Passi, passetti e passettoni

 In LIFE

Aveva ancora sette mesi quando, in un parco della Capitale nel nostro amato ex quartiere Espero, Elisa veniva catturata dall’obiettivo della fotocamera della mamma, intenta a curiosare sul quotidiano di papà. Non ricordo su quale immagine fosse caduta la sua attenzione, se fosse relativa a una notizia o se invece fosse soltanto pubblicità. Ma a questa foto ci sono molto affezionato tanto da averla messa anche nella mia presentazione. Mi è tornata in mente stamattina presto quando, leggendo lo stesso quotidiano prima di andare in piscina, mi sono ricordato che oggi – venerdì – Elisa non va a scuola. Le sue attività sono infatti terminate ieri ma stavolta non è come l’anno scorso: ieri si è infatti conclusa la fase del jardín, come direbbero i miei amici argentini, e a settembre comincia l’avventura nella “vera” scuola.

Questo non è un post che serve a decantare le lodi di mia figlia: chi mi conosce personalmente sa bene quanto io adori quella piccola, dolcissima, bellissima e a volte insopportabile peste. Invece volevo confessare che si prova una certa emozione al pensiero che un esserino che anche tu hai contribuito a mettere al mondo (sebbene a noi maschietti non basterà una vita intera di buon genitore per compensare la fatica “fisica” di partorirla!) sta per spiccare un altro tratto del volo che la porterà verso la “sua” vita.

Che mi ha lasciato la scuola dell’infanzia di Elisa?” – mi chiedevo l’altro giorno in moto.

Beh, sicuramente mi ha confermato in un’idea: almeno l’ultimo anno, quando i bambini hanno cinque anni, andrebbe “istituzionalizzato” e reso obbligatorio, magari con classi più omogenee. Se è vero che ancora sono molti i piccoli che hanno bisogno di “giocare” è altrettanto vero che nelle classi di età mista mi sembra che la differenza fra i più grandi e i più piccoli sia molto netta e il tipo di “gioco” e il tipo di “necessità educative” che gli scolari hanno sono completamente differenti e non sempre si riesce a lavorare bene con tutte le fasce di età.

Ma questo riguarda più la politica che la genitorialità! E questo non vuole essere un postpolitico“!

Questi tre anni sono stati enormi esperienze anche per noi genitori: abbiamo visto crescere, cambiare, evolvere una bambina che a volte quasi si fa fatica anche solo a ricordarla quando aveva sette mesi. L’abbiamo vista soffrire per qualche incomprensione e qualche litigio con le sue amichette del cuore, piangere per qualche rimprovero a scuola, ridere di felicità per una sorpresa inaspettata. Una cosa è rimasta più o meno la stessa: la sua curiosità. La osservo quando “fa i suoi lavori“, quando formula le sue domande e quando “impone” le sue risposte. Ha voglia di conoscere e sapere, di affermare la propria personalità, di rivendicare la propria autonomia.

A volte scherzando dico che non avrei mai immaginato di avere a che fare con adolescenti a cinque anni. Un’amica mia mi prende in giro. Dice che la colpa è nostra perché parliamo troppo con lei e la stimoliamo troppo … aggiungendo che anche lei fa lo stesso errore con il figlio e quindi forse vivono più sereni quei genitori che raccontano balle ai bambini pur di sviare anche le domande più imbarazzanti!

Eppure sono convinto che la strada intrapresa, pur se faticosissima, sia anche la più gratificante: le avremmo potuto rispondere – a una classica domanda, per esempio – che i bambini nascono sotto un cavolo o che li porta la cicogna. Sarebbe stato sicuramente più comodo, sebbene dubito fortemente che una bambina come lei si sarebbe bevuta una balla simile. Ma ci saremmo persi la straordinaria metabolizzazione del concetto che ha elaborato quando ha saputo che contribuisce pure il papà, con il “semino“, ad aver messo lei dentro la pancia della mamma sei anni fa. Questa vicenda mi ha ricordato un episodio che raccontò Alessandro Gilioli, giornalista dell’Espresso, quando scrisse di come la figlia (circa coetanea della mia) prese la notizia che esistono nella realtà quotidiana famiglie con due papà, con due mamme, con una sola mamma, con un solo papà. “Ah, ok” – la lapidaria risposta di una bambina che non ha ancora i filtri mentali di noi adulti.

Fra qualche mese, questa creatura di quasi sei anni, comincerà la scuola dell’obbligo: una scuola devastata da anni e anni di incurie e di tagli (e qui ritorna l’analista politico, sorry!).

Noi genitori facciamo anche volentieri il sacrificio di pagare la carta igienica, le saponette e i rotoli asciuga-tutto. L’unica cosa che però chiediamo, in questo periodo di forti sacrifici per tutti, è che l’investimento in “istruzione“, che si dovrebbe tradurre in docenti e moduli educativi all’altezza del terzo millennio di un mondo definitivamente globalizzato, con buona pace del demagogo di turno, sia sempre cospicuo e mai buttato al vento.

Vorremmo una scuola che ci aiuti a formare i nostri figli perché la famiglia – da sola – non potrà mai bastare. Vorremmo una scuola nella quale l’educazione civica, o comunque la si chiami ora, non sia più l’ora di lezione per far rilassare gli studenti con un po’ di chiacchiere sulla Costituzione, fra una chat e un tweet, ma sia effettivamente tempo dedicato a formare i nuovi cittadini di domani.

Vorremmo una scuola aperta alle culture e alle religioni: la società è multiculturale, multietnica e multireligiosa. Facciamocene una ragione! Vorremmo anche che certe follie “laiche” vengano a poco a poco smussate: vorremmo una scuola che non rinunci a spiegare il Natale, il Carnevale o la Pasqua dei cristiani perché queste feste fanno parte della nostra storia. Ma si deve trovare il tempo di spiegare – soprattutto a noi “maggioranza” bianca e cattolica – che nel mondo che ci circonda esistono anche altre religioni, altre confessioni cristiane, altri credi, altre tradizioni.

Vorremmo inoltre  una scuola che unisca i nostri figli e non li separi fra loro né per il censo né per le idee dei genitori.

Ma prima di tutto vorremmo una scuola che sia (o ritorni a essere se un giorno lo fu) il luogo più sicuro del mondo, una sorta di grande cassaforte, il deposito di Zio Paperone, dove ciascuno di noi, ogni mattina, porta a custodire il prezioso più caro che ha e che dovrebbe essere – essendo loro, i nostri figli, i nostri bambini, il futuro della Nazione – il vero “tesoro” dello Stato, il vero capitale sul quale investire.

Buone vacanze alla mia piccola principessa.

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