In monopoly we trust

 In POLITICA
«Dovete rassegnarvi all’idea che questo è il mercato e le regole si rispettano. Raiway manterrà comunque il controllo pubblico perché almeno terrà il 51%» – ha ieri ribattuto il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi a chi gli faceva osservare che il principale concorrente della Rai volesse mettere le mani sull’infrastruttura del servizio pubblico.

Ha ragione Matteo, le regole di mercato si devono rispettare. Tuttavia c’è da chiedersi: ha senso un tetto al 49% nel settore strategico delle infrastrutture televisive? Allo stesso modo, in questi giorni tiene banco l’ipotesi di fusione fra RCS e Mondadori: secondo le leggi vigenti di mercato ciò è possibile.

Ma ha senso che il governo si tiri indietro di fronte a tutto ciò?

Un governo che non ha esitato a liberalizzare il mercato del lavoro rendendo di fatto licenziabili tutti i lavoratori a prescindere dalla legittimità del provvedimento, un governo che afferma che l’Italia deve togliersi di dosso tutte le incrostazioni del passato (quante volte abbiamo sentito «basta!» su ogni cosa!), può restare inerme davanti alla più impressionante concentrazione editoriale del mondo occidentale?

Negli Stati Uniti, patria del capitalismo, ai quali il nostro Premier si ispira spesso, le concentrazioni nei mercati editoriali non possono esserci, anzi: concentrazioni troppo distorsive della libera concorrenza non possono esserci, perché il mercato è tale proprio quando c’è libertà di domanda e di offerta, non quando sono in pochi a tenere il boccino.

Nel nostro Paese, ostaggi del perenne conflitto di interessi di Berlusconi, ogni evento di mercato viene valutato in termini politici o – peggio – come un tassello della ventennale guerra pro/contro il Biscione. Qui Silvio invece proprio non c’entra nulla: francamente l’ex Cavaliere ormai è sul viale del tramonto politico e nessuno crede minimamente possibile che uno dei suoi figli – nemmeno Marina – abbiano la stoffa per buttarsi nell’agone politico.

E sono pochi quelli a sostenere che «tanto non ne ha bisogno perché c’è Renzi!»: l’attuale Primo Ministro sta più pensando a se stesso e al suo potere personale che a Silvio Berlusconi, come la vicenda del Quirinale ha ampiamente dimostrato, piegando a convenienza le proprie strategie politiche.

Ma proprio perché il fondatore delle televisioni commerciali nazionali non è più un “problema” politico l’esecutivo deve mettere mano alla legge che regola i conflitti di interessi e varare immediatamente (qui si ci sono i requisiti di urgenza!) una seria legge antitrust che porti il nostro Paese fra le nazioni serie. Non è pensabile infatti che si importi dagli Stati Uniti tutto ciò che fa schifo, dalle bevande gassate al trash food, passando per la riforma del mercato del lavoro, e poi non rendere il nostro sistema produttivo in linea con le maggiori democrazie occidentali.

Infine una considerazione sulle torri della Rai: mentre nel caso RCS-Mondadori si è davanti a un tipico problema di concentrazione di mercato, il caso dei ripetitori dell’azienda televisiva pubblica è diverso. Ha infatti un senso – industrialmente parlando – ottimizzare le risorse tecnologiche dei vari servizi televisivi. Forse in questo caso non sarebbe peregrina l’ipotesi di avere un unico operatore tecnologico, come Terna per la rete elettrica e come magari sarebbe stato meglio avere nelle telecomunicazioni fisse seguendo il modello delle privatizzazioni britanniche, per far sì che gli operatori televisivi, pubblici e privati, si facessero concorrenza sul prodotto, senza monopolizzare il mezzo.

Potrebbe questa essere la vera occasione – per il governo – di cambiare veramente il verso dell’Italia: altrimenti sarà ancora una volta la dimostrazione che a noi non soltanto non frega molto dei conflitti di interesse ma che – soprattutto – i monopoli ci piacciono proprio tanto.

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