E Dio vide che era cosa buona
Aveva appena terminato di plasmare con fango e acqua, come le moderne plastiline dei piccolini, due piedi dalle grandi potenzialità, quando Dio decise di innestarli alle estremità delle gambe di un uomo dal volto scavato e sofferente, dagli occhi piccoli e dal naso importante. “Se non ha avuto una faccia da Adone” – pensò – “almeno che abbia due piedi all’altezza del mondo che vivrà“. Soffiò l’alito divino su di essi e l’uomo prese vita.
Lo chiamò Andrea Pirlo e vide che ciò era cosa buona.
E fu mattina, dopo una notte da ubriachi.
Solo con una spiegazione divina si riesce a comprendere il mistero della maledetta (per i portieri avversari), la magica punizione del regista azzurro che qualche ora fa, durante un’insonne notte italiana, si è infranta contro la trasferta negandoci la soddisfazione di una vittoria tonda più che meritata contro gli eredi degli inventori del pallone moderno.
Se, a dispetto della nostra storia di catenacciari, dobbiamo soffrire le pene dell’inferno in difesa, salvati talvolta dall’orsacchiotto Barzagli che ha dovuto giocare per sé e per l’incredibile Paletta, dalla metà campo in su continuiamo a generare giocatori di indiscusso talento.
E mentre Pirlo si porta a spasso dai tre ai quattro giocatori di sua maestà, evidentemente terrorizzati – a ragione – dalla magia dell’asso della Juventus, Marchisio, De Rossi e Candreva hanno spinto come non mai, aiutati dall’ariete Balotelli, per una volta senza dar di matto.
Il primo gol, frutto del geniale velo di Pirlo e realizzato da quell’icona di Marchisio che ricorda una sorta di Cristo in via Crucis per quanto appare sofferente e carico di tutti i problemi del mondo, è stato un capolavoro di schemi provati e riprovati e mandati a memoria dopo un mese di allenamento più mentale che fisico, sotto la guida di un signore della panchina come Cesare Prandelli. Proprio lui, che nella Juventus era bloccato da Furino e Tardelli, è riuscito a disegnare un centrocampo che – con l’innesto di Candreva – ha saputo creare geometrie che hanno affaticato fisicamente e psicologicamente la squadra inglese.
Quest’ultimo, il giocatore della Lazio, avrebbe persino meritato il gol, dopo il palo preso nel primo tempo, nonostante sarebbe opportuno che ci spiegasse perché diavolo non tiri mai dai 18 metri preferendo la soluzione da distanza ancora più ampia!
E se dopo il gol del definitivo vantaggio, a opera di un bravissimo Supermario, il tempo sembrava non passasse mai ecco che in pieno recupero Andrea Pirlo ha spiegato al mondo intero perché questo sport è il più bello del mondo e che non si tratta di dare soltanto due calci a una palla.
Sistemato il pallone attorno alla ridicola curva disegnata dal direttore di gara con il nuovo spray, Andrea, nonostante se fosse fatta ‘na certa e la doccia ormai era quasi pronta, ha deciso di impartire l’ennesima lezione per far comprendere che questo gioco non ha nulla a che vedere con le leggi della fisica e, per quanto si sforzino gli scienziati del Cern di studiare il bosone di Higgs, la traiettoria che il suo piedino fornisce alla palla non è di origine umana né fisica: è qualcosa che va al di là di ogni immaginazione, sfida ogni teoria possibile e immaginabile si sia studiata dai tempi di Isacco Newton. È il genio che fa la differenza, così come trenta anni fa circa un altro piedino fatato, mancino, riusciva a trasformare una normale partita di calcio in uno spettacolo circense da giocoliere.
Alla fine rimane una di quelle notti italiane da ricordare, soprattutto perché non dovrebbero essercene più a quell’ora: rimane il ricordo di un clima soffocante, con Claudio Marchisio che dichiara che ha avuto addirittura le allucinazioni per il caldo e ancora una volta ci si chiede se sia corretto e giusto, nei confronti di questi professionisti della palla, che per fornirci lo spettacolo in un orario ancora accettabile debbano giocare in certi stadi, a una certa latitudine e a quell’ora del giorno.
Infine al di là dei soliti stupidi commenti sul fatto che guadagnando molti soldi possono anche schiattare in campo evidentemente, rimane il solito interrogativo di noi amanti del calcio in sé: ha senso tutto questo? Non sarebbe anche più corretto – per gli spettatori e i telespettatori – godersi uno spettacolo con gli atleti al meglio delle forze? Certo la suggestione della partita epica, dell’incredibile sforzo fisico per portarla a termine, ma mi chiedo: in nome dei soldi che guadagnano veramente abbiamo il diritto di chiedere a questi ragazzi un simile sacrificio? Chi ha la mia età ricorderà senza dubbio la folle finale di Pasadena giocata a mezzogiorno di luglio che – in una città che conta soltanto il dieci per cento di giorni piovosi in un anno intero – infatti fu una delle più brutte partite mai viste in una finale, a prescindere dall’esito per noi sfavorevole.
Infine un’ultima considerazione sul mondiale brasiliano: non c’è niente da fare, aveva ragione Holly quando diceva che è il Brasile la patria del calcio. Sembra quasi avvertirsi dalle casse e dallo schermo delle nostre TV di casa, il calore e il colore che il popolo brasiliano naturalmente possiede. Non so se hanno ragione quelli di Sky a definire questa Coppa del Mondo il “mondiale dei mondiali” ma è evidente che giocare la massima competizione calcistica in Brasile è come giocare nella casa del calcio, di questo sport che ogni quattro anni ci trasforma, ci rende scevri di ogni filtro mentale e ci libera la mente da tutti i problemi quotidiani almeno per un mese e alla faccia degli iettatori!