La ragazza di Ipanema
Finalmente si comincia! Con buona pace dei soliti menagrami, che peraltro portano sempre abbastanza fortuna basti pensare al 2006 e al 2012 quando i moralizzatori de’ noantri auspicavano una débâcle della squadra azzurra poi arrivata in finale e soltanto all’Europeo dell’est spazzata via dai campioni mondiali uscenti spagnoli, il mondiale brasiliano finalmente prende il via.
Stasera allo Stadio di San Paolo del Brasile la squadra di casa sfida la Croazia per le prime pallonate della massima competizione calcistica del pianeta e probabilmente l’evento sportivo che muove più soldi in assoluto.
Comprendo anche l’amarezza di moltissime persone, specialmente coloro che si informano sulla stampa a senso unico, dei gravi problemi che il paese sudamericano vive e che – a loro avviso – sarebbero stati motivazioni sufficienti per boicottare la Coppa. Tuttavia, a dispetto dei pochi (ancora) capelli grigi che cominciano a spuntare sulla mia chioma, ho sufficiente esperienza e memoria per ricordare che i boicottaggi non sortiscono mai effetti seri e duraturi sulle popolazioni sofferenti. Peraltro chiunque abbia visitato un paese sudamericano sa bene che violenze sui minori, delinquenza e criminalità non nascono certo con l’organizzazione “capitalistica” del Campionato del Mondo di Calcio. Anzi. Semmai la FIFA World Cup 2014 potrebbe essere veramente l’occasione per lanciare ulteriormente il Brasile, un paese di più del doppio degli abitanti del nostro Stivale, che ha compiuto – negli ultimi dieci anni – dei balzi enormi verso il progresso e il benessere, rendendo – di contro – le distanze sociali ancora più elevate. Non essendo così precoce da interessarmi alla politica nel 1976 ho bene in mente però il boicottaggio occidentale a Mosca del 1980 e la ripicca successiva del Patto di Varsavia del 1984: quali siano stati i benefici per quelle due prese di posizione non saprei. So solo che Pietro Mennea vinse l’oro sui duecento metri ma non potremo mai sapere se l’avesse potuto vincere, con quella meravigliosa rimonta in corsia esterna, se ai blocchi di partenza ci fossero stati gli americani.
Favelas e Villas Miserias (il nome delle baraccopoli ai margini di Buenos Aires) esistono purtroppo da prima del mondiale e non è penalizzando il resto del paese che la condizione dei loro abitanti possa migliorare. Anzi. Inoltre, il governo di Lula prima e adesso della Presidente Rousseff ha sempre messo in atto politiche sociali per il recupero – attraverso l’istruzione massiccia e continuativa – dei ragazzi delle favelas.
Ma i cambiamenti culturali, ambientali e sociali richiedono tempi e non si risolvono nel giro di una campagna su Twitter!
Chiunque come me sia nato agli inizi degli anni settanta la parola “mondiale” non la pronuncia in italiano ma in spagnolo: mundial!
Troppo giovane per avere memoria dell’Argentina 1978: ricordo soltanto il gol francese dopo nemmeno un minuto agli azzurri e le pizze prese da lontano da Dino Zoff durante l’incontro con gli olandesi che ci relegarono a giocare la finalina anziché disputare contro i padroni di casa, già battuti a Mar del Plata (match che purtroppo non vidi essendo stato mandato a nanna!), la finalissima.
Il mondiale spagnolo del 1982 è invece il mio mondiale, come quello tedesco lo sarà stato per qualunque ragazzino nato a metà degli anni novanta. Ricordo perfettamente ogni partita di quella torrida estate (anche 50 gradi a Catania): dal bolide di Bruno Conti contro il Perù alla papera di ‘Nkono che permise a Ciccio Graziani di portare in vantaggio gli azzurri prima di essere raggiunti da Roger Milla, con la migliore squadra carioca che mai si sia vista, insieme a quella di Pelè.
Se le partite contro Argentina e Brasile hanno galvanizzato un’intera nazione, con l’esplosione finalmente di Paolo Rossi che fino al 5 luglio 1982 aveva fatto il turista in terra iberica, credo non esista nessun ragazzino al mondo, specialmente chi come me aveva (e ha) due piedi buoni per camminare ma certamente non per calciare, che non abbia sognato di realizzare un giorno quel missile terra-aria che Marco Tardelli scagliò contro la porta di Schumacher, dopo una serie di precisi passaggi fra Beppe Bergomi Claudio Gentile (grazie Antonio Romeo) e Gaetano Scirea.
L’urlo dell’allora centrocampista juventino, che poi passò all’Inter dopo aver vinto tutto il vincibile con i bianconeri di Trapattoni, le mani agitate di Sandro Pertini accanto a Re Juan Carlos, la timidezza di Dino Zoff che alza la Coppa del Mondo a 41 anni, rimarranno per noi amanti indivanati del pallone i momenti più belli della nostra infanzia. Certo, abbiamo vissuto emozioni fortissime nel mondiale casalingo e in quello americano, delusioni fortissime in Corea e rabbia in Francia. E sicuramente il mondiale in terra teutonica lo abbiamo goduto come non mai soprattutto perché il nostro calcio veniva dallo scandalo di calciopoli. E battere poi la Francia ai rigori, dopo la testata di Zizou, è stato liberatorio!
Ma il mundial è il sogno di ogni bambino che giochi al calcio.
Salir campeón, rispondeva un ragazzino di diciotto anni in una Villa nei dintorni di Buenos Aires quando le prime telecamere cominciarono a cercarlo. Quel ragazzo ci riuscì otto anni dopo e ci sarebbe riuscito anche quell’inverno australe se César Luis Menotti avesse avuto lo stesso coraggio di Enzo Bearzot, che convocò Beppe Bergomi a nemmeno 18 anni in Spagna schierandolo addirittura in finale per sostituire l’infortunato Giancarlo Antognoni, nonostante l’avesse convocato già a 17 anni, consentendogli comunque di vincere il mondiale juniores nel 1979 prima di diventare per tutto il mondo il Pibe de Oro.
Stasera, comodamente sprofondato su un divano a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, davanti a immagini che ormai sono così nitide che ti sembra di vivere all’interno dell’evento, sarà come tornare al 1982, immaginando – perché l’immaginazione è ancora gratuita! – di salir campeón di nuovo e poter conquistare ancora una volta quella ragazza di Ipanema che vedete su in alto.