La politica da stadio
Chi scrive – lo sapete – non ha certo molte simpatie per il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi, né lo ha mai votato nelle ultime due primarie, di coalizione e di partito: non sulla base di una antipatia personale che ne offuschi il giudizio, bensì proprio sui temi tanto cari a Renzi, a cominciare dal finanziamento pubblico della politica, dalla sua idea di riforma costituzionale ed elettorale fino alla concezione troppo liberal dell’economia che – a mio giudizio – è stata fallimentare finora e i risultati dei fallimenti sono sotto gli occhi di tutti.
Sono considerazioni politiche che chi scrive di politica, sia il più autorevole giornalista vivente (e sto pensando a Eugenio Scalfari) sia il più sconosciuto blogger (autocitazione!) ha tutto il diritto e il dovere di mettere nero su bianco, a prescindere dalla simpatia personale per l’individuo. Tuttavia su Renzi si legge di tutto e spesso cose frutto di pura ignoranza della grammatica costituzionale: invidio molto – a un mio amico di Facebook – la pazienza con la quale egli prova ad argomentare di fronte all’urlo che spesso da alcuni profili sembra proprio giungere tale alle nostre orecchie. “Renzi usurpatore, non lo ha eletto nessuno. Si presenti alle politiche e si prenda i voti” – scrive qualcuno, non so quanto inconsapevole di riecheggiare le parole messianiche di Beppe Grillo durante l’ultimo videomessaggio al popolo del Sacro Blog! Inutile con questi taliban sociali ricordare che Renzi è segretario del PD e tutto il partito gli ha chiesto di andare al Governo: confondono elezioni parlamentari con elezione diretta del Governo e non c’è proprio verso di convincerli.
Ciò che non capiscono è tuttavia semplice.
Proviamo a riepilogare: nel 2013 le elezioni politiche generali vedono la coalizione guidata da Pierluigi Bersani, all’epoca segretario del Partito Democratico, vincere di un soffio sopra il Centrodestra di Berlusconi e il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. Bersani, che aveva vinto le primarie (che peraltro nemmeno si sarebbero dovute tenere perché sarebbe perfettamente normale che il leader del maggior partito della coalizione presieda il governo) riceve l’incarico di formare il nuovo governo dal Capo dello Stato (in scadenza e quindi impossibilitato a sciogliere nuovamente le Camere). Per ragioni ultra note, l’allora segretario del PD non riesce a formare un governo che possa ricevere la fiducia delle due camere, poiché al Senato i numeri non ci sono e il Presidente della Repubblica pretende che si vada in aula con numeri certi. Il Movimento Cinque Stelle, galvanizzato dalla bislacche teorie del loro ideologo di riferimento Becchi, denuncia una decina di colpi di stato uno dietro l’altro per distogliere il proprio elettorato da un fatto evidente: per una questione di principio – “noi la fiducia non la diamo a nessuno a priori” – il Governo Bersani – che sarebbe stato di centrosinistra (non di larghe intese) non vedrà mai la luce. È Pasqua, si chiudono temporaneamente i battenti, Napolitano s’inventa i saggi per tirare avanti dieci giorni fino all’elezione del suo successore che – per fatti anche questi assai noti – è sempre lui. Nel frattempo i famosi 101 erano riusciti a ottenere la testa del segretario del PD che ovviamente (e direi giustamente) si dimette dalla guida del partito e non dà la propria disponibilità a presiedere un esecutivo di larghe intese, assolutamente diverso dalla propria idea di governo del cambiamento. Per scontate ragioni, lapalissiane per chi vorrebbe un paese normale, il Capo del Governo deve essere espressione del primo partito di maggioranza e quindi è abbastanza normale che a presiederlo sia il numero due del Nazareno, al tempo Enrico Letta. Normale e scontato per tutti tranne che per chi vede l’incarico come una sorta di nepotismo: diviene quindi prassi che chiunque – in rete e non – lo appelli con “Letta Nipote“, seguendo i dettami del loro Robespierre di riferimento, Marco Travaglio, che insulta persino la propria intelligenza pensando che un uomo dalla preparazione culturale e politica come Letta dipenda dallo zio per avere quell’incarico. Nel Partito Democratico – intanto – comincia la stagione congressuale che culminerà con l’elezione a vastissima maggioranza dell’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi a segretario dopo l’interregno di Guglielmo Epifani e quindi vengono stravolti tutti gli equilibri interni, figli del congresso precedente (2009). Anche qui è assolutamente fisiologico (nelle democrazie) che se nella maggioranza ci sono dei problemi, ad assumersi l’incarico di guidare il governo debba essere il leader del maggior partito.
Il resto sono chiacchiere.
Si dirà: “ma il metodo e il modo con cui è arrivato a Palazzo Chigi?“. Penoso, a mio avviso, penosissimo, ma perfettamente legittimo. Ognuno ha il suo stile e Renzi ha spesso mostrato qualche lacuna di bon ton istituzionale: d’altronde – però – dall’#enricostaisereno al suo incarico al Quirinale (con l’irrituale tweet “arrivo arrivo” prima che il Segretario Generale Marra desse l’annuncio alla stampa dell’habemus papam, c’è un mese nel quale accadde un evento che non era certamente previsto e cioè il famoso Patto del Nazareno con la “profonda sintonia” con il Presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi.
Sono trascorsi sei mesi dall’insediamento di Renzi, diciotto dalle elezioni generali, e ancora si parla come se fossimo allo stadio e spesso ad alimentare la contesa faziosa sono proprio i governanti (il Premier in prima fila con la sua ossessione per i gufi!) e i maggiori opinionisti e influencer che sembra abbiano totalmente messo all’ammasso qualunque capacità di visione critica della realtà.
Il risultato sono timeline su Twitter surreali (andate a menarvi su Facebook, ha scritto ironicamente una brillante osservatrice!), feed su facebook da strapparsi i capelli, e quei pochi che vogliono provare a ragionare si trovano schiacciati fra le due o tre opposte fazioni. Tutto diventa fenomeno da stadio, con il solito corredo di insulti e rivendicazioni puerili.
Qualche esempio? Trovi ad esempio interessante la scelta della restituzione fiscale ai ceti più bassi (i famosi 80 euro)? E ti becchi del renziano, che sostieni l’usurpatore. Fai notare che renziano non sei e che hai detto che il provvedimento è solo interessante e che avresti preferito comunque un’altra soluzione per favorire la domanda interna? E allora ti becchi attacchi dai renziani che non si può più aspettare perché il Paese ce lo chiede, perché Renzi ha il 40,8% dei voti. Cerchi di stare sul cronoprogramma che il Premier stesso si è dato e poi fai notare i ritardi? Niente, sei un gufo: dopo tutti i disastri che nel passato sono stati commessi non è che ora Renzi in mezza giornata risolve le cose (che poi chi glielo ha chiesto di farlo in mezza giornata?)!
Fai fatica, provi a ragionare cercando di far notare le contraddizioni del potere con le sue tecniche di comunicazione e rischi invece di ritrovarti accuse di servilismo nei confronti dei poteri forti, come se invece il parterre de roi che ha sostenuto e sostiene tuttora Matteo Renzi sia costituito da contadini poveri e ignoranti (domenica su Repubblica il Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino – parlando di poteri forti – affermava di non averli frequentati, come se presiedere la fondazione Compagnia di San Paolo fosse equivalente a guidare la bocciofila di un comunello di provincia).
Compito dell’informazione, a qualunque livello, in un paese moderno e civile, non è quello di fare il tifo per il governo o per l’opposizione “a prescindere“. Certo, ci può essere un governo più o meno affine alle tue idee, ma non può mai mancare la capacità di analisi e di critica che persino – anzi direi soprattutto – al “tuo” governo può servire da sprone. Chiedere di più, pretendere di più. E specialmente quando si è di fronte a un grande comunicatore come Matteo Renzi lo scopo di chi prova ad analizzare la politica deve essere quello di saper selezionare la propaganda dalla sostanza, perché con la sola comunicazione purtroppo non si mangia.
Lo staff del premier è bravissimo a raccontare una narrazione straordinaria, colpendo nell’immaginifico l’enorme platea – specialmente sui social – che segue il Presidente del Consiglio (oltre un milione i follower dell’ex sindaco di Firenze su Twitter). Ed è proprio per questo sapiente uso dei mezzi di comunicazione, soprattutto sui profili fotografici come Instagram come ben analizzato da Michele Smargiassi su Repubblica, che chi vuol rimuovere la patina dalla narrazione fa molta fatica perché si scontra con chi invece da quella patina si sente come protetto.
Prendete il numero in edicola di Diva & Donna: vengono celebrati in copertina e con un servizio lungo e zeppo di belle fotografie i venti anni d’amore della coppia Agnese-Matteo. La cosa surreale è che si scrive che la signora Renzi non vuole assolutamente espletare il ruolo di First Lady e che vuole mantenere la riservatezza … salvo poi aver concesso in esclusiva le foto al settimanale! Senza entrare nei dettagli “tecnici” delle foto, quasi tutte in posa e con qualche ritocchino ben mascherato per dare l’idea che il premier si stia rimettendo in forma (ricordate il famoso streaming con Di Maio con la pancetta – assolutamente normale per un quarantenne che non ha tanto tempo di fare sport – in bella evidenza?), il privato diventa pubblico, almeno per quella porzione che possa servire alla comunicazione verso il potenziale elettorale del quale si vuole mantenere consenso.
Attenzione: il premier fa benissimo a lucrare sull’emotività, almeno fino a quando gli paga elettoralmente. Tuttavia non può sfuggire ai più che essendo adesso il responsabile dell’esecutivo non si possono certo fare sconti in nome della comunicazione, pur sapiente che sia. Questi meccanismi ormai abbastanza rodati comportano un perenne scontro fra chi è “con Matteo“, e quindi ritwitta il suo augurio di buon lavoro al rientro dalle vacanze e lo invoca – rispondendogli – di non mollare, che è l’unica speranza, che finalmente qualcosa di muove, e chi invece – considerandolo appunto un usurpatore – lo continua ad accusare di essere un berlusconiano mascherato, una sorta di quinta colonna all’interno della purezza del Partito Democratico.
In mezzo rimaniamo – mi scuserete per l’arroganza dell’autocitazione – coloro che vorremmo parlare di politica, ai quali non importa nulla se Renzi si fa la doccia gelata (che poteva evitarsi essendo anche Presidente del Consiglio e non soltanto un privato cittadino, magari aggiungendo un annuncio – uno più uno meno che costava? – sulle misure che avrebbe intrapreso per favorire la ricerca contro la terribile SLA), se sta trascorrendo vacanze in un hotel di lusso (beato lui che se lo può permettere), se festeggia venti anni d’amore con la moglie, se fa soltanto una settimana di vacanza.
Vorremmo parlare delle misure che il governo ha in mente per riformare la scuola perché se da un lato apprendiamo dalla ministra Giannini che si aboliranno le supplenze, vorremmo anche comprendere cosa ne sarà dei supplenti che finora hanno sbarcato il lunario da decenni proprio con quelle: che volete a sinistra abbiamo questo terribile vizio di voler sempre pensare a chi non ce la fa!
Vorremmo discutere insieme – perché per questo erano stati concepiti i social e non per sfogarci in curva – dell’emergenza umanitaria delle nostre coste, perché da sinistra riteniamo i 113 mila migranti finora recuperati 113 mila esseri umani salvati dalla morte (grazie Teresa per il tweet in merito).
Preferiremmo parlare di quello che avviene in Terra Santa senza dividerci in fanatici perché tanto Hamas quanto il governo di Israele si stanno comportando come degli scellerati sulla pelle dei due popoli israeliani e palestinesi che subiscono l’arroganza delle due fazioni (non mi convince affatto la proporzione Hamas sta ai palestinesi come la mafia sta ai siciliani che una blogger fa sul suo blog, così come non mi convince affatto incolpare l’intero popolo israeliano della condotta troppo dura del proprio governo).
Vorremmo insomma discutere e anche litigare di politica e invece ci troviamo invischiati in astruse battaglie infantili di chi è pro o contro Matteo Renzi, e il Premier farebbe molto bene a riflettere sulle sue responsabilità relativamente al clima che si respira sui social network.
Abbiamo vissuto venti anni in un referendum continuo perenne su chi fosse dalla parte di Silvio e chi invece fosse contro Silvio: adesso forse sarebbe anche arrivato il tempo di discutere di politica, lasciando in un angolo i personalismi e – come ha scritto Luca Sofri oggi su Twitter – prestare maggiore attenzione a cosa si dice e non a chi lo dice.
Renzi ha vinto primarie ed elezioni europee. Bene, bravo. Adesso però deve governare: sono passati sei mesi e vorremmo vedere le slide degli annunci concretizzarsi effettivamente in decreti e disegni di legge.
Perché la democrazia funziona così: non bastano purtroppo né le slide né i tweet.
p.s. stendiamo un velo pietoso sui più esposti parlamentari del Movimento Cinque Stelle: non ne vale nemmeno più la pena.