L’arma mediatica contro il Male
Chi si occupa di informazione, specialmente chi di quell’attività ne ha fatto la professione di una vita, conosce gli strumenti adatti per affrontarlo o le “medicine” per mantenere saldi i propri nervi e possiede (o dovrebbe possedere) la competenza e la preparazione per controbattere alla vanità del demonio.
Credo sia per questa ragione, o meglio per il fatto che non ci si fidi più di tanto di Bruno Vespa, che ieri il giornalista abruzzese sia stato travolto da un’ondata di polemiche per la messa in onda dell’intervista a Giuseppe Salvatore “Salvo” Riina, figlio di Totò, il Capo dei Capi di Cosa Nostra e ideatore della strategia del terrore e delle stragi che agli inizi degli anni Novanta hanno sconvolto le nostre vite, balzato agli onori delle cronache per via di un libro autobiografico in libreria da oggi, scritto adesso che si trova in libertà vigilata a Padova, dopo aver scontato una condanna per associazione mafiosa.
Si comprende ovviamente il dolore delle vittime della mafia, in particolare Maria Falcone e Salvatore Borsellino, fratelli rispettivamente di Giovanni e Paolo, i nostri eroi civili che ogni anno ricordiamo insieme nei due giorni dei loro assassini ma che poi per 363 giorni ne calpestiamo gli insegnamenti. Si capisce la preoccupazione e l’indignazione di coloro che a ragione ritengono che non sia né giusto né possibile porre sullo stesso piano vittime e mafiosi e che quindi certe interviste non dovrebbero andare in onda.
A mio parere, tuttavia, il compito del giornalista è anche quello di intervistare il Diavolo: se Hitler fosse vivo non credo ci potrebbe essere un reporter sano di mente che si rifiuterebbe di domandargli conto e ragione dei sei milioni di ebrei uccisi nei campi di concentramento. E rimanendo più ai giorni nostri credo che ci sarebbe (e probabilmente già c’è) la fila per avere un’intervista esclusiva con il Califfo Al Bagdhadi, colui che sta terrorizzando i nostri giorni.
Il punto non è l’intervista, né l’intervistato: il punto è l’intervistatore.
Sul consueto appuntamento giornaliero del Fatto Quotidiano, oggi Marco Travaglio è semplicemente perfetto nello spiegare perché anche Salvo Riina andava intervistato e che l’intervista si deve giudicare dalle domande che gli si sono rivolte, non a prescindere.
Il problema è che Vespa, nonostante sia un enorme professionista e con una esperienza paurosa, non appare più all’opinione pubblica come un serio professionista, specialmente per i suoi atteggiamenti nei confronti di qualunque governo, per la sua spettacolarizzazione del dolore (quante puntate e plastici su Cogne!) e per le sue domande spesso vellutate e non ficcanti come dovrebbero essere.
L’intervista di Enzo Biagi a Luciano Liggio, predecessore proprio del papà di questo nuovo scrittore ai vertici di Cosa Nostra, è studiata nelle scuole di giornalismo proprio per l’atteggiamento che il grande giornalista emiliano ebbe nei confronti del boss mafioso che apparve appunto poco credibile nella sua negazione dell’affiliazione mafiosa così della sua vita criminale. Fu chiaro che fosse il “Male” proprio per come rispondeva e per come guardava la telecamera.
Ovviamente Bruno Vespa non è Enzo Biagi tuttavia non sarebbe onesto se non si dicesse che la sua intervista è stata a mio avviso perfetta. Non ha fatto alcuno sconto a Riina che è apparso reticente e mafioso qual è stato e qual ancora è. Il conduttore lo ha incalzato più volte sul ruolo del padre, sull’assurdità di una vita senza domande verso i genitori relativamente al perché della latitanza, sui suoi sentimenti (freddissimi) di fronte alle immagini di Capaci. L’involontario faccia a faccia con Paolo Frajese, che in un editoriale memorabile sulla cattura del boss asseriva che “stavolta ha vinto lo Stato, abbiamo vinto tutti noi“, rimarrà negli annali della televisione italiana perché ci restituisce un misero ingranaggio di una terribile organizzazione umana di fronte all’evidenza di un’esistenza di un padre che non può essere scissa – come pretende di fare lui – fra un ruolo familiare e il suo curriculum criminale, come giustamente proprio Vespa gli ha fatto notare.
Rimane soltanto un neo (e non vuole essere una battuta per il viso del conduttore RAI): era necessaria questa marchetta a Riina junior proprio in occasione dell’uscita del libro? Questa pubblicità per il libro che ne è scaturita, è giusto che sia stata fatta dal Servizio Pubblico Radiotelevisivo, quello pagato con il canone dai contribuenti?
E a proposito di libri di memorie o di autobiografie di criminali: ieri Vittorio Zucconi raccontava in radio come negli Stati Uniti sia ora vietato, per chi commette crimini efferati, lucrare profitti con memorie e autobiografie. Tra le mille cose inutili che copiamo dagli States, quando impareremo a copiare anche qualcosa che per la collettività può essere buono?
p.s. l’immagine in alto è uno screenshot della punta di Porta a Porta del 6 aprile 2016 – Rai Uno