assemblea Costituente da eleggere con il proporzionale puro).
Facciamo qualche esempio: la Riforma prevede il superamento del bicameralismo paritario come finora lo abbiamo conosciuto. Questo si realizza già con il solo punto: Il Governo deve avere la fiducia
della Camera dei deputati. C’è qualcuno sano di mente che dopo le elezioni del 1994, 1996, 2006 e 2013 (cioè dopo 4 consultazioni su 6 della cosiddetta Seconda Repubblica) – che hanno visto maggioranze non perfettamente omogenee fra i due rami del Parlamento – possa pensare che in un sistema parlamentare moderno ci debbano essere due camere politiche? Non credo. Serve una diversa composizione del Senato per attribuire le nuove funzioni non politiche? Probabile. Serve una non elettività, passando per una formale designazione dei nuovi senatori? Ma chi l’ha detto? Già l’attuale Carta distingue i due rami proprio per composizione e per modalità di elezione dei suoi membri: mentre la Camera è eletta a suffragio universale secondo una determinata legge elettorale (oggi il cosiddetto Consultellum, proporzionale corretto con sbarramento così venuto fuori dopo la sentenza della Corte del dicembre 2013, dal 1° luglio di quest’anno l’Italicum) e i suoi membri devono essere almeno over 25, il Senato è invece eletto dagli over 25, i suoi membri possono essere soltanto over 40 e la legge elettorale deve essere su base regionale perché la Carta proprio quello prescrive. Cosa ostava al legislatore – nella sua veste di costituente – di prevedere l’elezione diretta dei senatori, visto che ne stava legando comunque il loro destino ai Consigli Regionali, per avere rappresentanti territoriali? Perché il bizantinismo dell’indicazione fra i consiglieri e perché i “sindaci”? E soprattutto che senso ha che senatori così selezionati abbiano così tante funzioni (quelle nuove indicate dalla riforma Boschi, a cominciare dalla revisione costituzionale) a livello centrale se non esprimono il voto politico della fiducia? E perché naturalmente la conservazione dell’immunità parlamentare e della rappresentanza della nazione senza vincolo di mandato quando sono eletti in un determinato organo amministrativo e rappresentativo di un ben determinato territorio?
Questo è soltanto un esempio sul fatto che lo spacchettamento in più quesiti aiuterebbe (e di molto) la comprensione della riforma e il voto ponderato e cosciente dei cittadini, disinnescando il meccanismo del plebiscito sul governo e sul suo capo.
Facciamo un altro esempio: le leggi di iniziativa popolare sono possibili attualmente quando vengono presentate da 50.000 elettori. La riforma ne prevede 150.000 e personalmente sono d’accordo, perché la popolazione è ovviamente aumentata rispetto al 1947. Introduce inoltre una cosa assai positiva: la discussione e la deliberazione conclusiva su tali proposte sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari. Insomma il “cassetto” dentro il quale finora venivano messe le iniziative popolari (la più famosa ultimamente è stata quella di Beppe Grillo sulla legge elettorale prima dell’exploit grillino del 2013) in futuro si potrà svuotare. Inoltre la nuova riforma introduce i referendum propositivi e consultivi, così come vengono “costituzionalizzati” gli incontri con le “parti sociali”. Sono passi avanti verso una maggiore democrazia partecipata e probabilmente avrebbero ottenuto una stragrande maggioranza di voti già in Parlamento se fossero stati stralciati in disegno di legge ad hoc. Sempre in tema di democrazia “diretta” il ddl Boschi prevede l’abbassamento del quorum per i referendum abrogativi: lo si legherà alle ultime affluenze alle urne per le politiche, in maniera tale da disinnescare l’astensione strumentale e ricondurre il referendum all’assunzione di responsabilità i cittadini, recandosi alle urne ed eventualmente votando NO ed evitando quindi l’assurda campagna elettorale dell’ultima consultazione referendaria sulle trivelle. Di contro verrà aumentato il numero di firme necessarie per ottenere questo “sconto” sul quorum, anche se ciò ha una ragione d’essere: 800.000 elettori che chiedono referendum sono più rappresentativi dei 500.000 previsti dall’articolo 75 (che rimane nella sua prima parte sostanzialmente invariato) e quindi vivene evitata la strumentalizzazione dell’astensione fisiologica.
Sono legati i due esempi che vi ho portato, la composizione e la funzione del Senato, con la realizzazione della “democrazia diretta”? Non mi pare proprio, eppure chi è contrario al primo e favorevole al secondo è costretto a scegliere sul menu il “piatto unico” che la casa ha preparato.
Potrei fare altri esempi, come la revisione del Titolo V (che avrebbe tranquillamente ottenuto i due terzi visto che tutti volevano ripristinare alcune competenze statali), come la “corsia preferenziale” per i disegni di legge governativi in cambio della diminuzione e dei paletti sui decreti legge, il cui abuso è stato spesso sanzionato dagli ultimi tre capi di stato, Ciampi, Napolitano e Mattarella (quest’ultimo poco, visto che è in carica da un anno).
Viceversa ci sono gli equilibri, i contropoteri, che invece destano alcune preoccupazioni, visto che sono legate a doppio filo con la legge elettorale della Camera dei Deputati, che non consente un controllo territoriale forte dell’elettorato (i nuovi collegi sono molto ampi rispetto agli uninominali del Mattarellum) così come una scelta del rappresentante e che porta comunque una minoranza anche piccola ad avere la maggioranza dei seggi della camera bassa nell’eventuale secondo turno di ballottaggio che serve per assicurare la governabilità.
Ora se io – che notoriamente non sono un renziano (anzi) e che se la riforma costituzionale sarà un plebiscito sul premier sarò costretto a votare NO – ho esposto brevemente delle parti della riforma che non sono affatto legate le une con le altre e per le quali potrei tranquillamente votare Sì o No a seconda della convinzione specifica, non sarebbe il caso di ascoltare un gruppo di professori che stanno mettendo in guardia dalla disomogeneità del quesito “secco” proprio per tutelare sia la Costituzione vigente che la Riforma in sé? Perché – caro premier e caro PD – legare a doppio filo questo disegno di legge alla sopravvivenza del governo e della sua leadership, quando su alcune parti della riforma si potrebbe persino raggiungere una stragrande maggioranza, anche di gufi, rosiconi e professionisti della tartina che non vedrebbero certamente l’ora di farvi legittamente fuori?
Vorrei votare sulla Costituzione e non su Renzi anche se mi rendo conto che questa ormai – fra una diretta Facebook Live e un live tweeting – è più un’ultima speranza che sta quasi per divenir vana.
p.s. l’altra sera in TV Pierluigi Bersani ha toccato di striscio un problema del funzionamento delle istituzioni che è quella dei regolamenti parlamentari ai quali questo Parlamento non sta mettendo mano. Il problema del “trasformismo” e del funzionamento del procedimento legislativo ha il suo male d’origine proprio lì, perché è nelle commissioni che si dovrebbe lavorare meglio per fare buone leggi e per rappresentare i legittimi interessi dei territori di provenienza (se avessimo un territorio di provenienza, visto che i parlamentari sono nominati e non eletti!).
Per chi volesse leggere il testo della futura Costituzione, comparato con quella vigente e con i vari step di riforma nelle letture successive, ecco il link sul sito della Camera dei Deputati. Se ci fosse stata meno grandeur sono sicuro che qualche buon linguista li avrebbe certamente aiutati nello scrivere meglio alcuni nuovi articoli, che contengono così tanti riferimenti incrociati che il labirinto di Minosse al confronto era una passeggiata.
N.B. l’immagine in cima al post è di AP/LaPresse e ritrae Enrico De Nicola, Capo Provvisorio dello Stato, firmare la Costituzione appena approvata dall’Assemblea Costituente.
(AGGIORNAMENTO 13 LUGLIO 2016: questo è un link più semplice a un documento ufficiale della Camera)