Ritornare e Ripartire
Avevo in mente un altro post, al mio rientro dalla prima tranche di vacanze in Valle d’Aosta e in Costa Azzurra. Poi dopo le prime 48 ore nuovamente in territorio italiano ho cambiato idea. Sarà forse anche colpa di questa giornata uggiosa di luglio, così strana da sembrare ottobrina se non fosse per il caldo umido che comunque si sente nella Capitale.
Ogni volta che torno da un viaggio è come se lasciassi una parte di me fuori dallo Stivale: è stato molto bello rivedere posti scoperti durante la mia adolescenza e godersi poi il sole e il mare di una città come Nizza. Ma inevitabilmente – tornando – si fanno i conti con la realtà e con quella routine quotidiana che tutti noi viviamo e subiamo, quinta inevitabile di quel palcoscenico che è la nostra vita.
Ma quando torno dall’estero, o da una valle così ben organizzata e amabile come quella valdostana, sta diventando ogni volta sempre più diverso e sempre più duro: avverti infatti un divario sempre più crescente fra l’Italia e le altre nazioni europee a noi confinanti in termini di qualità della vita e di servizi. Comprendi che soltanto il nostro clima e il nostro cibo ci fanno ancora tirare la carretta e questo ti fa montare una certa rabbia.
Nei dieci giorni trascorsi fuori dalla Capitale, mentre noi ci godevamo le nostre montagne più alte e l’atmosfera garbata e giovanile della città che diede i natali a Giuseppe Garibaldi, al confine di questo nostro continente, ancora troppo legato alla propria geografia fisica e incapace di diventare soggetto politico a tutto tondo, tragedie terribili sono avvenute: dall’est europeo, dove un aereo di linea – come migliaia ogni giorno si alzano in volo sulla Terra e ci consentono di raggiungere amici e parenti sparsi nel pianeta – veniva abbattuto con un vile atto terroristico, all’estremo sud, di fronte al nostro mare, il Governo di Israele, con la scusa di annientare i terroristi di Hamas, sta letteralmente distruggendo Gaza, con un bombardamento a pioggia che non risparmia nemmeno le spiagge ovviamente popolate più da famiglie e bambini che da contraerea.
E noi, nel mezzo del Mediterraneo, culla della civiltà, centro della cristianità, eredi del più grande impero che si sia mai visto sulla Terra, siamo impegnati a discutere su una riforma costituzionale del Senato che non convince nemmeno gli osservatori più simpatizzanti del governo Renzi e a commentare la nuova “innocenza” di Silvio Berlusconi, graziato dalla Corte di Appello di Milano con una sentenza che nella lettura del solo dispositivo ha un non so che di surreale e di comico, ennesima dimostrazione di un provincialismo sfacciato che ormai non ci stiamo più scrollando di dosso e di una sempre maggiore irrilevanza in ambito internazionale.
È dura tornare in Italia, riprendere anche solo per poco tempo la vita di ogni giorno, fare i conti con il traffico, le tasse, le bollette, annaspando fra l’atavica mancanza di servizi che pongono la periferia della nostra città principale molto più vicina a quelle di una capitale del terzo mondo che ai sobborghi di una moderna città europea.
Ti accorgi di cosa significhi investire sul proprio territorio e sulla salvaguardia del proprio ambiente, ammirando la cura per la pulizia e per la manutenzione di strade, sentieri e percorsi che nella Valle d’Aosta la regione pone come obiettivo fondamentale per non perdere visitatori
Alla civiltà, alla qualità della vita, ti abitui subito: vedi Nizza investire sulla cultura, e mentre leggi sui loro lastroni di marmo la scritta “un museo a cielo aperto“, per pubblicizzare un nuovo percorso ciclotramviario, inevitabilmente pensi: “se quello è un museo a cielo aperto, i centri storici di moltissime nostre città, da Roma a Firenze, da Venezia a Pisa, da Lucca a Bologna, da Padova a Napoli, da Orvieto a Lecce” – e potrei continuare ad libitum – “che cosa sono?“.
Ti accorgi di cosa significhi investire sul proprio territorio e sulla salvaguardia del proprio ambiente, ammirando la cura per la pulizia e per la manutenzione di strade, sentieri e percorsi che nella Valle d’Aosta la regione pone come obiettivo fondamentale per non perdere visitatori: persino i cassonetti della raccolta differenziata, in quasi ogni villaggio, paesino o borgo nella Valle, sono di legno e realizzati in tema con il territorio, non quegli obbrobri che vediamo sulle nostre strade.
Capisci come una città di mare come Nizza, come ne abbiamo a iosa noi qui lungo lo Stivale, da Genova a Catania, da Bari a Palermo, da Pescara a Napoli, da Reggio Calabria a Trieste, città grandi almeno quanto quella francese, abbia saputo investire nel turismo in maniera impeccabile, pedonalizzando dove possibile e investendo sulla mobilità sostenibile, anche con un sistema pubblico di trasporto su bicicletta con un costo irrisorio di 25 euro per l’abbonamento annuale. Ovviamente non mancano nemmeno lì i problemi, dalle banlieue più complicate a rischio violenze alla crisi economica che impone di inventarsi i lavori più disparati, sfruttando la vocazione turistica della città. Ma la violenza dello scempio del paesaggio l’avverti drammaticamente passando il confine fra Mentone e Ventimiglia: se il primo è un delizioso borgo marinaro, ideale per vacanze rilassanti, l’approccio alla seconda, la prima cittadina ligure che si incontra, si palesa ai visitatori con una massiccia cementificazione, brutta, oscena e con palazzi di eccessiva elevazione, vecchi e privi di manutenzione che non la rendono nemmeno lontanamente paragonabile a quella transalpina.
D’altronde anche in Valle d’Aosta l’eccesso di cementificazione c’è stato: basti guardare Cervinia, baciata dalla fortuna per la sua posizione strategica sotto il ghiacciaio, una cittadina che continua a crescere in altezza e senza alcun criterio, deturpando un paesaggio che fortunatamente, a distanza di qualche chilometro si riesce comunque ad ammirare. Nella cittadina di Valtournanche, al centro della valle che poi culmina con la più famosa località sciistica sotto il Cervino, ho chiesto a uno del luogo, il proprietario di un vecchio bar, come fosse stato possibile uno scempio simile del paesaggio. Ero probabilmente ancora molto preso da Chamonix, la meravigliosa cittadina sotto il Monte Bianco sul versante francese, e da Chamois, borgo della stessa Valtournanche accessibile soltanto con la funivia, dove il cemento era stato adoperato “cum grano salis“: «Sa cos’è?» – mi racconta – «Cervinia è su un’altitudine molto elevata e lassù non crescono alberi, quindi hanno avuto tutta la libertà di costruire in elevazione. Qui da noi invece si è preferito conservare di più la scenografia ambientale naturale».
Ecco rientrare nella vita di tutti i giorni, ascoltare e leggere gli slogan e i tweet dei politici (in primis quelli del nostro Premier in Africa) e sentire le reazioni paradossali alla sentenza milanese dell’ennesimo processo a Berlusconi, comprendi che l’Italia, Roma, il Nord e il Sud, sono così perché noi li abbiamo voluti così.
Se per noi diventa normale che un Capo del Governo in carica chiami la Questura per far liberare una ragazza con la quale è andato a letto (a pagamento, pur non sapendo la sua età, così ha detto la Corte), inventandosi persino la balla sesquipedale della parentela con Mubarak; se la stampa nazionale digerisce persino l’ultima renzianata sull’analogia fra la riforma del Senato e il PIN del telefonino (faccio notare che Matteo Renzi governa da cinque mesi, esattamente tanti quanti ne aveva governati Enrico Letta quando la bomba della decadenza dell’ex Cavaliere fu innescata e il governo cominciò a ballare sui numeri fino al 2 ottobre quando Forza Italia uscì dalla maggioranza); se veramente diamo credito al fatto che queste riforme costituzionali siano realmente ciò che il Paese ha bisogno in prima battuta anziché lavoro e investimenti pubblici su scuola, sanità e turismo; beh allora la responsabilità non è soltanto dei governanti che si sono succeduti negli ultimi cinquanta anni. Siamo noi tutti a essere responsabili di aver rovinato il Belpaese, di averlo reso invivibile per i suoi abitanti, almeno per quelli che non hanno abbastanza fondi per godersi ciò che rimane della sua bellezza.
Se noi accettiamo ancora Silvio Berlusconi come attore pubblico, un uomo che ha fallito miseramente in politica non essendo stato capace di replicare il suo successo privato (al netto della provenienza non sempre lecita della sua fortuna); se per noi va bene che l’Italia sia scesa al quinto posto dopo Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina per ciò che concerne il turismo; se per noi è buona cosa avere le strade peggiori dell’Europa occidentale che ovviamente non rendono “appetibile” un certo tipo di viaggiatori; se noi ancora non abbiamo capito che il nostro petrolio, cibo, arte e paesaggio, deve essere in qualche modo “raggiungibile” allora è perfettamente inutile sperare nell’uomo solo al comando o nell’uomo della provvidenza.
Non è certo Matteo Renzi, con la sua stravaganza e il suo spirito giovanile, che potrà mai cambiare il Paese né farlo avanzare: non è un Senato non elettivo né una riformulazione delle competenze fra Stato e Regioni del titolo V della Carta e nemmeno un’eventuale svolta presidenziale per il governo del Paese, non è niente di tutto ciò che ci farà andare avanti al passo con gli altri.
Serve vision e questa, quando si torna in Italia, non si riesce a scorgerla nemmeno con il binocolo.
mi manca ascoltare le chiacchiere in siciliano e sentire il profumo di zagara a maggio e i gelsomini in estate; il pesce appena pescato e lo sbuffo dell’Etna che mi accompagna, dorandosi, nei pomeriggi d’estate; il mare impetuoso d’inverno
Vi avevo promesso – prima della mia partenza – qualche reportage: beh, di materiale ne ho molto. Ho scattato un migliaio di foto, fra reflex e iphone, quindi avrò modo di raccontarvi dopo l’estate la mia Valle e la mia Nizza, anche con qualche particolare suggerimento per escursioni con bambini, visto il successo che il tour ha avuto sulla mia piccolina. Tuttavia questo per me è ancora tempo di disfare e rifare i bagagli: sabato si parte per il viaggio più atteso, quello del ritorno in Sicilia, rientro che attendo dall’Epifania. E sei mesi cominciano proprio a diventare troppi.
Ogni volta che torno nella Capitale, dopo un viaggio, mi rendo conto che – per quanto mi sforzi – io a Roma al massimo posso volere bene: le sono grato per la famiglia che mi ha dato l’opportunità di costruire, l’immenso dono di una figlia straordinaria che ho avuto, le opportunità lavorative che mi hanno consentito e mi consentono di viaggiare, studiare, scrivere e fotografare.
Ma la tua terra, con i suoi sapori, i suoi profumi e i suoi malumori, con i suoi innumerevoli pregi e i suoi enormi difetti, fa parte di te: mi manca ascoltare le chiacchiere in siciliano e sentire il profumo di zagara a maggio e i gelsomini in estate; il pesce appena pescato e lo sbuffo dell’Etna che mi accompagna, dorandosi, nei pomeriggi d’estate; il mare impetuoso d’inverno, con le onde che si infrangono sulla scogliera di Ognina, e il primo tepore primaverile che già ti spinge sulla spiaggia a prendere la prima tintarella.
Tutto questo lo devo concentrare in quasi due mesi, fra l’estate e Natale, e più passa il tempo più senti che di tempo ne servirebbe sempre di più. Vorresti che quella sia la tua base di partenza per i tuoi viaggi e soprattutto per i tuoi ritorni: perché viaggiare è sicuramente bellissimo, appagante e istruttivo. Ma un viaggio è tale se ha un ritorno, un campo base dove raccogliere i tuoi pensieri, rielaborare le tue esperienze, organizzare i tuoi ricordi.
Ed è proprio questo, il vero ritorno, il viaggio che mi aspetta sabato mattina.
p.s. in alto alcune fra le montagne valdostane viste da Chamois e qui un assaggio di Nizza