Peter Pan il Presidente

 In POLITICA

Con la sola lodevole eccezione di Federico Rampini, che sul suo blog sul sito di Repubblica si è subito chiesto cosa fosse successo di così grave a Roma per far sì che il Presidente del Consiglio dei Ministri abbandonasse il vertice del G7 a L’Aia, non partecipando alla cena offerta dal sovrano olandese, ieri sera tutti i siti di informazione hanno derubricato la scelta del Primo Ministro italiano alla solita “strategia del fare“, al voler “lavorare” sui dossier aperti, come lo stesso Matteo Renzi – puntualmente – stamattina ci ha informato con il solito tweet dell’alba:

 

 

In un clima nel quale quasi tutta la stampa, soprattutto quella più moderata e borghese rappresentata dal Corriere e della Stampa, sembra quasi voler ovattare tutto l’operato di Renzi, rinunciando – in nome della “speranza che ce la faccia” – a qualunque analisi critica del suo operato, è trascorso già più un mese da quando – uscendo dallo Studio alla Vetrata del Quirinale – Matteo Renzi annunciò urbi et orbi che aveva sciolto la riserva e aveva costituito il suo primo governo.
Durante quel discorso il neo Presidente aveva annunciato una riforma al mese, copiando Barack Obama, partendo dalla riforma “costituzionale” ed “elettorale” nel mese di febbraio (peraltro non materia governativa), la riforma del lavoro nel mese di marzo, la riforma della PA nel mese di aprile e infine quella del fisco nel mese di maggio.
Con l’eccezione della confusa riforma elettorale – spezzettata per garantire la sopravvivenza della legislatura . Matteo Renzi non ha prodotto in un mese un bel niente, se non una simpatica presentazione PowerPoint, spacciata per innovativa soltanto da chi non ha mai visto mezzo discorso sullo Stato dell’Unione di Barack Obama o da chi evidentemente non ha mai preparato una tesi di laurea o una relazione a qualche convegno.
Nessun disegno di legge, nessun decreto – salvo qualcosa di ordinaria amministrazione – nessuna riforma né epocale come avrebbe detto Berlusconi né straordinaria, aggettivo che invece lui utilizza spesso.
Avevamo sperato che almeno questo periodo fosse utilizzato dal nuovo Presidente del Consiglio per tessere un po’ di relazioni internazionali nelle quali – onestamente – sembra fin troppo acerbo, rispetto all’osanna continuo che riceve in casa dalla stampa italiana e dai Renzi-kaze, i fan renziani kamikaze sulla rete pronti a diffondere il verbo del renzismo fin oltre il limite di sopportazione degli esseri umani.
Abbiamo apprezzato con estremo piacere che il neo Presidente si alzi presto la mattina, sebbene sembra che tale abitudine sia alquanto diffusa nel Paese, specialmente dai babbi (omaggio fiorentino) e soprattutto dalla mamme che quotidianamente vediamo trascinare bambini, mezzi assonnati e con nessuna voglia di andare nelle nostre scuole, prima di recarsi loro stesse sul luogo di lavoro.
Sorprende francamente che con una crisi internazionale di pessimi presagi, come quella che stiamo vivendo sulla vicenda ucraina, con un consesso ad altissimo livello (Capi di stato e di Governo) riuniti in Olanda, con un presidente americano che viene copiato ogni volta ci sia bisogno di apparire cool, a partire dal Jobs Act (peraltro giocando sulla nostra ignoranza perché il “JOBS act” di Obama era stato chiamato così per giocare con la parola ma che in realtà nascondeva la fissazione americana per gli acronimi), e che si trova proprio lì nei Paesi Bassi, abbiamo appreso che il Premier quindi aveva altro da fare a Roma.
E se aggiungiamo che sembra che il tour franco-tedesco e il Consiglio Europeo non è che siano stati questo clamoroso successo per Matteo Renzi, a dispetto della vulgata comune che ormai vuole l’ex sindaco di Firenze come un novello Re Mida, troviamo triste conferma nel presagio espresso all’inizio della crisi del governo Letta di ritenere Matteo Renzi completamente inadeguato al ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana. Forse sarebbe un buon “sindaco d’Italia“, per citare un’espressione a lui molto cara, sul modello del Primo Ministro francese, ma nell’attuale ordinamento il Capo del Governo non può assolutamente permettersi di snobbare i contesti internazionali.
Non siamo nati ieri, almeno quelli che 40 candeline le abbiamo già spente da tempo, per essere così creduloni che la presenza di Matteo Renzi fosse indispensabile a Palazzo Chigi sin da ieri sera, specialmente per il fatto che non era previsto nessun Consiglio dei Ministri in mattinata.
E nemmeno possiamo credere che l’uomo che ha twittato dalla studio del Capo dello Stato, che ha invaso di Mac, iPad e iPhone il banco del Governo a Montecitorio durante il dibattito sulla fiducia, non abbia potuto lavorare in aereo tornando a Roma dopo l’ultimo evento di ieri sera.
È arcinoto a chiunque abbia osservato le prassi politiche da sempre che gli eventi conviviali sono persino più importanti di bilaterali, trilaterali, incontri ufficiali fra le delegazioni. E Matteo Renzi farebbe bene a leggere altre biografie, oltre quella di Obama dal quale vorrebbe copiare tutto senza però averne i poteri non essendo l’Italia una Repubblica Presidenziale, magari quella di Ronnie Reagan e scoprirebbe come nacque il disarmo nucleare con Gorby nella fredda Reykjavik.
Comprendebbe che spesso i Grandi del Mondo – come poco modestamente si autonominano – è proprio in quelle cene che stringono patti o raggiungono accordi, o mandano forti segnali, come accadde a Cannes, quando Silvio Berlusconi venne lasciato da tutti solo durante il rinfresco, solitudine ripresa da tutti i network mondiali e che contribuirono alle dimissioni dell’ormai ex Cavaliere nel giro di pochi giorni. Non vogliamo credere che Matteo Renzi temesse di fare questa figura, non fosse altro che gli altri sei leader del G7 e gli altri commensali avrebbero sicuramente avuto la curiosità di chiacchierare con il più giovane capo di governo dell’Occidente.
Appare invece – ancora una volta, purtroppo – tutto il provincialismo del nostro Paese, così intento a guardarsi l’ombelico ed entusiasmarsi perché il Capo del Governo si trovi alle 6 del mattino al lavoro “per noi“, sui dossier della nostra politica interna, come se la crisi internazionale alle porte dell’Unione Europea non fosse “politica interna“.
Si deve essere – ancora una volta e a dispetto degli oltranzisti del Fatto e del Movimento Cinque Stelle – grati a Giorgio Napolitano per essersi sobbarcato una rielezione che fra meno di un mese compie un anno e la cui leadership, nel contesto internazionale è riconosciuta e ammirata.
Continua il Capo dello Stato a supplire all’assenza di un vero leader italiano che faccia finalmente riposare quest’uomo di novanta anni dal dover portare in alto l’onore e il prestigio di una delle sette nazioni più importanti del mondo industrializzato.
Sorprende infatti che un “ragazzo fortunato” di 39 anni non abbia avuto l’energia fisica per rimanere a terminare il proprio lavoro al G7: evidentemente chi è nato nel 1925 ne ha persino di più di uno nato 50 anni dopo di lui.
p.s. Il semestre europeo a guida italiana, che fino a tre mesi fa era insignificante e soprattutto “nessuno si ricordava chi presiedesse a quel tempo l’Unione”, versione poi strombazzata e ripetuta ad libitum da ogni autorevolissimo influencer in rete, è diventata dallo scorso mese “fondamentale” per il nuovo Governo.
Non ne dubitiamo.
Tuttavia fra questo nuovo Renzi così governativo e così disponibile a fare di quella attuale una legislatura costituente e quindi duratura e il vecchio Renzi che voleva votare per le Politiche il 25 maggio o anche in pieno semestre italiano, forse arrivo a preferire il secondo.
Passi per la modifica della promessa degli 80 euro – evidentemente senza coperture – da detrazione a una tantum, passi per le riforme annunciate e impantanate, passi per l’ossessione “contabile” per un Senato non elettivo che svuota formalmente di “poteri” i cittadini nell’elezione di importanti organi di garanzia e di soggetti attivi nelle revisioni costituzionali, passi tutto questo, ma il tirare a campare no.
Se Renzi non è in grado di governare, per incapacità sua o per impossibilità del contesto, allora lasci perdere, non proceda all’esercito di nomine che dovrà fare (una delle fondamentali ragioni di nascita di questo governo) e ci lasci andare a votare, anche col sistema elettorale partorito dalla Consulta.
Meglio un proporzionale corretto che rappresenti meglio il pensiero del “popolo sovrano” che una serie di annunci, slide e tweet che producono soltanto attesa e nessun atto legislativo.

p.p.s. Nella trasmissione “L’Aria che Tira” ascolto un ospite che incoraggia tutti a lasciar lavorare Matteo Renzi, perché in tempi di crisi ci vuole un “plebiscito”, “uno solo al comando”, “tutti uniti dietro di lui”.
No, grazie, abbiamo già dato.

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