Sudditi e cittadini

 In LIFE

N e parlavo giusto domenica al parco con un ricercatore precario, temporaneamente rientrato in Italia e pronto già con i bagagli per ripartire con la famiglia non appena un progetto di ricerca fuori confini lo sedurrà nuovamente, e ne avevo già parlato quattro anni fa quando cominciai a scrivere su questo blog: ma siamo proprio certi che questo modello di convivenza sociale, di “Codice Civile” ancora legato a doppio filo al Codice Romano, sia l’unico modello accettabile e sostenibile da parte dei cittadini? Siamo sicuri che noi italiani, che vogliamo una legge, un regolamento, una normativa per regolare qualunque aspetto della nostra vita, siamo nel giusto e che invece un’interpretazione un tantino più lasca e più “responsabile” non sia possibile?

Ieri mi sono imbattuto in questo tweet ironico e surreale della bravissima blogger Chiara, romana di nascita ma da qualche tempo londinese, che ha condiviso la sua vicende presso un Commissariato di Polizia:

Oggi sia su Twitter che sulla pagina ufficiale Facebook del suo blog, Ma che davvero?, Chiara ha poi raccontato l’epilogo dell’ennesima vicenda surreale che – sappiamo bene – contraddistingue la quasi totalità della Pubblica Amministrazione Italiana, a seguito del furto della sua patente di guida:

Il problema principale dei nostri sportelli pubblici è ben messo in risalto dal risultato che la blogger porta a casa: moduli, peraltro senza sapere se vadano bollati o meno (ma c’è qualcuno che mi spiega quale sia la ratio della “marca da bollo“, a parte spillare 16 euro al cittadino senza alcun servizio aggiuntivo da parte dell’Amministrazione Pubblica?), nessuna informazione, totale confusione e un invito a rivolgersi al Consolato Italiano di Londra o a qualche autorità britannica, come se non si trovasse in quel momento nell’unico ufficio depositario per risolvere la questione e che dovrebbe conoscere ogni cosa riguardante i permessi di guida nel nostro Paese, persino se riguardano un cittadino che è residente fuori dall’Italia.

La duplice sventura capitata a Chiara, al Commissariato e alla Motorizzazione, riassume in maniera esemplare i problemi che in Italia quotidianamente affrontiamo.

Innanzi tutto la totale assenza di etica pubblica da parte di chi è deputato al rapporto con il pubblico: se in un Commissariato di Polizia, cioè in un ente preposto alla sicurezza del “popolo” si arriva a rispondere che un cittadino italiano che vive all’estero (per scelta) non può pretendere gli stessi servizi di me che sono residente qui, allora è del tutto evidente che non si è capito un bel nulla di chi sia il tuo datore di lavoro e per quale motivo tu indossi quella casacca, in questa partita nella quale sei chiamato a giocare in nome e per conto del popolo italiano. Ne avrò parlato forse decine di volte: quando atterri negli Stati Uniti ti salutano con un “Benvenuto” se sei straniero, con un “Bentornato” se sei Americano: non è ipocrisia, non è forma, è sostanza. In quel momento l’ufficiale di polizia frontaliera sente di rappresentare gli interi States, non se stesso. Da noi non è mai (quasi mai, in omaggio ai miei studi scientifici che mi impediscono di affermare che un evento è definitivamente certo!) così, anzi è quasi sempre il contrario! Il cittadino che entra in un qualunque ufficio pubblico ha subito l’impressione di essere “suddito” e non “sovrano” come la “Costituzione più bella del mondo” recita: ti affacci al bancone e temi il nemico, i sotterfugi, le trappole che la legge – quella che dovrebbe tutelarti – ha fra le sue stesse maglie, che sono state tessute con l’astuzia più perfida da legislatori, alti burocrati e fini giuristi.

E questo apre però spazio per un altra riflessione: questo ossessivo bisogno di una legge, di un regolamento, di un’interpretazione autentica (quante volte le Sezioni Unite della Cassazione sono dovute intervenire per interpretare una legge appena varata dal Parlamento, altrimenti inapplicabile!) è proprio necessario? Non siamo forse un po’ vittime anche di noi stessi, del nostro stesso passato, farcito di codici e bizantinismi spesso incomprensibili? Chiara vive in un paese regolamentato dal Common Law, dal diritto comune: siamo sicuri che lì, dove non esiste nemmeno una costituzione formale perché è così antica la loro democrazia da non aver mai messo nero su bianco una Legge Fondamentale, ma si basano ancora sui principi fondanti della Magna Charta, sono così tanto più arretrati di noi, patria del diritto romano, culla della giurisprudenza europea?

Ciascuno di noi ha avuto mille esperienze nelle quali il buon senso e il comune sentire avrebbero risolto miriadi di questioni altrimenti demandate all’interpretazione di un ufficio, spesso diretto da uno svogliato funzionario, che non comprende che quella persona che ha di fronte è il tuo datore di lavoro, è il tuo sovrano: dovrebbe comprendere che è lui a lavorare per te e non viceversa! Questo ci porta quindi a una domanda conclusiva: c’è una responsabilità individuale nelle nostre azioni “pubbliche” anche se possono non essere pienamente codificate fra i cavilli della legge che dobbiamo applicare in quanto dipendenti pubblici?

E qui – come si suol dire – casca l’asino: la responsabilità individuale esiste, eccome! Noi italiani abbiamo demandato ogni cosa alla presenza di una legge, all’esistenza di una norma che ci regolasse persino il rapporto con il nostro vicino di casa, cose che in qualunque altro paese occidentale avanzato avviene attraverso la buona educazione e il rispetto per il ruolo che il pubblico deve portare verso i contribuenti (ricordo a chi non lo sa che in molti stati americani la stretta di mano ha valore vincolante per un contratto!). Non soltanto il Commissariato di Polizia presso il quale si è rivolta la blogger non doveva permettersi di fare (e nemmeno di pensare!) distinzioni fra cittadini dello Stivale e quelli oltralpe, ma avrebbe dovuto attivarsi affinché la sua denuncia fosse in qualche modo ben segnalata. E se questo non fosse stato nelle sue competenze, per nessuna ragione al mondo si dovrebbe ipotizzare che i servizi universali dello Stato che un cittadino riceva “dipendano” dal luogo fisico di residenza, visto che il passaporto sempre quello è.

Peggio – e ce ne vuole! – alla Motorizzazione: in un paese normale – se c’è un dubbio normativo su chi deve emettere un documento – si prova a risolvere il problema (anche chiamando eventualmente il Consolato londinese, visto che anche quello – a norma di legge – è territorio italiano tanto quanto Piazza di Spagna!). In un paese normale i problemi si affrontano con serietà, non a tentativi. Meglio il nulla come risultato che la confusione.

Infine è responsabilità di chi le leggi le pensa, le scrive, le interpreta e le attua, far sì che il cittadino sia veramente sovrano nell’esercizio delle sue funzioni e non si ritrovi invece “suddito” di un monarca presuntuoso, altezzoso e persino confusionario come lo Stato italiano è ormai diventato: una responsabilità che è anche – direi soprattutto – individuale e che può essere la chiave di volta per sbrigliare questa matassa complicatissima che abbiamo tutti contribuito a creare.

 

p.s. chiedo anticipatamente scusa agli amici avvocati, legali, procuratori, magistrati, giuristi, semplici laureati in giurisprudenza, se possano sentirsi in qualche modo attaccati da queste parole: è che le leggi non dovrebbero capirle solo loro, ma anche il contadino con la quinta elementare che ancora zappa la terra e del quale – probabilmente – si gustano il pane cotto a legna nel resort di campagna dove le loro membra, stanche dello stress cittadino, vanno a riposare nei weekend autunnali!

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