Se vuoi far l’americano

 In POLITICA
Che l’irruente scalata di Matteo Renzi al Partito Democratico prima e al governo del Paese poi abbia probabilmente cambiato per sempre il modo di far politica in Italia è credo fuori da ogni dubbio, persino fra i più fieri oppositori dell’ex sindaco fiorentino.

Che il nostro Paese si sia ormai spinto sempre di più verso una legittimazione popolare del Potere Esecutivo (nel nostro ordinamento il Governo) è ormai assodato. Sin dal 1994 – l’anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi – l’impressione di contribuire a eleggere il Capo del Governo è stata sempre più forte, arrivando – nel 2011 – al paradosso che l’ultimo Governo Berlusconi sia ritenuto da moltissimi l’ultimo “legittimato” dalle urne, quando l’unica legittimazione che un esecutivo deve possedere è quella del voto di fiducia del Parlamento. Fino a quando vigeva il Mattarellum, un sistema maggioritario compensato alla Camera da un po’ di proporzionale (poi immediatamente ed esageratamente deturbato da liste civetta che sfruttavano a pieno il meccanismo dello scorporo), accanto alla designazione popolare del Presidente del Consiglio l’elettore aveva un rapporto diretto con il proprio eletto nel collegio uninominale, come avviene a esempio nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America.

Quando nel 2006 la maggioranza di centrodestra guidata da Berlusconi varò il Porcellum è cambiato tutto: il Parlamento è stato derubricato a zerbino dell’Esecutivo mentre i governi (tutti) legiferano con decreti legge e appongono persino la fiducia sui rispettivi disegni di legge di conversione, ricattando di fatto i parlamentari.

Ma c’è un aspetto “ordinamentale” che scaturisce dalla legge creata da Roberto Calderoli e che per certi versi è stata mutuata nell’attuale proposta Italicum all’esame del Senato: di fatto il corpo elettorale – che dovrebbe rinnovare le Camere – viene chiamato a pronunciarsi sì su due schieramenti ma soprattutto su due persone (o tre dopo le elezioni del 2013, con l’ingresso del movimento di Grillo). Questo sbilanciamento, con l’aggiunta delle liste bloccate, ha di fatto modificato il ruolo stesso del legislatore che diviene subordinato alla macchina amministrativa che ha il suo apice nel governo del Paese. Lo stesso ballottaggio di lista, come viene battezzato secondo la nuova proposta del Partito Democratico, comporterà che un certo numero di seggi si otterranno come “premio di maggioranza” e non per effettiva volontà degli elettori di un determinato collegio, allo stesso modo di quanto avveniva con il Porcellum soltanto in maniera meno eclatante perché viene posta una soglia del 40% (per ora invero il 37,5% secondo quanto votato dalla Camera) per accedervi al primo turno oppure a seguito del maggior numero di voti l secondo turno (il famoso modello del sindaco d’Italia).

Il collegio unico nazionale per la ripartizione dei seggi rende di fatto l’elezione per il rinnovo del Parlamento un’elezione diretta del Potere Esecutivo, senza che gli elettori possano esercitare il potere di controllo attraverso i propri eletti che – a prescindere dalla preferenze o meno che verranno introdotte – saranno afferenti a collegi molto più ampi dei 475 che il Mattarellum prevedeva fino al 2005.

Questa deriva quasi plebiscitaria è un unicum in tutto l’Occidente: non esiste un Paese democratico che abbia un predominio così netto del Governo del Paese sul Potere Legislativo. Basti pensare alle elezioni della settimana scorsa in America che hanno bocciato inequivocabilmente l’Amministrazione Obama: il rapporto eletto/elettore, mediante il collegio uninominale, assicura che la mediazione avvenga attraverso la legittima lotta politica per il potere. Se qualcuno pensa che i Rappresentanti democratici siano tutt’uno con l’Amministrazione, o viceversa che i loro colleghi Repubblicani siano per definizione contrari al Presidente Obama, non ha la più pallida idea di cosa sia un sistema maggioritario americano: deputati e senatori dell’Unione rispondono direttamente ai cittadini, dipendendo da essi la loro sopravvivenza a Capitol Hill.

Ora noi in Italia invece ci stiamo inventando qualcosa che è oggettivamente pericoloso: una democrazia si fonda non soltanto sulla separazione del potere sovrano in capo al popolo ma soprattutto sui meccanismi che attuano le camere di compensazione di tale potere. Quello che in inglese chiamano checks and balances, letteralmente controlli ed equilibri, da noi tradotto solitamente in pesi e contrappesi, è il cardine di una qualunque democrazia ed è ciò che con la riforma elettorale proposta – l’Italicum – verrebbe a mancare, a maggior ragione se accompagnata dalla riforma costituzionale approvata in prima lettura.

Nello scenario parlamentare di grande confusione a mio parere c’è un solo tunnel da imboccare, velocemente, per evitare il disastro istituzionale, ben più grave di quello economico che anche arruffando riusciamo poi sempre a risolvere (almeno storicamente). Ed è quello che Roberto Giachetti, parlamentare ex radicale e molto renziano, ha proposto depositando una proposta di legge per il ripristino del Mattarellum, corretto con l’abolizione dello scorporo (oggetto peraltro di un referendum qualche tempo fa). Non riesco a capire per quale ragione il Partito Democratico non sfidi il Movimento Cinque Stelle proprio su questo tema, magari aggiungendo il doppio turno di collegio per assicurare piena legittimità democratica al deputato/senatore che vince in un territorio. Persino i grillini ne guadagnerebbero, visto che in molti collegi potrebbero arrivare al ballottaggio e giocarsela. Il rapporto fra eletto ed elettore sarebbe così vicino che il popolo sovrano potrebbe controllare da vicino il proprio rappresentante il quale sarebbe veramente costretto a lavorare il lunedì e il venerdì sul territorio portando a Roma le vere istanze popolari.

Un sistema maggioritario come il Mattarellum porterebbe una legittimazione quasi popolare dell’esecutivo, e per un partito come il PD, che accompagna tutte le cariche elettive con le primarie, sarebbe l’occasione per presentarsi veramente come un partito democratico all’americana, dove il confronto – persino a livello di collegio – non esclude nessuna delle anime e con la legittimazione popolare del parlamentare nessuno potrebbe ricattare per un voto di direzione di partito!

L’unico che ci potrebbe rimettere sarebbe Silvio Berlusconi e la sua strettissima cerchia di eletti senza voti: ma anche dentro il partito di Forza Italia, specialmente in quei territori dove sono più radicati alcuni esponenti (si pensi a Fitto in Puglia), ci sarebbe chi ne trarrebbe beneficio da una campagna elettorale più sul territorio che in televisione.

Potrebbe cadere il governo Renzi per questo motivo? Mah, dove va Alfano senza questo esecutivo? E non potrebbe il Movimento Cinque Stelle impegnarsi a tenere su l’esecutivo fino al varo della legge elettorale per poi tornare alle urne?

Forse noi vogliamo importare dall’America ciò che ci sembra più suadente, le primarie, l’elezione diretta del governo, il finanziamento privato. Peccato che diventiamo americani a metà, rimuovendo il rapporto elettore/eletto, producendo una prevaricazione del governo sul parlamento e non garantendo la dovuta trasparenza sul finanziamento privato visto che l’attività di lobby non è né riconosciuta né regolata dalla legge, a differenza di quanto avvenga a Washington.

Vogliamo un Presidenzialismo all’americana senza le rotture di balle dei contropoteri che l’ordinamento statunitense possiede.

Ecco se Matteo Renzi ascoltasse Giachetti e ci portasse su una strada all’americana completa allora forse anche un gufo e rosicone come me il voto al Partito Democratico, con un candidato decente nel proprio collegio uninominale, glielo potrebbe pure dare.

Altrimenti meglio il mare.

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