Tagli e ritagli

 In LIFE

Per uno strano scherzetto della natura ho dovuto trascorrere qualche ora – giovedì pomeriggio – al Pronto Soccorso di un ospedale romano. Niente di preoccupante, solo un “fermo” temporaneo delle mie attività sportive, da sei mesi ricominciate con slancio molto “giovanile“.

Le tre-quattro ore trascorse dentro il nosocomio sono state istruttive da un punto di vista sociale.

Innanzi tutto ho trovato meraviglioso, ripeto meraviglioso, incontrare – nonostante tutto ciò che si annuncia sulla loro pelle – uomini e donne che continuano a lavorare con il sorriso sulle labbra, consci che l’educazione e un po’ di ottimismo sono alla base di qualunque guarigione, soprattutto di quelle dovute più alla solitudine che alle patologie fisiologiche. Ho visto uomini e donne di ogni colore, lingua, religione, ceto, senza che medici e infermieri si scomponessero minimamente e dando a tutti la stessa identica assistenza. Ho notato pazienti che nonostante alle pareti ci fosse il simbolo di un’altra religione non si sentivano per niente turbati e anzi: forse un po’ nella sofferenza di quel Crocifisso, del quale venerdì prossimo le Chiese di rito latino celebrano la Passione, si riconoscevano. Ho guardato nei loro occhi la riconoscenza per ricevere cure amorevoli e competenti.

E quando è arrivato finalmente il mio turno ho potuto constatare con i miei occhi e con le mie orecchie quanta competenza professionale e quanta qualità umana possiedono gli operatori sanitari nei nostri ospedali, a dispetto di coloro che sperano che i vari governi affossino il fiore all’occhiello del nostro welfare, il Servizio Sanitario Nazionale.

Continuiamo a sentire dibattiti pubblici dove si parla di sanità soltanto in termini contabili, di “costi standard“, di “acquisti“, di “costi di gestione“, spesso riferendo le cose apprese in TV o sui giornali. Quante volte ci siamo dovuti sorbire la retorica del “costo della siringa“! A tal proposito ho “provato” sulle mie braccia cosa possa significare comprare “farfalle” scadenti, che magari avranno gravato poco sulle casse dell’Ospedale, in ottemperanza alla vulgata comune che vuole che si risparmi su tutto, mentre mandavano in tilt gli infermieri che non riuscivano a effettuare correttamente un prelievo (e di fatti hanno dovuto rinunciare e bucarmi la seconda volta con un altra farfallina).

Nonostante prelievi e indagini diagnostiche avessero escluso ogni possibile seria patologia, il medico di turno non si è fidato soltanto dei “dati” oggettivi e ha voluto vederci chiaro, fidandosi anche di quello che il paziente riportava in quel momento e quindi mi ha sottoposto a un’altro esame diagnostico il giorno dopo, rimandandomi a casa e prescrivendomi un po’ di riposo.

Qualche tempo fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità stilò una classifica in base alla quale il miglior servizio sanitario risultò quello francese, seguito a ruota dal nostro. Ora nessuno ovviamente può dire che non ci siano sprechi nella sanità pubblica ma quando se c’è una cosa che ho imparato in queste due mezze giornate trascorse lì è che in quei settori ci sarebbe invece bisogno di maggiori investimenti pubblici.

Spesso si dice che noi cittadini abbiamo il “diritto alla salute“: in realtà non è proprio vero, perché soltanto il Padreterno potrebbe garantirlo quel diritto! Però nella nostra Costituzione, almeno fino a quando non si decida di stracciarla del tutto, c’è il “diritto alla sanità“, cioè il “diritto alle cure“.

E questo Servizio Sanitario Nazionale, che spesso varie classi politiche provano a devastarlo con il chiaro intento di spostare “clienti” verso le assicurazioni private, è una di quelle cose buone che abbiamo nel nostro Paese: e soprattutto è “democratico“, perché indipendentemente da chi sei medici e infermieri ti trattano allo stesso modo.

Perché per un caso di “malasanità” che può accadere, ci sono altre migliaia invece di “buona sanità” che ovviamente non fanno notizia.

 

 

 

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