Il Giobsect
D’altronde, quando ero molto più giovane, accettai un incentivo all’esodo (uno dei modi per ridurre personale) per togliermi dalle balle di un’azienda che stava morendo e non avevo alcuna intenzione di lasciarmi trascinare dal delirio depressivo collettivo che stava cogliendo i miei colleghi.
Premesso ciò, non significa che non riesca a guardare oltre il mio naso: l’articolo 18, per moltissimi lavoratori che non hanno un “imprenditore” come datore di lavoro bensì un “padrone” (e Renzi farebbe bene ad ammetterlo sebbene lui non ha mai lavorato per un altro che non sia il padre), ha rappresentato e rappresenta non soltanto un baluardo, un simbolo o un totem, come affermano la maggioranza (quasi tutta) di governo, rinforzata da Forza Italia. È uno dei fattori di riequilibrio sociale – ripeto uno dei fattori, non l’unico – nel complicato meccanismo di relazione (senza scomodare la lotta di classe) fra il “capitale” e il “lavoro“, tanto per dirla in termini marxiani.
Affermare di voler modificare questo complicato equilibrio relazionale, senza un reale chiarimento su come il “lavoro” verrà compensato in termini di diritti (che costano soldi, tantissimi soldi, che purtroppo non ci sono), equivale – agli occhi degli osservatori più attenti – a un sostanziale macigno posto sul piatto del “capitale” in un’ipotetica bilancia della giustizia sociale, favorendo oltremodo quest’ultimo nella dialettica delle relazioni industriali.
Se alla fine di questo processo di riforma, duri un mese o i tre anni auspicati dal Premier fa lo stesso, quando finalmente si dovesse tornare alle urne con una legge elettorale costituzionalmente valida, il Partito Democratico e il suo leader dovessero confermare il 40,8% o persino aumentare ancora nei consensi, sarà bene che guardino meglio il dato, i flussi elettorali. Perché ciò che sta accadendo, e che verosimilmente accadrà in futuro, è sì il progressivo svuotamento del bacino elettorale berlusconiano, ma anche l’uscita dei voti e del riferimento di sinistra dal Partito che dovrebbe essere la sezione italiana del PSE. Affermazioni come quella di ieri alla City, “l’articolo 18 limita la libertà degli imprenditori e questo è un problema“, pur comprendendo essere fatta davanti a una platea che quello voleva sentirsi dire (secondo il dogma del Cavaliere di farsi concavo e convesso a seconda dell’interlocutore), o come quella da Fazio in TV “l’imprenditore ha il diritto di poter licenziare chiunque ed è lo Stato che si deve far carico della persona licenziata” quando si sa che non ci sta più mezzo euro di ammortizzatori sociali, allontanano sempre di più l’elettorato di sinistra dal PD, spingendolo non verso Grillo o il sempre più evanescente partito di Vendola, bensì verso la non partecipazione, l’auto-esclusione dalla scelta elettorale per mancanza di rappresentatività politica.
D’altronde il grave flop delle primarie in Emilia-Romagna, nella regione fiore all’occhiello del PD e dell’Italia, dove chiunque andava a votare persino per l’elezione del comitato delle aiuole, sta a indicare un disincanto verso la dirigenza – vecchia e nuova – assai pericoloso, come d’altronde si evince dall’articolo di Goffredo De Marchis oggi su Repubblica, dove si racconta il crollo degli iscritti del Partito Democratico che in un anno – dopo un 2013 in risalita – è crollato a circa 100.000, dagli oltre 530.000 che contava lo scorso anno e anni luce lontani dai quasi 800.000 iscritti al momento della formazione con Veltroni segretario.
Se Matteo Renzi non vuol dare retta alla vecchia guardia, a D’Alema, Bindi e Bersani (che però almeno hanno il coraggio di dirglielo in faccia cosa secondo loro non va, a differenza di altri vecchi del partito che sono saliti sul carro del vincitore per puro opportunismo), dia almeno retta al Professor Cacciari – certamente non tenero nei confronti del leader maximo o dei sindacati italiani – oppure ad Achille Occhetto, l’ultimo segretario del PCI.
Se il primo ha invitato Renzi a comportarsi da segretario di un partito socialdemocratico europeo, non svilendo il rapporto con il mondo dei lavoratori che restano un interlocutore principale di qualunque forza di sinistra europea, l’artefice della svolta della Bolognina ha ieri pacatamente osservato (Coffee Break – La7) che sì bisogna certamente conquistare i voti della destra e svuotare il consenso di Berlusconi, ma non facendo politiche di destra perché il PD resta pur sempre nel campo avverso.
Il rischio che si intravede – e spero che i collaboratori di Renzi glielo abbiano già mostrato – è che la forza attuale di Renzi, che è una sostanziale assenza di un qualunque tipo di seria opposizione che lo stimoli a migliorare l’azione di governo, si trasformi ben presto nella fisiologica debolezza di chi governa senza oppositori. Quando il centrodestra si sveglierà dal torpore, quando finirà la guerra di successione fra gli eredi di Berlusconi, quando finalmente si troverà uno all’altezza di Renzi da contrapporgli, allora la sistematica umiliazione del pensiero di un altro tipo di sinistra, meno blairiana e più liberal (intesa nel senso statunitense!), forse si comprenderà quanto sia stata inutile. Perché – purtroppo per Renzi – noi di sinistra siamo fatti così, forse siamo fatti male: sì è vero che abbiamo spesso la vocazione a perdere ma è perché votiamo con in mente più le idee, gli ideali, i diritti che il potere, più la passione che l’opportunismo. E se è certamente vero che senza potere non potrai mai lottare per estendere i diritti, è abbastanza logico che quando trovi il tuo partito al potere e questo anziché estendere i diritti li sottrae a chi ce li ha, in nome di un compromesso sociale al ribasso, e per di più sposta l’equilibrio verso il capitale, a scapito del lavoro, ecco che non solo avviene lo svuotamento della destra (perché non esiste ancora destra senza Berlusconi) ma avviene anche quello della sinistra, aumentando sempre di più il distacco dalla politica.
Il 40,8% – si ricordi Renzi – fu dei votanti, non degli aventi diritto. Un altro quaranta infatti è rimasto a casa. E se lui ha potuto partecipare e stravincere le primarie è perché ci sono stati migliaia e migliaia di iscritti e militanti che si sono dati da fare per organizzarle.
Con i numeri del tesseramento attuale alla prossima rivincita (citazione dello stesso Renzi) del 2017 temo che si avvererà la profezia di Massimo D’Alema e che l’attuale segreteria del partito dovrà chiedere a Flavio Briatore di dare una mano a montare i gazebo.
p.s. La foto che vedete in alto l’ho scattata l’estate scorsa a Gualdo Cattaneo, in Umbria, dove ho trovato un collezionista di tutto. Vicino alla macchina per cucire c’era questo quadro con il simbolo antico del PSI – prima del cambio della “Falce e Martello” con il “garofano” – e una foto di Sandro Pertini, presidente socialista. Ecco non vorrei che prima del tempo questo collezionista si trovi a dover esporre il simbolo del PD.