Spremuti come limoni

 In LIFE
Forse a molti, che quella mattina di fine estate videro l’orrore materializzarsi in quattro bestioni del cielo usati come missili dai terroristi al soldo e al comando di Osama Bin Laden, quanto sto per dire potrà apparire quasi blasfemo, specialmente negli States. Quando George W. Bush annunciò che tra le misure di sicurezza – dopo l’attentato alle Torri Gemelle – ci fosse anche la blindatura della porta della cabina di pilotaggio, il mio primo pensiero andò a un film-cult: “L’aereo più pazzo del mondo”. Ricordate, vero? I piloti che si sentono male per il cibo avariato e uno dei passeggeri, ex pilota, che riporta a terra l’aereo con l’aiuto dell’ex fidanzata (poi si riconcilieranno), hostess proprio su quel volo.
La scelta del 43º presidente americano – dettata ovviamente dall’orrore di quella tragedia – la trovai troppo emotiva: un attentato come quello del settembre 2001 non è così facile da replicare e infatti non lo si è più concepito, preferendo attaccare a terra prima a Madrid e poi a Londra.
Eppure a tutti all’epoca sembrò una misura necessaria per sentirci più al sicuro.
Quattordici anni dopo, un pilota addestrato e fra i più bravi, come i riconoscimenti ottenuti dalla FAA attestavano, ci pone davanti a una realtà che sfuggiamo tanto è dolorosa da credere. E apre ancora dibattiti sulla sicurezza, sul cockpit blindato, sulla presenza di due persone in cabina, sul diritto alla privacy per alcune tipologia di lavori che comportano la responsabilità di altre vite, lasciando senza parole una società – quella tedesca – che della propria efficienza ha sempre e giustamente fatto vanto.

Il fatto è che mentre abbiamo reso queste macchine sicure come non mai (l’Airbus 320 ha fatto perfettamente il suo dovere, ha funzionato alla perfezione fino allo schianto, purtroppo … verrebbe da dire) per la macchina più delicata – l’essere umano – non abbiamo fatto altrettanto: anzi.
Nell’euforia del trasporto a basso costo spesso non ci rendiamo conto di quanto siano sottoposte a eccessivi stress le vite di coloro che per qualche ora hanno il potere di vita o di morte su centinaia di passeggeri.
E mentre alcuni giornali scimmiottano i social network, urlando sdegno contro i “crucchi”, non ci rendiamo conto che viviamo in mezzo a potenziali “bombe”, siano esse sotto le spoglie di autisti, camionisti, piloti. “Bombe umane” caricate da uno stile di vita sempre più lontano dal normale, con ritmi lavorativi frenetici e francamente disumani, pause fra i turni sempre più ridotte, impossibilità di relazioni stabili, durature e appaganti.
Così noi svolazziamo sui cieli, a trentamila piedi di altitudine godendoci il panorama; viaggiamo lungo le nostre autostrade, maledicendo i camionisti che ci oscurano la vista delle montagne e delle vallete e ci rendono il viaggio meno rilassato; scriviamo un articolo (questo) su un treno ad alta velocità: accuditi da coloro che per qualche istante, minuto, ora, hanno la responsabilità sulla nostra stessa vita.
Forse ci penseremo due volte la prossima volta che sbraitiamo contro i piloti che pretendono di più da trattative sindacali nelle quali noi guardiamo soltanto all’aspetto economico mentre quasi sempre ciò che pretendono piloti e assistenti è semplicemente un ritmo di vita e di lavoro più umano.
E noi che viaggiamo – per lavoro o per piacere – saremo disposti a pagare di più i nostri biglietti, saremo pronti ad accettare il fatto che i nostri voli costino un po’ di più, in cambio di un pilota che abbia una vita più “umana”, pur non potendo esserci una totale rassicurazione sulla follia che può prendere a una persona?

 

p.s. la foto che vedete in alto l’ho scattata giovedì scorso mentre ammiravo il nostro Paese a bordo di un aereo che mi portava a Torino: a due passi da me, quel cockpit blindato e dentro due uomini, due colleghi di quel Andreas Lubitz che ha compiuto la strage in Alta Provenza. Ho preso tante volte aerei, a volte in giornata come se fossero realmente degli autobus dei cieli, eppure per la prima volta l’altro giorno mi sono fermato a riflettere un attimo sull’enorme stress che quei due signori in cabina dovevano sopportare, proprio mentre noi ci godevamo lo spettacolo che soltanto il nostro Stivale ci regala.

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