Cambiaremos?

 In POLITICA
Èda domenica sera che sto facendo una scorpacciata di quotidiani e portali argentini per capirci qualcosa di quello che è accaduto al ballottaggio per l’elezione del nuovo inquilino della Casa Rosada, il successore di Cristina Kirchner, dopo 12 anni di dominio incontrastato, della coppia prima e della sola Cristina dopo, di una famiglia che dal profondo sud del paese, la provincia patagonica di Santa Cruz, è arrivata a governare per oltre un decennio l’Argentina, dopo i due anni di scoppio della più grave crisi finanziaria che la giovanissima democrazia argentina avesse mai potuto prevedere.

Da domenica sera gli argentini hanno voltato pagina e hanno scelto un “calabrese”, Mauricio Macri, imprenditore e figlio di imprenditore, che sinora è stato il Capo del Governo della Capitale Federale, un po’ più di un nostro sindaco, visto i poteri speciali che giustamente tale carica ricopre, anche e soprattutto in considerazione del fatto che si tratta di una città che – con i suoi comuni satelliti – conta una popolazione di oltre 17 milioni di abitanti che vivono, producono e lavorano su un territorio che vede nella sola Capitale Federale circa lo stesso numero dei residenti di Roma (su un territorio che non arriva al 20% di quello romano) e nel complesso della Gran Buenos Aires (circa il doppio di Roma) un numero di abitanti che è oltre cinque volte quello della capitale italiana.

Due sono state probabilmente le novità più consistenti: la prima è che Macri non è un peronista, in un paese che salvo con Alfonsín al ripristino della democrazia e con de la Rua nel 1999, dopo il disastro Menem, si è sempre richiamato al peronismo come base per la politica nazionale, molto autarchica, e all’interno di esso dividersi poi in destra e sinistra, con i Kirchner esponenti teoricamente di quest’ultima e assai amati infatti dagli “antagonisti” di casa nostra.

La seconda novità è l’alleanza politica: Macri – un liberale di destra – ha vinto insieme al variegato centrosinistra argentino (anche loro non si fanno mancare nulla, vero?), alla coalizione civica ARI, Argentinos por una República de Iguales (Argentini per una Repubblica di Uguali) di Elisa Carrió e al tradizionale partito dell’Unión Civica Radical, guidato da Ernesto Sanz e ancora scottato per le botte prese da Ricardo Alfonsín, figlio del mito Raúl, nell’ultima elezione presidenziale. Fatte le debite proporzioni è come se alle nostre ultime consultazioni politiche il centrosinistra guidato da Bersani si fosse coalizzato con Scelta Civica di Monti (insieme alle destre dell’UDC di Casini e di FLI di Fini): quindi una coalizione originale, come a chiedere al popolo argentino il voto per poter governare senza essere peronisti. Anzi: dimostrare che è possibile governare un grande paese come l’Argentina senza rifarsi al peronismo e al suo populismo.

Le sfide che Macri e i suoi si apprestano a compiere sono da far tremare i polsi: a dispetto del successo di Cristina (e prima ancora del marito Nestor) in tanta retorica occidentale – specialmente fra i nostri grillini che ne hanno fatto una sorta di mito per la sua strenua opposizione a non voler pagare il debito estero (anche a noi, ovviamente, ma questo è un altro discorso!) – la situazione del paese sudamericano è molto grave economicamente e socialmente. Innanzi tutto perché banalmente “soldi” in cassa non ce ne sono più! Con la politica di autarchia promossa dai governi kirchneristi, ri-nazionalizzando senza contropartite molti settori industriali – a partire da quello petrolifero – e avviando una politica economica nazionalista che ha comportato la fuga degli investimenti esteri, il denaro per finanziare lo stato sociale sta praticamente esaurendosi, così come le riserve. Inoltre il governo sta continuando a nascondere la verità sullo stato ufficiale dei conti, con un’inflazione che è anche tripla di quella ufficiale e viaggia ormai a oltre il 20%. Gli strenui oppositori della moneta europa, come Bagnai, puntualmente ripresi in periodo elettorale da Salvini, Grillo e Berlusconi, si guardano bene dal mostrare anche questo aspetto della politica dei Kirchner perché sanno che l’inflazione alta è la vera tassa che affossa il ceto medio di una società e infatti in Argentina è ciò che sta accadendo. La crisi economica – che probabilmente porterà il paese a una nuova svalutazione della moneta – porterà inevitabilmente nuovi tagli allo stato sociale, finanziato per il momento a suon di promesse e bonus, come se ci fosse un salvadanaio perpetuo dal quale trarre sempre il filone d’oro.

Ci si augura naturalmente che Macri e la sua strana alleanza riescano lì dove altri hanno fallito perché l’Argentina è un po’ Italia, e non soltanto perché adesso ha un presidente che ha il nostro stesso passaporto. Certo, c’è qualche dubbio (ecco il perché dell’interrogativo “cambieremo?” del titolo di questo post) perché un po’ gli argentini li si conosce, soprattutto perché condensano molti dei difetti che rimproveriamo spesso ai nostri concittadini. Con un livello di corruzione stellare (un barbiere bonarense una volta mi disse che i nostri politici in tema di corruzione sono dilettanti, se confrontati ai loro!) e con una larga fetta della popolazione che preferisce nero ed evasione perché i servizi pubblici sono inefficienti (vi ricorda qualcosa, vero?), è il popolo argentino che deve rimboccarsi ancora una volta le maniche e dimostrare di essere in grado di stare al mondo nel XXI secolo, ben conscio che nessuno su questa terra ti regala nulla e che gli investimenti stranieri – cinesi in primis – forse qualche beneficio alle disastrate infrastrutture nazionali potrebbero anche portare. Solo che quando si stringono patti, e i crediti – come i contratti – tali sono, poi le contropartite hanno la strana pretesa di volerli vedere rispettati. E il cambiamento in Argentina può avvenire soltanto quando la smetteranno di “voler far fessi tutti gli altri” e soprattutto di fare inutile vittimismo. E chissà che se riescono a dimostrare che non serve essere peronisti per poter governare questo paese anche da noi si comprende che non è necessario richiamarsi al berlusconismo (o in futuro al renzismo) per poter governare e riformare l’Italia.

Coraggio, Argentina, rialzati!

E cambia veramente!

In meglio, possibilmente!

 

(photo credit: elaborazione grafica su mia fotografia con un’immagine de la Nacion).

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