Viaggio in Argentina /6 – Mi Buenos Aires querido

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Potrebbe forse apparire largamente esagerata la definizione di “Parigi del Sud America” che è stata appiccicata alla capitale argentina, ma per me invece è azzeccata!

Al netto delle terribile periferia, dove la miseria si tocca veramente con mano – nelle  villas miserias che fanno apparire le banlieue parigine, così come le periferie più degradate delle nostre città occidentali, dei salotti –  l’aria che si respira nella Capital Federal – come spesso capita di sentirla chiamare dagli argentini – è di grande cultura e di enorme respiro, proprio come quella che si vive a Parigi.

L’impatto con Buenos Aires è ovviamente particolare se all’aeroporto trovi amici che non vedi per molti anni. Atterrai la prima volta a Ezeiza, l’aeroporto internazionale e principale hub del paese, nell’ormai lontano 2002, provenendo da Malpensa e avendo pagato pochissime tasse aeroportuali, unica spesa per quel biglietto fornito dal programma millemiglia della nostra compagnia di bandiera! Venne a prendermi la mia amica Natalia che allora conoscevo soltanto per corrispondenza epistolare e mi portò a pranzo lungo il fiume, in un ristorante a due passi dal secondo aeroporto, l’Aeroparque, che quattro anni dopo divenne il nostro snodo aereo durante gli scali. L’anno dopo, durante le festività natalizie del 2003, avevo vissuto molto la capitale, visitando il Teatro Colón, importantissimo teatro lirico, quartieri meno battuti dal turismo quali Once (dove qualche tempo dopo avvenne una tragedia ferroviaria) nel quale venni ospitato, e girovagando a zonzo per la città alla ricerca di immagini da scattare e soprattutto da conservare nella mente.

Fu questa esperienza di porteño che mi indusse a prendere un appartamento in residence in affitto anziché una camera di hotel per quell’ultima settimana di ottobre del 2006, quando mia moglie e io arrivammo a Buenos Aires.

Avevamo visto dall’alto la Capitale quattro settimane prima e ci stupì l’immensità dell’agglomerato urbano.

Arrivammo da Mendoza all’Aeroparque che era già notte inoltrata: recuperate celermente le valigie, prendemmo un taxi che ci condusse in centro dove avevamo preso il nostro appartamento in un condominio molto signorile, salvo poi scoprire che servivano una colazione senza infamia e senza lode, tanto che mia moglie coniò l’espressione desayuno triste, che non sarebbe potuta essere più appropriata!

Ci trovavamo a due passi dall’enorme Avenida 9 de Julio, una strada che per attraversarla all’altezza dell’obelisco di Avenida Corrientes, impieghi tanto di quel tempo che rischi che ti scattino due o tre semafori!

Il quartiere che è il centro del potere della capitale argentina si chiama Microcentro: tanto micro ovviamente non è, ma viste le dimensioni della Gran Buenos Aires forse un po’ minuscolo può realmente apparire!

L’Argenitina è strutturata sul modello federale degli Stati Uniti d’America, come il Messico o il Brasile, e la sua capitale riflette nell’urbanistica proprio la configurazione della via del potere americana, Pennsylvania Avenue. Da un lato il loro Campidoglio, con il Palazzo del Congresso che ospita i due rami del Parlamento della Nazione argentina, e dall’altro la Casa Rosada, la residenza ufficiale del Presidente (oggi una donna) della Nazione Argentina.

Il Palazzo del Congresso ha una cupola neoclassica come il Capitol Hill di Washington DC, ma molto più contenuta nella dimensioni e strutture architettoniche che ricordano un po’ anche il Vittoriano di Roma, con le quadrighe in alto.

Spostandosi più in là verso il Río de la Plata, prima di giungere a Puerto Madero, si arriva a Plaza de Mayo che costeggia la residenza presidenziale. Da quel balcone Evita si affacciava negli anni 50, la personalità forse più amata probabilmente per i fasti che la ricchezza del tempo ancora sono ricordati dagli argentini.

I grandi spazi, i giardini molto ben curati e pieni di giovani intenti in letture o semplicemente in bagni solari, la capitale metropolitana dalla quale – qualche anno dopo – arrivò il loro vescovo sino alla Cattedra di Pietro, il palazzo della Dogana proprio dietro: non servono molte parole per descrivere Buenos Aires, bastano soltanto le immagini, sufficienti per descrivere la bellezza di questa città relativamente giovane fondata dagli europei nemmeno cinquecento anni fa.

Dietro la Casa Rosada si scende verso Puerto Madero, il vecchio porto della città adesso una delle zone più belle, richieste e chic dove abitare e trascorrere il tempo libero.

Avevo girato molto quel barrio tre anni prima ma durante la nostra luna di miele lo abbiamo visitato ben tre volte: a pranzo, con un piccolo break in un ristorante cubano; a cena, con successiva sessione fotografica in notturna; per una serata a teatro con i nostri amici argentini, quando ammirammo un bellissimo concerto di tango, un omaggio a Astor Piazzolla, genio musicale porteño che rivisitò completamente il tango e la milonga. Un concerto meraviglioso quella notte: i nostri amici ci avevano fatto uno splendido regalo, portandoci a cena in un risto-pub molto alla moda e poi ad ascoltare questa splendida e struggente musica che ci coinvolse totalmente.

Noi abitavamo a due passi da Recoleta, il quartiere Parioli della capitale argentina, famoso per il cimitero – accanto alla Chiesa del Pilar che vedete qui sotto – dove Evita Perón è sepolta.

Nei dintorni del nostro palazzo, dove abbiamo trascorso il nostro soggiorno mischiandoci totalmente con gli abitanti di Buenos Aires (ho conosciuto un barbiere fantastico con il quale abbiamo discusso due ore di politica!) e godendoci una primavera stupenda che ormai a fine ottobre era esplosa.

Dopo un giro per i monumenti ai caduti, le cui foto le potete ammirare in queste pagine, ci dirigemmo verso le vie dello shopping, con la calle Florida (l’accento sulla i, in spagnolo!) dove vi sono le stupende Galerías Pacífico, uno stupendo shopping center dove acquistammo molti capi e molti ricordi! Prima di arrivare eravamo soliti trascorrere del tempo a guardare un’installazione di grandi cuori che un artista aveva piazzato proprio all’ingresso della via dello shopping.

La domenica invece visitammo San Telmo: famoso per le milongas, le sale da ballo dove risuonano le malinconiche melodie argentine, la domenica mattina è un pittoresco mercato delle pulci, molto interessante e pieno di spunti per regalarsi qualche scatto fortunato. Prima di arrivare nella piazza dove il mercato si svolge ci fermammo a visitare la Chiesa di Santa Maria di Belén, che non ha nulla a che vedere con la soubrette argentina ovviamente, ma che vuol dire semplicemente Betlemme! È curioso vedere come nei paesi di lingua spagnola questo nome si sia diffuso, mentre da noi è praticamente sconosciuto.

Il mercato di San Telmo non deludeva le attese: artisti di strada, venditori di anticaglie più o meno originali (noi comprammo le boleadoras, armi di caccia tipiche della pampa), collezionisti di musica e di oggetti vintage abbastanza originali.

Ma se c’è qualcosa di imperdibile, per qualunque visitatore di Buenos Aires, sia esso un turista frettoloso oppure un autore di reportage di viaggi, questo è il Barrio più pittoresco e colorato fra tutti: La Boca.

Fondato da noi italiani, anzi dai genovesi (tanto che sulle maglie della squadra del Boca Junior fino a non molto tempo fa c’era proprio la scritta “genovesi” in dialetto ligure/lunfardo), La Boca è un trionfo di colori, artisti e cultura.

Circondata da un dedalo di vie non proprio raccomandabili, il Caminito e le vie più prossime ad esso sono una sorta di zona franca della delinquenza: appare infatti evidente una sorta di accordo – più o meno tacito – fra le forze dell’ordine e la microcriminalità del luogo per lasciare ai turisti una certa libertà di azione. «Al di là di quella strada ferrata non vi avventurate» – ci aveva prontamente avvertito il tassista (ovviamente di origini italiane come la stragrande maggioranza dei residenti), avendo osservato il patrimonio che portavo sulle spalle fra lenti, corpi macchina e presumibilmente denaro.

Zona romantica per eccellenza, il Caminito è anche la via degli artisti di strada: dalla coppia di tangueros all’abile tessitrice di coperte e tappeti. Ma la Boca è anche un nome: Diego Armando Maradona e la sua Bombonera, lo stadio dove il Boca Juniors gioca le sue partite casalinghe e dove il grande Diego è una sorta di divinità terrestre.

Chiunque ami il calcio non può non vedere in Maradona una sorta di poeta maledetto: preda delle sue debolezze, che trovarono terreno fertile a Napoli e lo portarono al declino anticipato come calciatore, Diego alla Boca è celebrato come il padrone assoluto. E soltanto toccando con mano la miseria delle Villas Miserias, dove in una di queste il futuro Pibe de Oro nacque e crebbe, che si può comprendere meglio il personaggio e la sua celebrazione nel povero quartiere attorno al Riachuelo, il piccolo rigagnolo d’acqua che fa parte del sistema fluviale della città.

Buenos Aires ci aveva stregato: nonostante fossimo molto stanchi per le quattro settimane di viaggio, non potevamo non ammettere di aver trascorso otto giorni in una delle più belle e interessanti città del mondo. Era ormai entrato il mese di novembre e il volo di rientro in Italia si avvicinava: dovevamo partire di domenica sera, con un volo notturno. Al mattino i nostri amici ci regalarono un’altra bella escursione: un pranzo in barca lungo il delta del Río Paraná, nella città di Tigre.

Ci accompagnarono all’aeroporto e ci salutammo, con gli occhi gonfi di pianto per un distacco da loro e da quella terra che era diventata – ormai per sempre – una nostra seconda patria, cementando un’amicizia transoceanica rinsaldata successivamente dalle loro visite qui, a Roma e in Sicilia, e per la quale non sarò mai sufficientemente grato.

Cominciava a tramontare quando il carrello dell’aereo per Fiumicino staccò le sue ruote dalla pista di Ezeiza e si diresse verso l’altro emisfero: lasciavamo la primavera per l’autunno e la vacanza per il lavoro e cominciava così la nostra avventura insieme.

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