Democrazia è anche partecipazione

 In POLITICA
Ieri pomeriggio, seguendo le notizie dal Palazzo che raccontavano del mercato delle poltrone in atto, ho preso una decisione: firmare i referendum promossi da Pippo Civati e dalla sua associazione Possibile. La goccia che ha fatto traboccare il proverbiale vaso è stato un tweet apparso sulla mia timeline dove si parlava di un possibile ingresso al Governo di un senatore cosentiniano.

Fino a non molto tempo fa ero molto critico nei confronti delle campagne referendarie: a mio avviso i radicali ne avevano abusato con le vagonate di quesiti di una ventina di anni fa. Il risultato è stato che referendum anche importanti, come quello a esempio dell’abolizione della quota proporzionale del Mattarellum, mancavano il quorum e soltanto tre anni fa abbiamo visto una rinnovata partecipazione popolare per i quesiti che riguardavano i beni comuni.

Inoltre c’è un’importante novità: con la nuova legge elettorale (Italicum) e la prossima riforma costituzionale le possibilità di scelta dei propri parlamentari, da parte dei cittadini, sono di fatto inesistenti, per via del collegio unico nazionale e delle pluricandidature – nella legge elettorale per la Camera – e per l’elezione indiretta (o di secondo livello) dei futuri senatori.

Così ieri sera ho twittato che avrei firmato i referendum: se non si possono votare i parlamentari almeno che sia possibile votare i quesiti referendari.

C’è anche un’altra ragione però: il dibattito politico degli ultimi anni ha allontanato tantissimo le persone dalla politica. L’astensionismo registrato alle ultime elezioni amministrative, elezioni – si badi – dove si eleggono cariche che contano persino più del governo nella vita quotidiana dei cittadini, ha raggiunto livelli allarmanti non soltanto per la legittimità democratica (chi va a votare sceglie, è normale: chi si astiene delega agli altri la scelta) ma per la disassuefazione da parte della gente di poter contare qualcosa nel processo decisionale legislativo. Non sono sicuro di condividere tutti gli otto quesiti proposti da Civati e dai suoi amici ma francamente ho voluto firmarli tutti perché va premiato lo sforzo di questi ragazzi che raccolgono le firme (Possibile è da sola in questa impresa, non ci sono partiti strutturati alle spalle!) e anche va riconosciuto alla gente il diritto di potersi esprimere davanti a questioni serie.

Ecco perché ho firmato gli otto referendum:

  1. Eliminazione dei capilista bloccati e delle candidature plurime (Italicum)
    Se il sistema è proporzionale con preferenza anche i capilista devono conquistarsi i voti! Le candidature plurime sono un’oscenità: per fare un favore all’NCD di Alfano si è creato un meccanismo che fa sì che si voti una lista pensando sia guidata dal “tuo” deputato e poi quel deputato opta per un altro collegio, liberando seggi nel consueto mercato delle opzioni.
  2. Eliminazione della legge elettorale (Italicum)
    Chiunque mi segua su questo blog da quando è nato sa che sono per un sistema elettorale con collegi uninominali, possibilmente a doppio turno sul modello della legge francese e con una soglia per accedere al secondo turno – dal 10% al 15% – che consenta la partecipazione di chi rappresenta tanti voti e quindi poter conquistare il collegio. Magari con un residuo proporzionale per assicurare la rappresentanza (il diritto di tribuna). L’Italicum tutto ciò non lo fa.
  3. Eliminazione delle trivellazioni in mare (per la ricerca e estrazione di idrocarburi)
    Mentre Obama e gli Stati Uniti hanno investito miliardi di dollari nella Green Economy, con conseguenti posti di lavoro nel settore, noi compiamo una scelta vecchia di tre o quattro decenni. Anziché favorire l’economia verde e varare piani strategici per il trasporto pubblico così da incentivare la popolazione a lasciare le auto in garage, si sono autorizzate le trivellazioni. Anzichè la green noi scegliamo la Oil Economy!
  4. Eliminazione del carattere strategico delle trivellazioni (produce deroghe nelle procedure d’appalto)
    Non  ho approfondito la questione, tuttavia il concetto di “deroga” dalle normali procedure d’appalto non dovrebbe valere per nessuna opera, salvo per l’immediata emergenza.
  5. Superamento della politica delle grandi e piccole opere (procedure in deroga)
    vedi punto 4.
  6. Esclusione del demansionamento introdotta dal Jobs Act
    Tra le norme del Jobs Act questa è tra le più odiose: porta indietro di mezzo secolo l’orologio della storia delle conquiste dei lavoratori.
  7. Licenziamenti illegittimi (Art. 18) nel Jobs Act
    Su questo tema ho scritto molto e credo che basti solo una cosa: il lavoro non è soltanto salario ma anche dignità. Un licenziamento illegittimo, senza cioè motivazioni fondate da parte di un’azienda, è un obbrobrio.
  8. Eliminazione del potere di chiamata del preside-manager
    La riforma della scuola non l’ho studiata e non intendo farlo. Ho qualche perplessità sul ruolo del preside-manager non tanto per il suo “potere di chiamata” quanto per il fatto che “manager” non ci si inventa con un corso e la prova provata sta nello stato penoso in cui versano molte aziende sanitarie e ospedaliere, dove sono i medici a essere nominati direttori.


Ah, dimenticavo: ricordo ai lettori che nel dicembre 2013 – pur riluttante per la partecipazione – non ho votato Pippo Civati alle primarie del Partito Democratico (scelsi Cuperlo) e non sono nemmeno un socio di Possibile. È che di fronte alla possibilità di allargare le possibilità di partecipazione democratica ho pensato fosse utile anche una firma. Parafrasando Gaber: democrazia è anche partecipazione.

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