L’ultimo post: il ritorno della Politica

 In POLITICA

Come ogni cosa umana, bella o brutta che sia, anche per questo blog è giunto il momento di terminare un percorso e ricominciarne un altro cercando la propria strada.

Ho scritto moltissimo di politica, 657 post (incluso questo che leggete), sempre che wordpress non abbia sbagliato a tenere i conti delle varie categorie! Politica nazionale, locale, economia, lavoro, impresa: tutto quello che mi passava per la mente in questi quattro anni l’ho buttato giù su queste pagine, piccolissimo contributo al vasto mondo dell’informazione che allora – quando cominciai a tenere questo diario – era seriamente minacciato da una legge liberticida, quella sulle intercettazioni, ad opera di un Governo che voleva mettere il bavaglio alla stampa soprattutto per coprire le malefatte – anche squallide – che il suo capo continua a perpetrare.
Ho parlato di religione, testimone diretto del cambio del Vescovo di questa città, Roma, un “pastore” che non è un “successore” qualsiasi degli Apostoli: il soglio di Pietro, piaccia o non piaccia, rappresenta la guida spirituale di oltre un miliardo di persone e il “fratello” maggiore di un’ancora più vasta comunità di cristiani della più svariate confessioni. Aver avuto la fortuna e il privilegio di poterne scrivere dopo la storica rinuncia di Benedetto XVI e la successiva elezione (oggi il primo anniversario) di Francesco è un qualcosa che mi ha riempito di grande gioia e che non dimenticherò mai.
Ho scritto di tecnologia, pur essendo spudoratamente di parte (Apple), e di come questa possa essere la leva per migliorare la nostra società. Ho riflettuto di media, di sport, di viaggi.
E proprio questi ultimi, viaggi oltralpe ed escursioni alla scoperta del nostro Stivale, erano il motivo principale del diario della vita di un emigrante privilegiato nel 2010, del pendolare fortunato che con un’ora di aereo volava a casa per riabbracciare la famiglia.
Scrivere di politica, cercare di analizzare quello che accadeva nel Palazzo, è stato bello e divertente: soprattutto in un periodo in cui la Politica era stata come spodestata dalla “Tecnica“, dopo l’ingloriosa fine del Governo Berlusconi IV. L’avvento di Monti prima e di Letta poi, due persone perbene che soltanto un’opinione pubblica fortemente fascista in nuce ha potuto descrivere come novelli affamatori di popoli, è stato un calice amaro necessario per evitare il baratro ai bordi del quale i vizi privati di Berlusconi ci avevano ormai portato. E il tempo – galantuomo – ne sta cominciando a riconoscere i meriti se anche l’attuale Primo Ministro, Matteo Renzi, ha potuto “vendere” il calo dello spread, e quindi i minor interessi sul debito da pagare agli investitori, come una delle coperture per il suo piano dei cento giorni.
Come ha affermato stamattina su Twitter il professor Franco Pizzetti, successore di Stefano Rodotà all’autorità di garanzia per la privacy, ieri a Palazzo Chigi è tornata la Politica e questa deve essere necessariamente sovraordinata alla burocrazia e alla tecnica.
Ieri pomeriggio – con la seconda parte dello show obamiano che aveva avuto il suo primo tempo nelle aule parlamentari – Matteo Renzi ha illustrato i contenuti di un programma di cento giorni ambiziosissimo, molto di sinistra tutto sommato, che ha sconfessato quanti di noi sospettavano della solita manfrina pre-elettorale e la consueta mancia per i più. Certo, sono soltanto annunci, mancano completamente le coperture finanziarie e quelle annunciate sono contraddittorie con quanto dichiarato anche dal Commissario Straordinario alla Spending Review Carlo Cottarelli. Ma questo è ormai secondario: sono i burocrati e i tecnici dei ministeri a dover scovare i quattrini che serviranno per far sì che la televendita di ieri si concretizzi nella realtà. È questa la scommessa che il Premier ieri ha fatto con l’intero Paese, promettendo di attuare in 100 giorni misure veramente shock per la nostra economia. Lui ha tracciato la linea: se chi di competenza trova le risorse bene, altrimenti va a casa chi le ha promesse. Può piacere, Renzi, può entusiasmare, può stare antipatico: ma è indubbio che – come ha scritto Gramellini oggi sulla Stampa – stavolta non è la Politica al servizio della Pubblicità ma esattamente il contrario. Certo una politica molto pop, molto rock, molto giovanile, poco istituzionale, che forse è anche quello che serve per svecchiare un paese che è troppo conservatore: dalla famiglia al lavoro, dall’economia alla religiosità.
Ovviamente mi auguro – da italiano – che Matteo Renzi ci riesca a trovare queste risorse: magari non saranno 85 euro al mese, saranno 75, ma i ceti meno abbienti saranno sempre soddisfatti perché psicologicamente è un buon messaggio. In realtà la misura più interessante, e probabilmente molto più importante dei 1000 euro al mese per i meno abbienti, è il taglio annunciato di dieci punti di IRAP, un’imposta che – introdotta dal Governo Prodi in un periodo di vacche grassissime – si è rivelata un boomerang nei periodi di crisi perché disincentiva fortissimamente alle assunzioni. E se verrà confermato il finanziamento di questa imposta attraverso la revisione della tassazione sulle rendite finanziarie, ecco che veramente gli annunci di ieri sono storici. Purtroppo – come detto – si tratta di annunci: non resta che sperare.
 
Con questa speranza, con la voglia di voler credere che – come dice il Premier – questa sia veramente “la volta buona“, comincia una nuova avventura per questo blog, privilegiando maggiormente la vita da emigrante e da cittadino del mondo che quotidianamente vivo come sospeso fra “testa” e “cuore“, fra “realtà” e “sogno“, fra la “ragione” di stare a Roma e il “sentimento” di voler provare a fare altro nella vita.
Proverò a raccontare lo “Stivale” partendo dall’osservatorio privilegiato di abitare nella sua Capitale, osservando cosa accade nella vita di ogni giorno di noi emigranti del terzo millennio.
Tre anni fa ci fu la concreta possibilità che questo blog si stesse per trasferire dalle rive del Tevere a quelle del Tamigi. Non passa giorno ultimamente – anche perché leggo il bel blog di Chiara Cecilia Santamaria (aka @machedavvero) – di provare un po’ di tristezza per non esserci trasferiti tra i sudditi di Elisabetta II.
Ho cominciato a immaginare a quello che avrei scritto, ai quartieri che avrei visitato, ai playground che ci avrebbero visto portare la nostra piccola Elisa. Ho pensato a quello che sarebbe stata la vita da emigrante volando due ore in più di quello che faccio quando torno a Catania; ho riso pensando al fatto che non avremmo avuto il bidet; ho ricordato quell’ultimo colloquio londinese in un’assolata giornata primaverile a Shoreditch, cominciata con una bella sbarbata da un barbiere turco a Stokie.
Così ho pensato che forse – ora che ho 42 anni – potrei raccontare un’altra Roma: non quella del giovane neolaureato piombato fra le vie capitoline, ma quella del padre di famiglia e dell’uomo ormai adulto che si trova a dover sperimentare nella quotidianità le difficoltà di essere dovuto emigrare nella più bella città del mondo nel suo periodo di decadenza e di declino. Ma anche questa è “politica“, anche questo è il citizen journalism che mi piace.
Il prossimo settembre poi accadrà una novità importantissima per la mia famiglia: l’ingresso della nostra piccola nella scuola dell’obbligo.
Saremo testimoni diretti se finalmente anche per l’istruzione, l’asset principale della nostra società post-informatica, sarà “la volta buona“.
Teniamo le dita incrociate!

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