Che Dio ce la mandi buona
Nel frattempo tutto il governo è in giro per l’Italia per inaugurare l’anno scolastico: Matteo Renzi – con tutte le troupe al seguito – si trova a Palermo nella scuola intitolata a Don Pino Puglisi, anzi Beato Pino Puglisi, l’indimenticabile prete di Brancaccio freddato dalla mafia ventuno anni fa ed elevato agli onori degli altari lo scorso anno, mentre le immagini del telegiornale ci mostrano scuole sempre più pericolose, lasciando con un senso di terrore i genitori che affidano il loro bene più prezioso allo Stato e alle cure dei suoi insegnanti.
La scuola di mia figlia è abbastanza buona sia per la didattica che per la struttura (relativamente nuova) degli edifici: ho notato che non vi è il crocifisso in aula e non mi sembra ci siano stati genitori di religione cristiana (qualunque confessione essi professino) particolarmente turbati per l’assenza del simbolo della loro (nostra) religione. Anzi. Mi è sembrato naturale che non ci fosse visto la presenza di tanti figli di immigrati che giocano, ridono e studiano gomito a gomito con i nostri figli. Nella sola classe della mia bambina ne ho contati almeno cinque – su 20 – di bambini nati in Italia ma di genitori non italiani, che parlano la stessa lingua di mia figlia (anzi spesso con un accento romano che Elisa ancora non ha così sviluppato) e che se non fosse per i lineamenti e il colore della pelle nemmeno te ne accorgeresti, rendendo sempre più stupida, patetica e vile la polemica che leghisti e pentastellati continuamente sollevano sull’immigrazione, fino a paventare un’invasione inesistente. Questa scuola è la dimostrazione che quando i flussi migratori vengono gestiti intelligentemente portano semplicemente bambini a integrarsi con altri bambini, formando la nuova società multiculturale e multirazziale nella quale viviamo, pacificamente.
Hanno un entusiasmo delizioso i piccoli in attesa della loro prima campanella: l’inizio di un nuovo ciclo scolastico ha sempre un sapore particolare per loro e per le loro famiglie, specialmente per chi – come noi – si affaccia per la prima volta nel lungo percorso della scuola dell’obbligo. Li vedi portare fieri i loro zaini, scambiarsi opinioni sui loro astucci (meravigliosi, rispetto a quelli di una volta!) e commentare la scelta dei quaderni.
Poco più in là, sulla cattedra della maestra, i più solerti genitori hanno già risposto all’appello consueto di inizio anno da parte della dirigenza scolastica: “carta igienica, sapone mani e scottex“, un evergreen – temo – assai diffuso nell’elenco di spese scolastiche per annualmente il sistema dell’istruzione ci chiede di compartecipare.
Sarò forse veramente un gufo – come sostiene Renzi (sicuramente non un professionista della tartina, vista la mia “allergia” per qualunque tipo di convegno e una particolare inclinazione ad assorbire calorie alla stessa stregua del sole estivo che mi rende anche dermatologicamente vicino al Magreb) – ma temo non vedrò mai realizzate – durante questi dieci-dodici anni di scuola di mia figlia – la lista delle buone intenzioni contenuta nel libretto “la buona scuola” che il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Istruzione Giannini hanno presentato la scorsa settimana. Si fa un gran parlare di qualità, merito, digitalizzazione, lavagne multimediali, tablet e totem informativi: poi però ogni anno la prima cosa che ti chiedono sono generi di prima necessità e di primissima igiene.
Non vedo l’ora che arrivi stasera – vi confesso – per ascoltare a cena i racconti di questo primo giorno di scuola elementare (oggi primaria) e assorbire un po’ di quell’entusiasmo che soltanto loro – gli scolari – riescono a trasmetterti.