Si fa presto a dire Expo
Delusione. Sì, se devo trovare una parola che sintetizzi la mia esperienza Expo questa è sicuramente quella che meglio descrive il mio stato d’animo al termine di quasi sette ore trascorse dentro il sito espositivo, in una giornata iniziata molto presto, poco fuori Torino.
Facciamo una premessa d’obbligo, anche per correttezza nei confronti di voi lettori. Siamo andati a visitare l’Esposizione Universale insieme a dei parenti, anche loro con figli piccoli in età scolare (primaria e infanzia, mia figlia – quasi sette anni – la maggiore dei tre!). Siamo andati di sabato – unico giorno possibile della settimana per tutti noi quattro – e siamo partiti da una cittadina vicino Torino, dove loro vivono, molto ma molto presto per essere un sabato (partivamo peraltro dal lato opposto a Milano)!
In prossimità del capoluogo lombardo, dopo Rho, le informazioni ci dicono semplicemente di proseguire verso il parcheggio di Arese, da dove poi una navetta avrebbe dovuto portarci agli ingressi della Fiera. La coda era abbastanza lunga e ci siamo ritrovati incolonnati per oltre due ore al casello che doveva consentire l’accesso ai parcheggi della Fiera. Seguiamo quindi le indicazioni riportate sui grandi display luminosi che indicavano di proseguire per il parcheggio di Arese per tutti coloro che fossero interessati a visitare l’Expo.
Mentre noi possedevamo il Telepass i nostri parenti restavano bloccati al casello, in attesa di poter pagare l’obolo e continuare l’enorme coda che si era realizzata. In termini temporali eravamo almeno a un’ora – se non di più – di separazione! Quando finalmente ci siamo immessi sulla Milano-Laghi ecco che arrivava la prima sorpresa: l’accesso al parcheggio di Arese era inibito e ci invitavano a proseguire per Lainate verso un’altra area di sosta, ancora più lontana dalla Fiera. Fortunatamente ci fermiamo alla prima stazione di servizio e chiediamo aiuto al personale dell’Autogrill e lì una cortese operatrice (catanese, pensate un po’!) ci suggerisce una via alternativa: anziché proseguire per il parcheggio “proposto” di Lainate (costo 13 euro) andare sul versante opposto e parcheggiare a Rho!
«Sapete, loro vi consigliano di andare al parcheggio di Lainate perché così intascano anche questi 13 euro, ma noi invece vi suggeriamo di andare nella cittadina di Rho, parcheggiare ovunque vogliate perché la maggior parte dei parcheggi sono gratuiti e prendere il treno alla stazione. Con poco più di tre euro a persona andata e ritorno arrivate alla stazione di Rho Fiera, praticamente dove vi lascerebbe la navetta dal parcheggio! Quelli di fuori che lavorano all’Expo sono venuti a vivere proprio a Rho e viaggiano con le ferrovie!».
Beh, certo, a saperlo prima ci saremmo evitati le tre ore di fila …
Fortunatamente la Polizia Stradale interveniva per “liberare” l’autostrada, peraltro pericolosamente intasata, aprendo caselli e svincoli e così i nostri parenti recuperavano il ritardo da noi e decidevamo di seguire il consiglio dell’addetta dell’Autogrill.
Arrivati all’ingresso dell’Expo troviamo ovviamente i corridoi di accesso liberi e non c’è nemmeno bisogno di fare la fila prioritaria per chi ha passeggini: i nostri tre figli sono già devastati dalla stanchezza e la nostra giornata all’Esposizione deve ancora cominciare! Sono tre bambini e due passeggini. A turno uno starà in piedi e io mi rammaricherò per tutto il giorno di non aver portato quello di Elisa, anche se sono quattro anni che non so più nemmeno come si utilizza!
Le prime considerazioni sull’organizzazione dell’Esposizione francamente sono al limite della parolaccia: come diavolo si fa a organizzare un evento così importante senza garantire parcheggi di prossimità e anche inclusi nel biglietto di ingresso? Sì, inclusi, perché non è che abbiamo pagato poco quest’escursione che in teoria doveva servire a sensibilizzare sull’alimentazione, lo sviluppo sostenibile e le risorse naturali: noi tre abbiamo pagato 73 euro (biglietto di un giorno a data fissa per una famiglia composta di tre persone, con due adulti e un minore. I miei parenti di euro ne hanno sborsato 86!) e non potevano permettersi di creare accessi e parcheggi inclusi nel costo dell’accesso all’area espositiva?
Il personale ai varchi di sicurezza lo troviamo devastato dai controlli: si avverte la tensione enorme di dover gestire un afflusso di gente così improvvisamente massiccio dopo che per mesi non si era posto il problema in questa misura.
E qui nasce la prima perplessità di chi vuole visitare l’esposizione con uno spirito critico ma non prevenuto: ma li hanno fatti bene i conti? Insomma in qualunque manifestazione si studiano percorsi e tempi di percorrenza: la sensazione che si ha quando si entra all’Expo e ci si trova di fronte a un susseguirsi di code, a cominciare dal Padiglione Zero e lungo i canali d’acqua sui quali cercano riposo e ristoro i visitatori, è quella che si siano completamente sbagliate tutte le previsioni e soprattutto le modalità di visita ai padiglioni. E attenzione: dire che l’Esposizione Universale sia stata un successo soltanto perché negli ultimi fine settimana c’è stata una calca bestiale non significa nulla. Sin dall’inizio il numero di venti milioni di visitatori era stato ritenuto come “necessario” per poter parlare di successo. Ma sono venti milioni “veri” o drogati? Abbiamo visto negli ultimi tempi un proliferare di biglietti premio, doppi, tripli, che hanno certamente contribuito a creare il mito del pellegrinaggio laico all’Expo che un po’ tutti abbiamo compiuto. Che poi “tutti” è un parolone: coloro che potevano permettersi di scucire per una giornata alla Fiera di Rho oltre duecento euro fra trasporti, ingressi e vitto!
Un po’ troppo per un’esposizione che aveva come tema la sensibilizzazione sul cibo e sull’alimentazione dei popoli più poveri!
Noi non volevamo entrare a ogni costo nei padiglioni: sapevamo che era molto complicato, sebbene le informazioni fossero contrastanti e da quanto abbiamo appreso a posteriori sarebbe stato possibile avere accesso prioritario (per via dei passeggini!) in molti padiglioni. Sul sito ufficiale dell’Esposizione ciò non v’era scritto e quindi siamo andati ben consapevoli di questo e con l’obiettivo di concentrarci sulle architetture e sui temi. D’altronde due foto-viaggiatori come me e mia moglie e due architetti potevano già ritenersi soddisfatti anche solo di poter osservare le realizzazioni.
Il primo impatto con l’Expo sono delle realizzazioni sul tema del cibo: occupano la parte iniziale dagli ingressi della stazione proprio fra il Media Center e il Padiglione Zero: dopo qualche passo l’impatto con il celeberrimo Decumano è impressionante per quanta gente si trovi a percorrere quel chilometro e mezzo.
Ma la delusione qui si fa anche maggiore. Il tema dell’Esposizione, con il quale Milano e l’Italia sono stati premiati con l’assegnazione, era: “Nutrire il pianeta, energia per la vita“, includendo tutto ciò che riguardava l’alimentazione, dall’educazione alimentare alla grave mancanza di cibo che affligge vaste aree del pianeta, alla tematica degli Organismi Geneticamente Modificati. Il diritto inalienabile ad un’alimentazione sana, sicure e sufficiente per gli abitanti della Terra, lo sfruttamento intensivo e non sostenibile delle risorse naturali del pianeta.
La visita all’Expo per me voleva essere anche l’occasione per fornire a mia figlia un’esperienza educativa diversa dalle consuete gite scolastiche: sono infatti arciconvinto che il tema dell’esposizione italiana sia stato fra i più geniali che si potessero proporre per sensibilizzare tutti, a partire dai più piccoli che spesso con il cibo hanno un rapporto particolare, non comprendendo cosa possa essere lo spreco. E sono ragionevolmente certo che quasi tutti i padiglioni dei vari stati e dalle varie aziende avranno probabilmente sviluppato al meglio i loro temi. Tuttavia non comprendo per quale ragione lungo il Decumano e lungo il Cardo, i due assi viari principali sui quali si affacciavano tutti i padiglioni (questa è stata un’ottima intuizione, far sì che tutti i paesi avessero pari dignità sul Decumano), non ci fossero informazioni, display e qualunque cosa potesse informare coloro che i padiglioni non sarebbero mai riusciti a visitare.
Lungo la via principale invece stazionavano delle installazioni di dubbio gusto che rappresentavano prodotti della terra, dall’uva al formaggio, dal maiale (vi risparmio la foto con i maiali finti!) alla frutta.
Qual era il senso di queste rappresentazioni? Quello di tornare alla vita agreste? Beh, io questo senso non l’ho trovato.
Al terzo isolato, sconsolato, ho rinunciato a spiegare il “tema” a mia figlia che giustamente si è annoiata e non ha capito che ci fossimo andati a fare fin lassù: doveva essere un Expo a “misura di bambino” ma al Children Park era impossibile accedervi se non su prenotazione (almeno stando al sito ufficiale, poi magari si scopre che con i passeggini e Cicciobello si sarebbe riusciti a passare comunque!) e l’unica cosa che in quella confusione i bambini hanno visto con piacere è stato lo spettacolo dell’Albero della Vita, con giochi di luce e acqua al ritmo del celeberrimo coro della Traviata di Giuseppe Verdi, eseguito – credo – da Luciano Pavarotti.
Alcune architetture sicuramente sono state interessanti: dal mitico padiglione giapponese, con quel tema a legno molto suggestivo (in generale mi sono molto piaciuti quei padiglioni che hanno adoperato il legno, sicuramente abbastanza in linea con la natura), a quello cinese; da quello dell’Azerbaigian a quello kazako, altro mito di questa Esposizione.
Interessanti fotograficamente anche i padiglioni della Coca Cola (sebbene non abbia capito il perché ce ne fosse uno di un colosso delle bevande gassate che non è che siano così “salutari”, così come i grandi marchi presenti dall’Alitalia all’Enel, da Oviesse a TIM …) e della Vanke, grandi immobiliaristi cinesi.
Il tanto decantato Palazzo Italia francamente non è che mi sia piaciuto moltissimo e il tanto osannato “cemento biodinamico”, che dovrebbe restare “pulito” da sé non era proprio così pulito!
Coloratissimi il padiglione dell’Ecuador e della Turchia mentre incredibilmente Stati Uniti e Iran erano molto più vicini che nella realtà quotidiana con due padiglioni che presentavano coltivazioni verticali che potrebbero essere idee per il futuro sostenibile delle nostre città.
Punto dolente è stato paradossalmente il cibo! Non nel senso che ne mancava ma per il costo incredibilmente alto di quello da acquistare in “strada”, quello cioè che la stragrande maggioranza delle persone avrebbe voluto assaggiare e che aveva prezzi esagerati. Sapevamo bene che i listini dei ristoranti erano decisamente alti e comunque volevamo provare cibo diverso da quello italiano. Ci siamo fermati all’isola con i tipici camion da strada americani, a due passi proprio dal padiglione stelle e strisce. Per darvi un’idea dei prezzi: un doppio hamburger, da loro chiamato “extreme“, con busta di patatine (quelle confezionate intendo, non le tipiche french fries dei fast food statunitensi) e una bibita costava un’ora di attesa e ben 14 euro! Un cannolo siciliano alla ricotta costava 4 euro e vi assicuro che né a Catania né a Palermo potrebbe mai costare tanto! Un bretzel alto-atesino e un tozzo di pane tipico l’abbiamo pagato 7 euro. Un gelato Magnum (Algida e Grom, che ora si sono fuse, erano padroni indiscussi delle gelaterie dell’Expo) ben 2,70 euro: e l’unica cosa che valeva la pena era vedere il gelataio in bici!
Abbiamo chiuso la giornata con lo spettacolo notturno dell’Albero della Vita: idea carina anche se di brevissima durata. Chi come me ha partecipato ai concerti dell’estate catanese del 1995, quella della rinascita durante la sindacatura Bianco, con giochi di acqua, luci e fuochi d’artificio e con un grandissimo direttore d’orchestra come Goran Bregović, è rimasto ovviamente un po’ deluso sia dallo spettacolo in sé che – soprattutto – dalla durata.
Il “Libiamo” della Traviata è troppo poco.
Infine siamo rimasti increduli per un’altra cosa: in un mondo ormai ossessionato dalla comunicazione, con un commissario straordinario per l’Expo, Giuseppe Sala, che ha curato un godibilissimo account instagram, con un governo certamente attentissimo a ogni evento comunicativo e con un premier che non ha mai perso occasione per sottolineare le code (code che ormai sinonimo sono di successo mentre quelle della metro di Roma sono sintomo di inadeguatezza del sindaco capitolino e di incapacità dell’azienda dei trasporti), quello che mancava erano i gadget: 73 euro per una famiglia di tre persone, 34 euro per un biglietto intero, 39 euro per uno “aperto” forse almeno un peluche per i bambini sarebbe stato opportuno donarlo, così come materiale informativo.
L’unica cosa che ci hanno regalato è stato il file pdf con il quale mi hanno spedito via mail i biglietti!!!
Proprio davanti ai varchi c’erano anche le bancarelle con il “passaporto”: per ogni padiglione visitato un timbro, così da poter conservare un ricordo. Ecco la cosa che proprio non si comprende è perché tale libretto dovesse costare cinque euro e non fosse fornito a tutti coloro che oltrepassavano i tornelli! Inoltre appare assurdo che alcuni spettacoli fossero a pagamento: capisco che anche nei grandi parchi di divertimento, da Disneyland a Gardaland, dagli Studios di Hollywood allo stesso parco zoo di Fasano in Puglia, molte attrazioni costino un extra. C’è un “però”: l’Esposizione Universale non è un grande parco dei divertimenti, bensì uno strumento per sensibilizzare le persone su un tema che quest’anno era veramente serio.
Pensare di spillare solo quattrini lo ho trovato francamente molto squallido.
Ah, dimenticavo di raccontarvi qual è stato il padiglione che mi è piaciuto di più: sicuramente quello del Principato di Monaco, realizzato con i container per il trasporto via mare delle merci. Tra quelli che ho visto credo sia stato il più azzeccato, il più in linea con il tema dell’alimentazione, dello sviluppo sostenibile e di come sfamare le aree più bisognose del Pianeta: un messaggio come a dire «utilizzate i trasporti marittimi per “portare” il cibo a chi ne ha bisogno».
p.s. mi sono state fatte notare dal cugino architetto parecchie “stranezze” relativamente alla sicurezza, per non parlare di impianti elettrici troppo invitanti per i bambini. Sarà stata la fretta, saranno stati gli appalti decimati dalle inchieste sulla corruzione, sta di fatto che la proverbiale efficienza milanese mi è sembrata molto meno efficiente di quanto siano soliti millantare i meneghini. E d’altronde la conferma si è avuta tornando quella notte a Rho: una stazione ferroviaria che non ha accesso per disabili e passeggini e che costringe i genitori a prendere di peso le carrozzine, anche con i bimbi beatamente dormiente sopra. Per non parlare di quel povero uomo in carrozzina che chissà se a distanza di due settimane è riuscito a farsi portare dal binario 2 all’uscita della stazione, visto che non c’era scritto da nessuna parte che avrebbe dovuto chiamare per avere assistenza. A volte si dà per scontato che persino in Italia, nel nord super produttivo dell’Italia per la precisione e non nel profondo e assistito Meridione, un disabile sia libero di muoversi senza barriere architettoniche. Invece no, non puoi darlo per scontato. Almeno a Rho!