Pacta sunt servanda
Cosa ci sia ancora da indagare non riesco proprio a comprendere, visto che l’autore “politico” se non proprio materiale l’ha già detto da qualche giorno, fra una sciata e un tweet.
Ma soprattutto non riesco a capire cosa ci sia di così scandaloso. Prima che mandiate un’ambulanza a prendermi chiarisco una cosa: una norma che depenalizzi fino a una percentuale persino la frode fiscale è qualcosa che mi dà il voltastomaco. Fa parte di una serie di idee liberiste totalmente sbilanciate sull’impresa e si fonda su una concezione pressoché “santa” del mondo dell’imprenditoria al quale “capita talvolta” di “dimenticarsi” una parte di imposte (su SkyTG24 ho ascoltato una cosa del genere detta da un parlamentare di Forza Italia). Tuttavia per passare dalla dichiarazione infedele all’evasione fiscale, fino alla frode, ce ne corre.
Ma non è questo il punto. Che il Governo voglia attuare l’ennesima ricetta liberista credo sia nel suo diritto-dovere: ha una concezione “salvifica” dell’imprenditore mentre i lavoratori dipendenti vengono visti nel migliore dei casi come i destinatari della benefica volontà del datore di lavoro o come fannulloni, qualora siano dipendenti pubblici.
Si può contrastare la norma, si può pensare che essa sia ingiusta e che fa l’ennesimo grande favore ai super evasori, peraltro in un provvedimento dove anche i grandi gruppi bancari vengono agevolati, sempre nei confronti del fisco.
Quello che invece non capisco è tutto lo stupore per un comma “Salva Berlusconi“: io comprendo la visione un po’ infantile, sognatrice e romantica che moltissimi hanno avuto quando il “nuovo PD” – come lo chiama spesso Dario Nardella, sindaco, praticamente per grazia ricevuta, di Firenze, o gli altri ripetitori del verbo renziano – ha preso il potere e si è insediato a Palazzo Chigi. Capisco che è stato piuttosto semplice concepire Matteo Renzi “uno di noi“, “colui che avrebbe fatto piazza pulita della vecchia e perdente classe dirigente” o che questa fosse veramente “la volta buona“: però, Santo Cielo!, non è che in Politica si è buoni samaritani!
Il 18 gennaio dello scorso anno Matteo Renzi, ancora soltanto segretario del Partito Democratico, ha siglato un “patto” con Silvio Berlusconi, sottoscritto in “profonda sintonia“. E per quanto uno possa riporre una fiducia smisurata nei confronti del giovane leader democratico non è che adesso diventava una specie di mago e riusciva a imporre al principale avversario politico riforme, leggi e provvedimenti dei quali l’altro contraente non avrebbe ottenuto nulla di importante! Insomma finora abbiamo voluto berci la storia che il Patto fosse per la Legge Elettorale (praticamente un favore a vita a Renzi, visto ormai il declino di Forza Italia e la totale e insulsa nullità del Movimento Cinque Stelle!) e la Riforma Costituzionale (sostanzialmente inutile ai fini di Berlusconi). Poi mano a mano che si avvicinava il momento dell’addio a Napolitano Berlusconi ha fatto capire che la posta in gioco diventava seria e che “certamente” il Patto prevedeva anche il Colle. Ma dai!
Poi – quanto casualmente ciascuno potrà valutare – giusto qualche giorno prima del 24 dicembre in un’intervista a Repubblica appare persino un’apertura dell’ex Cavaliere a Romano Prodi per il Quirinale, lo stesso professore che nemmeno ventiquattro mesi fa era stato sbeffeggiato a Montecitorio con le magliette della Santanchè e della Mussolini con su scritto “Il diavolo veste Prodi“. Infine la Vigilia di Natale il Consiglio dei Ministri approva una norma che consentirebbe – così com’è e secondo la più ampia e autorevole platea di giuristi e di giudici – di cancellare la pena residua di Berlusconi, l’interdizione dai pubblici uffici e l’incandidabilità subita per effetto della Legge Severino. E noi vogliamo ancora cercare la manina?
È tutto ovvio, signori miei (cit. Renzi-Crozza!), lo dicevano anche i nostri antenati: i patti devono essere osservati ed è fin troppo logico, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il contraente Silvio Berlusconi pretendesse dall’altro qualcosa di più di una effimera gloria da “Padre della Patria“, visto soprattutto che il Capo dello Stato non ha mai minimamente preso in considerazione di concedere una grazia motu proprio come Berlusconi pretendeva.
Ed è normale, per un uomo che ha sempre avuto il proprio interesse personale come stella polare e la propria roba come unico aspetto della vita pubblica da tutelare, che pretendesse dal suo giovane e spregiudicato contendente l’unica cosa che gli potesse importare: se stesso.
A meno che – ovviamente – vogliamo credere alla favola di un nuovo Silvio, rinnovato dalla luce splendente di Matteo, che lo ha persino convinto a mettere da parte venti anni di interessi particolari per un posto nei libri di storia, posto che peraltro già occupava da prima che l’adolescente Renzi muoveva i primi passi in politica.
Se proprio vogliamo credere alle favole non è meglio pensare che i doni li portino Babbo Natale e la Befana?