Perché (ancora) un altro blog

 In POLITICA
Q uasi cinque anni fa, il 26 maggio 2010, cominciava l’avventura di questo blogTrentamila Piedi sopra lo Stivale” con questo post. Mi scuserete per questa autocitazione:

Le ultime iniziative che limitano la libertà di stampa in Italia mi hanno spinto ad accelerare questa sperimentazione: nel nostro Paese si vive in una situazione di democrazia condizionata, con un Governo ed una maggioranza parlamentare che stanno minando alle fondamenta stesse della nostra Costituzione, cercando da un lato di tappare le orecchie e di chiudere gli occhi ai cittadini, dall’altro operando affinché le bocche di giornalisti, opinionisti ed intellettuali rimangano le più chiuse possibili.

La notte successiva a questo post l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, mentre si trovava in visita ufficiale in Francia, telefonava alla Questura di Milano per sollecitare la liberazione e il successivo affidamento di una minore – Karima el Marough in arte Ruby Rubacuori – alla Consigliere Regionale della Lombardia Nicole Minetti, la quale a sua volta la affidò a una prostituta brasiliana, Michelle Conçeicao. Cominciò in quel preciso istante una vicenda che ha tenuto inchiodato un’intera nazione, ha condotto nel ridicolo il nostro Paese nel mondo e ha persino condizionato le scelte democratiche che in una qualunque democrazia occidentale sarebbero state compiute, portando il Paese alle elezioni anticipate ben prima che dovesse essere chiamato Mario Monti per recuperare la credibilità internazionale perduta. Cinque anni dopo la Corte Suprema di Cassazione ha messo la parola fine al primo dei tre processi che sono scaturiti da quella telefonata, il più importante perché riguardava direttamente lo stesso ex Primo Ministro, e ha confermato la sentenza di appello con la quale la condanna in primo grado per Silvio Berlusconi è stata ribaltata. Giornali, radio e televisioni – ancora una volta con un coro quasi univoco e “pigro” – continuano da tre giorni a ignorare fatti ormai anche giudizialmente incontrovertibili. Primo: l’ipotesi di reato non era campata in aria, altro che processo politico! Il fatto è esistito e soltanto l’intervenuta e ormai celeberrima Legge Severino ha potuto salvare Silvio Berlusconi dalla condanna in quanto il reato di “concussione per induzione” non esiste più. La concussione esiste soltanto per violenza e minaccia: valli a trovare questi pubblici ufficiali che massacrano di botte o minacciano con un coltellino svizzero il funzionario che non vuol farsi corrompere! Secondo: l’avvocato della difesa, il famoso Prof. Coppi, ha ammesso candidamente che loro non contestavano affatto il “contesto prostitutivo” delle cosiddette “cene eleganti”. Hanno solo ed esclusivamente affermato che Berlusconi non conoscesse proprio la minore età di Karima, come già il collegio in appello aveva statuito. Questi contesti, quindi, proprio eleganti non erano, per stessa ammissione dell’avvocato difensore.

Se le vicende giudiziarie di Berlusconi sono terminate (per ora) è assolutamente improponibile che dopo cinque anni di Ruby, ventuno anni dalla sua discesa in campo, quattro esecutivi da lui guidati, otto anni circa complessivi al Governo più un altro anno abbondante di leader del partito di maggioranza relativa (Governo Monti), noi in Italia si torni a discutere se l’ex Cavaliere debba tornare in campo, se possa negoziare ancora un altro Nazareno, se sia ancora l’uomo in grado di federare i moderati (perché esistono in Italia i moderati?) e costruire una destra europea che purtroppo nel nostro Paese non è mai esistita e – temo – non esisterà mai. Converrete con me che dopo cinque anni, circa ottocento articoli di politica, chi scrive si sia veramente stufato: ho sempre amato il Giornalismo e la Politica, ponendo l’enfasi sulla maiuscola di entrambi i sostantivi. Tuttavia ci rendiamo conto che in Italia la seconda non ha praticamente cittadinanza mentre il primo è fortemente obnubilato da una sorta di soggezione di fronte al potere politico, incapace di incalzare e denudare il “re” di turno. Anzi.

Cinque anni fa parlavo di democrazia condizionata perché non possiamo certamente pensare di essere in una dittatura (e quelli che usano tali termini per riferirsi alla situazione attuale dovrebbero darsi una secchiata d’acqua gelata in testa per rinsavire!) ma sicuramente la nostra è una democrazia in pessima salute. Quando il giornalismo rinuncia al proprio mestiere, preferendo il rumore scomposto di fondo e il tornaconto di un’intervista in più; quando la stampa non reclama più per sé il ruolo di contropotere che avrebbe in qualunque altro Paese occidentale, preferendo nella migliore delle ipotesi a ridursi a “cassa di risonanza” di un partito o del governo, nella peggiore addirittura “house organ” di un movimento politico, allora vuol dire che la malattia del Paese è ormai gravissima.

Ma significa ahimè anche un’altra cosa: che Silvio Berlusconi, con il suo modo di concepire la vita e la società in questi venti anni che abbiamo semplificato con il termine Berlusconismo, non ha soltanto vinto: ha stravinto, ha stracciato chiunque abbia cercato di ragionare di conflitti di interesse, istituzioni, concentrazioni di mercato, libertà di stampa, televisione, pari opportunità per tutti.

Quando l’opinione pubblica non riesce più a discernere fra fatti e menzogne, confusa proprio da chi i fatti dovrebbe raccontarli; quando la maggior parte di editorialisti e commentatori rinunciano al proprio ruolo di opinion-leader, preferendo giocare al massacro mediatico delle minoranze; quando il significato di una sentenza definitiva viene totalmente stravolto, facendo passare Berlusconi da vittima di mala giustizia, senza chiedergli conto del perché e del per come egli sia scivolato verso una deriva personale che ha comportato persino rischi per la nostra sicurezza nazionale (cos’altro ci può essere di alto rischio quando il Primo Ministro di una potenza industriale è sottoposto al ricatto di un gruppo di escort o di ragazze disposte a tutto pur di spremere il limone?), allora vuol dire che noi ci illudiamo di vivere in una democrazia sana, che è cosa assai più complicata e delicata di andare qualche volta a votare. Persino in Unione Sovietica – ogni tanto – il popolo veniva chiamato al voto ma nessuno sano di mente potrebbe mai sostenere che il “paradiso” dei lavoratori fosse un paese democratico.

Chi ama la Politica (sempre maiuscola!) ha l’obbligo di distinguerla dalla “cronaca politica”, dal chiacchiericcio dei palazzi, dal tatticismo esasperato in nome della mera conquista del potere. Forse ci sarà meno da scrivere e probabilmente non sempre questo è un male: esiste tanto altro da raccontare e chi ama la scrittura troverà certamente un filone attraverso il quale confrontarsi con i propri lettori.

Ma per la politica italiana io mi fermo qui: ho perso anche io.

Ho sperato che nel nostro Paese – rimosso il macigno di Berlusconi – si potesse avere una seria democrazia.

Ho sognato che anche da noi – così entusiasti nell’importare il modello anglosassone del mondo del lavoro con il Jobs Act – si riuscisse a copiare anche la legislazione sul riordino del sistema televisivo pubblico, sbattendo fuori la politica (tutta, partiti e governo!) dalla RAI e consegnandone la gestione a una fondazione pubblica sul modello della BBC, facendo pagare il canone a tutti come avviene proprio nel Regno Unito e lavorando affinché anche la nostra TV pubblica potesse aspirare all’autorevolezza della sorella inglese.

Ho sperato che la novità impressa dall’insediamento a Palazzo Chigi del segretario del partito di maggioranza relativa ci avvicinasse al modello Westminster delle democrazie parlamentari: invece abbiamo ricevuto una riforma costituzionale che ha creato un aborto istituzionale che non ha precedenti in nessuna delle democrazie occidentali che funzionano e dalle quali bastava semplicemente copiarne il sistema. Ho pregato che non fossi costretto a onorare una promessa che feci su queste pagine qualche tempo fa e cioè che se ci fosse stata una legge elettorale come il Porcellum, che non ci avesse consentito cioè di eleggere il nostro parlamentare, allora non avrei più partecipato al voto, annullando la scheda oppure lasciandola intonsa. Invece ecco l’Italicum, obbrobrio di legge elettorale che realizza il sogno renziano del “sindaco d’Italia”, ancora una volta la strada più comoda per scegliere il Capo dell’Esecutivo senza passare per un presidenzialismo che avrebbe certamente comportato la stesura di pesi e contrappesi inesistenti nella futura carta costituzionale e che realizzano una democrazia personale e padronale in linea con la storica volontà del popolo italiano di trovarsi sempre un Uomo della Provvidenza, un Unto dal Signore, un Duce.

Ho perso e ne prendo atto.

Cinque anni dopo però la voglia di scrivere è ancora più grande di prima e la passione per il racconto, per il reportage, per la fotografia di viaggio e da strada, forse da questa sconfitta ne può trarre persino giovamento: “si chiude una porta, si apre un portone“, dice la saggezza popolare. Allora proveremo ad aprirlo, questo portone: riorganizzeremo il blog, lo orienteremo verso altri temi, lasciando agli archivi della rete cinque anni di battaglie “verbali” contro un modello di società, di istituzioni e di “cosa pubblica” che si riteneva essere non idoneo per un moderno paese occidentale del Terzo Millennio.

 

p.s. Cinque anni fa Monsignor Fisichella, all’epoca Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, invitava a “contestualizzare” la barzelletta con bestemmia inclusa raccontata da Silvio Berlusconi e che riguardava – tanto per cambiare – Rosi Bindi. Lo stesso Fisichella aveva “giustificato” la comunione di Berlusconi (credo ai funerali di Raimondo Vianello) spiegando che con la fine del matrimonio con Veronica Lario l’allora Cavaliere avesse sanato il “peccato” precedente. Oggi – qualche anno dopo e sotto il nuovo pontificato di Francesco – il nuovo segretario della CEI Nunzio Galantino si schiera con l’Avvenire e con il suo direttore Tarquinio che ha scritto che «l’esito penale favorevole a Berlusconi non cancella il rilievo istituzionale e morale». In due anni la Chiesa Cattolica Italiana, spinta dal vento proveniente dal Rio de la Plata, ha capovolto completamente la propria concezione del rapporto con la politica italiana. La stampa – salvo rare eccezione – ancora purtroppo no.

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