Tara, Tara, Tara
Non riesco nemmeno più a ricordare né quando fu la prima volta che lo vidi né per quante altre volte quel kolossal è riuscito a tenermi inchiodato davanti alla TV nonostante le quattro ore circa di proiezione. Che poi non lo guardo per tutta la durata. Spesso durante la prima parte faccio altro, leggo, scrivo. E così anche ieri sera.
È stato a causa di questo film che mi sono interessato molto alla storia americana, alla guerra di secessione fra nord e sud, allo schiavismo (grazie anche allo sceneggiato Radici, ricordate?) e alla liberazione da ogni forma di razzismo, di colore, di etnia, di religione, di pelle.
Trovo che ciascun personaggio di quel film sia delizioso: il goffo Ashley, incredibilmente oggetto del desiderio di una donna determinata, intraprendente, indipendente e poco convenzionale come Rossella (suvvia, quante volte accade nella vita reale?); l’affascinante Rhett, sciupa-femmine incallito, immischiato in affari poco leciti ma che non esita a rivoluzionare la propria vita non appena nasce la primogenita, Diletta, che muore per un disgraziato incidente (credo siano pochissimi i padri che non si sciolgano di fronte alla propria figlioletta!); la mite Melania, donna che sopporta la passione affatto sopita della cognata per il marito e che diviene una sorta di eroina per le conformiste dell’epoca; l’immensa Mami, doppiata in italiano secondo i dettami dell’epoca (palesemente razzisti), capace di ricoprire straordinariamente quel vuoto in casa che Rossella non era in grado di intraprendere né forse ne era pienamente interessata.
E poi c’è lei, Rossella O’Hara, una donna per la quale – per forza di cose – un uomo capitolerebbe! E non soltanto per Vivian Leigh che le ha dato il volto, sublime bellezza dell’epoca e con un paio di occhi verdi da mozzare il fiato! Ma soprattutto per il carattere di questo personaggio e per una dimensione di donna così moderna che proietta nel mondo, tenendo specialmente in debita considerazione sia l’epoca di ambientazione del film (post secessione, albori della rivoluzione industriale) sia il tempo nel quale la pellicola stessa è stata realizzata (il libro della Mitchell è del 1936, mentre nelle sale il film arrivò tre anni dopo).
Ma la vera protagonista di Via col Vento, che fa da sfondo e palcoscenico a tutte le vicende narrate, è una sola: Tara, la piantagione georgiana di proprietà degli O’Hara che tiene come incollata a sé Rossella con tutto il suo mondo, salvo quella sorella che vede invece nella terra di origine e nel successo di Rossella una sorta di avversità, il nemico, dal quale fuggire.
Tara, amata e odiata, dalla quale Rossella prima fugge – per raggiungere Atlanta, la città e quindi una vita più entusiasmante di quella dei campi – e poi vi ritorna, dopo la guerra, addirittura a lavorare quella stessa terra che ormai non riceveva più le cure delle braccia degli schiavi liberati. Sperimentata la povertà e “giurato su Dio” di non voler più soffrire la fame, Rossella si ributta a capofitto nel mondo dell’impresa, con mezzi più o meno leciti, sottraendo persino con un squallido ma scaltro escamotage il marito imprenditore alla sorella, ormai disperata perché potrebbe diventare “zitella“. Quando poi finalmente cede, un po’ per fascino e molto per i soldi, alla corte di Rhett, Rossella sembra ormai affrancata dalla sua origine terriera e grazie al marito riesce a farsi accettare da una società, ipocrita e bigotta, che non le perdonerà mai l’infatuazione “non corrisposta” per Ashley, sentimento che le comporterà la rottura finale con il terzo marito. Ed è proprio in quel momento che Rossella si rifugia ancora una volta in Tara, nella sua terra, dove trova tutta la forza per ricominciare e per trovare lo stimolo per il futuro, chiudendo con la frase ottimistica per eccellenza “Domani è un altro giorno!“.
Tara diviene quindi punto di inizio e fine della storia, alfa e omega si direbbe quasi blasfemamente.
Rappresenta qualcosa che noi emigranti, più o meno forzati e più o meno benestanti, conosciamo bene: le nostre radici. Siamo un po’ tutti Rossella nella vita: andiamo via perché vogliamo affrontare il mondo, scoprire nuove opportunità e nuovi stimoli. Lo facciamo per disperazione, per scelta, per amore.
Chi riesce nel proprio mestiere, chi sente di aver realizzato i propri obiettivi e desideri, chi si sente appagato dalla vita che avrà vissuto, allora forse riuscirà a costruirsi una propria “Tara”, da un’altra parte.
Poi ci sono quelli che – come Rossella – si trovano a dover ricominciare spesso, sia perché le avversità li colpiscono ma non si lasciano sopraffare sia quando invece sono nuovi stimoli, nuovi bisogni a condurre la danza della vita. Questi trovano la forza soltanto dalle proprie radici, dalle proprie origini, dalla propria Tara.
Dice un detto popolare “la mamma è sempre la mamma“, alludendo alla capacità consolatoria che quasi sempre soltanto le madri possiedono. Ecco forse lo stesso è per le nostre “Tara“.
Tara è sempre Tara.