Gufi senza risposta

 In POLITICA
Sono almeno quattro mesi, se non di più, che a fronte di una richiesta di spiegazioni, sul “perché” i senatori della futura assemblea di Palazzo Madama non debbano essere eletti dal popolo, il segretario del Partito Democratico e Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi, ben spalleggiato dal Ministro Maria Elena Boschi, dal suo successore a Firenze Dario Nardella e da una stucchevole e incredibile ola di autorevoli giornalisti ben allineati risponde che chi si pone questa domanda è un “gufo e rosicone” e che vuole ostacolare le riforme.

Il nostro giovanissimo e bravo premier ha tanti pregi, su questo non c’è dubbio alcuno: persino l’imbarazzante endorsement di Piersilvio Berlusconi, pur col filiale distinguo in favore del padre, diviene normale nel deserto della politica italiana di fronte all’attivismo dell’ex sindaco fiorentino. Tuttavia temo che il buon Matteo, nella foga di fare (o di annunciare) le cose, stia dimenticando che c’è una grossa fetta del Paese, che è sostanzialmente indipendente dai propri rappresentanti ed è abituata a ragionare con la propria testa senza sposare a priori le tesi del politico di turno (lui compreso), che ancora quella domanda se la pone e non riesce a ricevere risposta.

Voglio farvi osservare alcuni numeri: nel 1951, anno nel quale si tenne il IX censimento generale in Italia e il primo dell’era repubblicana, il nostro Paese contava 47.515.537 persone residenti. Sessanta anni dopo, nel 2011, eravamo residenti in 59.433.744, quasi dodici milioni di persone in più. Il rapporto quindi fra eletti (coloro che ci rappresentano) e cittadini residenti (quindi quelli da rappresentare) passava quindi da un eletto ogni 50.280 cittadini nel 1951 a uno ogni 62.892 dei giorni nostri.

Nel caso si vari la riforma costituzionale proposta, con un Senato quindi non elettivo, cioè non frutto della scelta “diretta” dei cittadini, la rappresentanza cambierà in un eletto ogni 94.339. Si dirà che questo è il prezzo della modernità, del fatto che gli esecutivi devono essere più robusti rispetto al potere legislativo che spesso è più lento e non può rispondere all’esigenza di prendere decisioni veloci di fronte alle emergenze che il mondo globalizzato ci pone frequentemente.

Ci può anche stare questo ragionamento, tuttavia c’è sicuramente un “però“: la Camera bassa non verrà eletta secondo un meccanismo di ripartizione di collegio o di preferenza, in modo che i cittadini possano in qualche modo partecipare alla scelta del singolo parlamentare, bensì dovrebbe avvenire – secondo il modello di legge elettorale “Italicum” già votato dalla Camera dei Deputati – attraverso mini liste bloccate, dai cinque ai sei candidati per circoscrizione, con la possibilità della candidatura plurima (e quindi la successiva opzione dell’eletto), con soglie di sbarramento molto alte per liste non coalizzate e persino con l’attribuzione dei seggi del premio di maggioranza tutte a un partito anche se i voti “provengono” da un altro membro di coalizione non sufficientemente votato da far superare la soglia (ipotesi più che reale nel caso ad esempio dei due poli storici con SEL e Fratelli d’Italia).

A fronte di questi problemi, che sono stati sollevati da tantissimi esponenti, soprattutto costituzionalisti (con pochissime e rare eccezioni fra le quali Stefano Ceccanti) appare surreale che in Commissione Affari Costituzionali, pur di andare avanti l’unica attenzione si stia rivolgendo sulle garanzie della figura del parlamentare – che non mi scandalizza affatto se fossimo un paese normale – ma che assume contorni surreali dal momento in cui ancora non è nota la composizione del Senato medesimo.

Legge elettorale per l’unica camera politica e riforme dell’assetto istituzionale non possono quindi essere slegati perché in un sistema maggioritario non può essere consentito che funzioni e organi di garanzia possano essere eletti a maggioranza semplice.

Non è un vezzo di noi gufi e rosiconi quello di intestardirci sui pesi e contrappesi di una democrazia ma ne va della salute di quest’ultima che i poteri dello Stato siano fra loro bilanciati: in nessun paese occidentale e democratico del mondo l’esecutivo, e la maggioranza che lo sostiene, può definire anche gli assetti istituzionali di garanzia, dal Capo dello Stato ai membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura. Ci permettiamo quindi – da buoni rapaci  – di elencare ancora una volta i problemi delle riforme proposte dal Governo:

  1. Composizione del Senato: se lo si vuole composto di consiglieri regionali e sindaci (nonostante non si capisce per quale motivo ci sia tutta questa enfasi nei confronti di questi amministratori locali visti gli scandali nelle regioni e l’invivibilità diffusa delle nostre città!) allora questi non possono certo avere l’immunità parlamentare di qualunque tipo, a meno che la si limiti all’esercizio delle proprie funzioni. Tuttavia rimarrebbe complicato impedire che Dario Nardella, che a ogni piè sospinto ci ricorda che egli qualunque cosa la dice “da sindaco“, improvvisamente scopra di poter parlare come “senatore” per garantirsi l’immunità funzionale. L’alternativa è di eliminarla anche per i deputati.
  2. Elezione del Capo dello Stato: il collegio elettorale per l’elezione del Presidente della Repubblica è fortemente influenzato dal sistema maggioritario della Camera e dalla composizione “maggioritaria” degli enti locali e lo stesso per i due terzi del Parlamento in seduta comune necessari per l’elezione dei giudici costituzionali;
  3. Legge elettorale “Italicum”: assicura governabilità ma non consente né la scelta dei rappresentanti né la rappresentatività persino di un’eventuale lista di circa tre milioni di voti.

Si tratta onestamente di pochi punti e potrebbe essere relativamente semplice trovare una soluzione che salvaguardi la democrazia e il potere sovrano dei cittadini. Ad esempio si potrebbe far eleggere proporzionalmente i senatori con un collegamento con i consiglieri regionali: diverrebbero rappresentanti delle regioni e delle istanze della cittadinanza.

Si potrebbero mantenere i delegati regionali allo stesso modo del meccanismo vigente per controbilanciare la maggioranza politica della Camera nel caso del collegio presidenziale e magari estenderlo ai giudici costituzionali e ai membri laici del CSM.

Si potrebbe mantenere l’Italicum riducendo ulteriormente le circoscrizioni (il miglior sistema sarebbe il collegio uninominale con ballottaggio di collegio), imponendo le primarie per legge, eliminando le candidature plurime e togliendo qualunque soglia di ripartizione dei seggi, tanto al ballottaggio il premio viene comunque assicurato.

Infine una considerazione sui costi: nelle slide della Ministra Boschi si continua a parlare di “costi” delle istituzioni: non v’è dubbio che la democrazia abbia un costo e solo i demagoghi alla Grillo possono sostenere il contrario. Tuttavia non è tagliando tout-court il numero di parlamentari o le loro indennità che si risolvono i problemi di bilancio. Innanzi tutto perché le strutture, quindi i lavoratori, rimangono e non è immaginabile licenziare tutti i dipendenti del Senato (così come quelli delle province). Ma soprattutto bisognerebbe maneggiare con cura la democrazia interna di un paese perché basta un niente per spazzare via decenni di conquiste e rendere inutili milioni di morti per avercela comunque consegnata.

 

p.s. Dimenticavo: Sarebbe troppo pretendere dal governo meno slide e più disegni di legge?

 

photo credit: Achim Raschka)

 

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