Se adesso tocca a me

 In LIFE
La prima Pasqua da fresco abitante romano mi capitò qualche giorno dopo il mio arrivo in città. Ero stato assegnato al Ministero della Difesa, fresco di nomina dopo il corso per gli Allievi Ufficiali di Complemento in Accademia Navale. Poiché non sapevo come muovermi fra ammiragli e colonnelli non chiesi nessuna licenza: così il Venerdì Santo del 1998, che peraltro coincideva con il giorno del mio onomastico, presi l’unico volo rimasto che riusciva a portarmi quanto più a sud possibile: a Lamezia Terme. Uscito dall’aeroporto, cercai qualche indicazione che mi dicesse come raggiungere la stazione: invano. Presi quindi un taxi e finalmente salii sul treno che mi avrebbe portato a Villa San Giovanni. Traghettai “a piedi” – come diciamo noi isolani intendendo l’attraversamento dello Stretto senza automezzo e non per qualche virtù divina – e sbarcai finalmente a Messina dove mio padre era venuto a prendermi.

Trascorsi tre giorni a casa e la notte fra la Pasquetta e il martedì dopo Pasqua ritornai a Roma sdraiato su una di quelle cuccette dei carri bestiame che portavano noi emigranti dal sud al nord dello Stivale, di fronte alle quali i moderni treni ad alta velocità assomigliano praticamente a una specie di Buckingham Palace viaggiante.

Su oltre diciassette anni di vita nella Capitale raramente ho trascorso le feste comandate a Roma, specialmente il Natale. E ogni volta alla fine delle feste era sempre lo stesso rito: i saluti con parenti e amici uno o due giorni prima della partenza, l’autostrada verso Fontanarossa, l’abbraccio con papà che ci accompagnava. Poi a poco a poco i viaggi si sono diradati: da un lato un calendario scandito ormai dagli impegni scolastici e dall’altro la crisi economica che morde tutte le famiglie del ceto medio, nessuna esclusa, e che ci impedisce a volte di programmare viaggi e vacanze nei periodi più caldi dell’anno.

Così stamattina è stato il mio turno: ho accompagnato mio padre all’aeroporto di Fiumicino dopo una breve ma intensa vacanza pasquale che lui si è regalato e che ci ha regalato, per la gioia soprattutto della nipotina che se l’è sequestrato per quattro giorni! È stato strano accompagnarlo allo scalo romano. Non che non l’avessi fatto prima: è capitato innumerevoli volte di portarlo alla stazione o all’aeroporto, sia a Catania che a Roma. Solo che oggi era la prima volta che capitava dopo le “Feste Comandate”. Sulla pagina Facebook di questo blog ho letto un commento a una foto nel quale si applaudivano questi “genitori” che andavano a trovare i figli sparsi per lo Stivale per Pasqua. A me – confesso – questo commento ha invece messo un po’ di tristezza: non per la presenza di papà. ovvio!, ma per via del fatto che sarebbe semmai naturale il contrario: i figli che tornano a visitare i vecchi. Sarebbe più logico insomma che siano i giovani ad andare a trovare i genitori, riunendosi per le feste attorno alla loro tavola: invece oggigiorno accade sempre più frequentemente il contrario, con l’effetto sempre più penoso di un Meridione che si sta svuotando sempre di più.

E il fatto che a dettare questa continua assenza siano le sempre più labili condizioni economiche delle famiglie rende ancora più malinconica questa emigrazione del nuovo millennio, rendendo le nostre città del sud, belle, assolate e calorose, sempre più distanti e più lontane da noi che non solo abbiamo dovuto lasciare gli affetti ma che adesso – con la cinghia che si stringe – non abbiamo nemmeno più tante possibilità di respirare i nostri odori e di assaporare i nostri sapori.

 

p.s. la foto che vedete in cima l’ho scattata ieri in un agriturismo: tutta la famiglia riunita attorno al patriarca e intenta ad osservare tre piccole signorine, felici e festanti fra natura, giochi e animali.

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