Tredici anni di separazione
Per noi “emigranti” fortunati del nuovo millennio, viaggiatori su Airbus con trolley e tablet anziché con valigie di cartone e passaggi di fortuna, lo Stretto era la bandiera a scacchi nel circuito del nostro ritorno: messo il piede sul traghetto, osservato il portellone di quelle piccole imbarcazioni chiudersi a Villa San Giovanni, già ti sentivi a casa, anche se magari dovevi recarti a Trapani, ad Agrigento, a Portopalo.
Poi sbucò fuori Pietro Lunardi, potentissimo Ministro delle Infrastrutture del peggior governo della storia della Repubblica Italiana, presieduto per la seconda volta da Silvio Berlusconi. Lunardi, ingegnere e imprenditore nel ramo delle grandi opere (tunnel e gallerie), vara la “Legge Obiettivo 443/2001“. Fra queste opere vi era la nuova Salerno-Reggio, ammodernamento della vecchia autostrada A3, su un tracciato in parte nuovo e in parte recuperato, con l’intento di evitare il declassamento per quella che non era degna nemmeno di essere chiamata superstrada, almeno non nel Terzo Millennio.
Fino ad allora si impiegavano circa otto ore, da Roma a Catania; meno sei ore e mezza per Villa e poi finalmente in Sicilia, con il solo tratto costituito dalla variante di Lagonegro e il terno al lotto delle code agli imbarchi a costituire le uniche incertezze nel percorso.
Poi per tredici anni i cantieri lunghi e interminabili hanno come dilatato la distanza fra Scilla e Cariddi, costringendo noi siciliani e calabresi (del sud) a infernali Odissee lungo la A3 dove in larga parte vi era una sola corsia per senso di marcia.
Tredici anni nei quali abbiamo talvolta impiegato anche tredici o quattordici ore per nemmeno ottocento chilometri di autostrada che separano le mie due abitazioni, al nord di Roma e sulle colline dell’Etna. Tredici anni nei quali ci è stata tolta la libertà di tornare a casa all’improvviso, per fare una sorpresa ai nostri cari o per una mera e normalissima malinconia, senza che ci costasse un occhio della testa con l’acquisto di un volo all’ultimo minuto. Chi vive a tre o quattro ore di macchina dai propri familiari e amici non ci può capire: basta uscire due ore prima dall’ufficio, o persino al termine della giornata di venerdì e con un po’ di pazienza, e con un po’ di fortuna, in tre o quattro ore riesci a cenare con i tuoi. Per noi siciliani e calabresi era già più complicato per via della distanza ma per tredici anni è stato persino impossibile pensare di trascorrere due notti consecutive dai tuoi.
Finalmente adesso comincia a non essere più così. Ho trascorso meno di ventiquattro ore in Sicilia, partendo da Roma alle sei del mattino di sabato e tornando nella capitale quaranta ore dopo. Scilla e Cariddi li ho ritrovati uno di fronte all’altro, regalandomi uno spettacolo mozzafiato persino per chi come me dovrebbe averlo quasi a nausea per quante volte lo si è osservato.
La Salerno-Reggio non solo è finalmente un’autostrada degna di questo nome, sicura e piacevole da guidare, con due ultimi cantieri residui che vanno a scemare, ma è soprattutto una strada stupenda che regala al viaggiatore panorami eccezionali, ricchi del verde dei boschi degli Appennini e del blu del mare, anzi di due mari!
Passare dal Pollino alla Sila, dalla costa di Falerna all’Aspromonte e infine con lo spettacolo delle due punte che quasi si toccano, credo non abbia eguali al mondo, così come nella tratta di ritorno verso il nord, il grande spazio immenso del Golfo di Sant’Eufemia concede anche al guidatore una grande visuale di ampio respiro.
Tredici anni abbiamo perso: ci vorranno molte generazioni – temo – prima che il Meridione possa recuperare i danni del deficit infrastrutturale che ancora sopporta. Anni nei quali abbiamo dirottato orde di turisti, anche ben predisposti alla spesa, verso la Grecia, la Croazia, la Spagna, come se arrivare in auto a Patrasso, Dubrovink o Barcellona fosse più veloce di giungere a Reggio Calabria o Messina.
Alla già pesante situazione meridionale, alla scarsa predisposizione locale verso l’impresa, a una sostanziale visione quasi rassegnata della vita, l’assenza di una lungimiranza politica ha contribuito ad acuire ancor di più l’esasperazione di un Meridione che dal 1861 ha posto all’attenzione del Paese una “questione” ancora irrisolta.
Dopo tredici anni finalmente abbiamo di nuovo la possibilità di poter tornare un po’ di più a godere della nostra terra, della compagnia delle nostre famiglie, della bontà della nostra cucina.
E ci auguriamo di non sentire più quelle sciocchezze che a volte si sentono (qualche settimana fa l’ultima volta alla radio) per giustificare stupidi provvedimenti sulla riforma del lavoro, da parte di chi insinua che nel nostro Paese non ci sia abbastanza mobilità. C’è stata moltissima mobilità da sud a nord: orde di meridionali siamo dovuti partire alla ricerca di lavoro e di fortuna, con il risultato che le nostre città e le nostre terre si sono progressivamente svuotate, specialmente di chi ha un’istruzione elevata.
Adesso – quando non ci saranno più gli alibi infrastrutturali – toccherà alle aziende investire di nuovo al Sud e magari qualche romano, fiorentino, bolognese e persino milanese, può pensare di muoversi dal loro luogo di nascita e venire a lavorare al Meridione.
Che noi meridionali di mobilità già ne facciamo proprio tanta.
p.s. sabato ho perso un traghetto per una sosta improvvisa a Rosarno, a quaranta chilometri circa dagli imbarchi. Tempo di attesa quindi 40 minuti. Viceversa domenica pomeriggio mi sono imbarcato subito. Se tralasciamo gli otto fine settimana estivi e quelli a Natale e Pasqua, la situazione dei traghetti per le autovetture private è di molto migliorata, dopo la separazione dei trasporti commerciali. È la dimostrazione che il Ponte sullo Stretto è un’opera certamente suggestiva, ma completamente inutile e sottoutilizzata. Una società seria investirebbe sul trasporto via mare delle merci e sulle infrastrutture terrestri che sia in Calabria che in Sicilia sono indegne di una nazione industrializzata come l’Italia.