Cronaca da un Paese viziato
Quando arriva la primavera e le giornate diventano lunghe, lunghissime, la nostalgia di casa diventa quasi insostenibile. Quando poi arriva l’afa, come negli ultimi giorni a Roma, il bisogno fisico e psicologico del mare (di quello mio!) diventa qualcosa di indescrivibile. Ti chiedi perché devi indossare i calzoni lunghi e le scarpe chiuse quando potresti startene comodo in ciabatte e costume, lavorare con la brezza marina che ti accarezza il volto e respirare aria piena di iodio anziché il tossico smog della Capitale.
Tuttavia nella vita ci sono prezzi che purtroppo si pagano e fra questi c’è quello che non sempre il lavoro consente la mobilità necessaria per una qualità di vita all’altezza delle nostre aspettative. Certo, le moderne tecnologie permettono una certa remotizzazione e trovo ancora stucchevole che in moltissime aziende di servizi non si favoriscano esperimenti di telelavoro. Siamo come ossessionati da una visione ottocentesca del mondo del lavoro, dove il “padrone” deve controllare che il dipendente sia fisicamente sulla propria scrivania, a prescindere se stia scaldando la poltrona e augurandosi che non stia trascorrendo tutto il tempo a farsi i fatti propri.
Ci sono però dei lavori, quelli più pesanti, quelli delle fabbriche per intenderci, che non possono essere svolti a distanza e che dipendono fortemente dalla commesse che il mondo circostante all’azienda, nazionale e internazionale, ordina. In Italia è arcinoto che se c’è un settore dove eccelliamo è tutto il comparto del lusso, dalla moda all’industria pesante, e non è certamente un caso che la principale azienda italiana, la FIAT, ora FCA (Fiat Chrysler Automobiles), proprio sulle auto prodotte negli stabilimenti della Maserati e della Ferrari abbia posto il massimo interesse per la produzione nazionale, essendo il comparto delle auto di lusso l’unico – se ben sviluppato – in grado di garantire la conservazione di posti di lavoro che in Occidente costano moltissimo se paragonati a quelli di altri paesi d’Europa e dei paesi emergenti. La scommessa di Sergio Marchionne, quella cioè di delocalizzare la produzione delle auto per noi comuni mortali e tenere in Italia il settore dell’extra lusso, nasceva proprio dall’idea che la creatività storica dei nostri designer e la cura maniacale nelle due punte di diamante del nostro settore automobilistico avrebbero potuto trainare un nuovo inizio dell’industria italiana dell’automobile. Una scommessa ardita perché presuppone che tutti gli attori in gioco facciano la loro parte affinché poi finalmente arrivino le tanto agognate commesse dei ricconi del pianeta, i quali non vedono l’ora di trovarsi in garage la loro bella Maserati Gran Cabrio oppure una fiammante e scattante Ferrari California T. Questi ricconi purtroppo hanno un cattivissimo vizio: vogliono i tanto desiderati giocattolini quando dicono loro e si intestardiscono peggio dei bambini quando non compri loro le patatine all’autogrill.
Non è però conseguenza soltanto del consueto adagio che il cliente ha sempre ragione ma la durezza e la spietatezza di un mondo che ha raggiunto ormai una concorrenzialità tale che non puoi più permetterti modelli sociali e di vita come negli anni Sessanta del grande boom economico italiano. Devi essere flessibile, comprendere che le commesse più succulente sono il presupposto per il tuo lavoro e per quello di tutto l’indotto.
Per questa serie di ragioni sono rimasto senza parole di fronte alla notizia che i giornali hanno riportato ieri di uno sciopero in Maserati perché l’azienda ha deciso di tagliare una delle tre settimane di ferie collettive di agosto. Ho letto e ascoltato commenti di persone che difendevano la scelta sindacale perché “ai ricchi cosa sposta se la Maserati la ricevono una settimana dopo?“. Certo, messa così sembrerebbe una cosa ovvia: peccato che ormai viviamo in un mondo totalmente globalizzato e interconnesso e se vuoi sopravvivere, se vuoi che il tuo bel posto di lavoro sia conservato, il tuo welfare sia ancora sostenibile, non puoi certo fare lo schizzinoso e pretendere le canoniche tre settimane di ferie collettive come si faceva cinquanta anni fa. Intanto l’Italia del 2014 non è più quella del 1960: una vettura – più o meno – ce l’ha ogni famiglia e quello che una volta era il mercato di riferimento – il ceto medio italiano – adesso non è più né può più essere il target di un’azienda globale come FCA. Poi c’è anche un altro aspetto: mentre da noi ad agosto si muore di caldo, l’estate è al suo picco, ci sono vaste aree del globo che invece sono in inverno o si stanno già avviando dentro l’autunno.
Questi paesi mica chiudono ad agosto come continua follemente a fare l’Italia!
Il vizio di noi italiani di considerarci il centro del mondo, quando ormai siamo semplicemente un puntino, sfocia nell’assurdità di pretendere di imporre tempi di consegna per le merci in linea con il nostro calendario, come se a un milionario australiano, che ad agosto si sta beccando il vento gelido del Polo Sud, possa mai fregare che a Mirafiori ci siano due o tre settimane di ferie.
Ma veramente la Fiom, che dichiara che “quello delle ferie è solo l’ultimo dei problemi in ordine temporale ma le ragioni che provocano malessere all’interno della Maserati sono anche altre: dai carichi di lavoro ai turni, al salario“, pensa che scioperare per una settimana in meno di ferie – che peraltro potrà essere benissimo goduta in altro periodo – sia una seria motivazione per la massima espressione di protesta? Che credibilità sindacale può mai esserci se non ci si rende conto che il mondo economico è cambiato e bisogna strutturare anche le nostre vite in funzione della globalità delle commesse che arrivano dai quattro punti cardinali?
Ma soprattutto: veramente lavoratori e sindacalisti in Maserati ritengono che la riduzione da tre a due settimane di ferie collettive leda i diritti dei lavoratori?
E se invece fosse un’opportunità? Se invece fosse l’occasione di spostare quella settimana a giugno, luglio, settembre e magari provare a uscire dal proprio guscio, dalla propria routine, e visitare magari qualche paese straniero dove ad agosto si lavora come a febbraio perché è l’economia del terzo millennio a imporlo affinché si mantengano posti di lavoro e protezioni sociali conquistate?
Una mia cara amica mi sfotte perché – dice – faccio il blogger radical-chic, andando in vacanza nella prima metà di luglio quando ancora tutta Italia lavora e fatica per poi chiudere in blocco nel mese di agosto. Ora consiglio vivamente agli operai della Maserati di adottare questa strategia: innanzi tutto le vacanze vengono a costare meno. I prezzi di agosto sono ormai inarrivabili per la maggior parte dei salari medi e scoprirebbero che spesso è persino più piacevole andare a visitare luoghi e spiagge diverse da quelle abituali.
Oppure quella terza settimana la si può adoperare per viaggiare a ridosso degli innumerevoli ponti, in autunno o in primavera, magari all’estero.
Noterebbero – per esempio – che la parola “diritti” viene adoperata per argomenti un tantino più seri che per la riduzione delle ferie.
p.s. La foto su questo post non è stata scattata in estate bensì il giorno di Santo Stefano del 2005. Tuttavia quel mare lì, del golfo di Giardini Naxos, sullo sfondo della montagna innevata e sbuffante, è sempre meraviglioso. Ed è disponibile sullo store sia per stampe Fine Art che per licenze d’utilizzo.