Io per ora mi fermo qui
I tre anni di età che mi dividono da Matteo Renzi forse salveranno mio padre (anzi il mi’ babbo) dalla denuncia al Telefono Azzurro che il Presidente del Consiglio ieri, alla Camera dei Deputati, ha paventato per il fatto che già a dieci anni seguisse la politica e uno dei primi riti che visse da telespettatore fu l’elezione del Presidente Cossiga. Di anni ne avevo tredici quando l’allora Presidente del Senato Francesco Cossiga fu plebiscitariamente eletto al primo turno delle Presidenziali. Ho perfettamente memoria di Nilde Jotti che legge il suo nome sulle schede e il rituale annuncio nell’ufficio di Palazzo Madama.
Di ricordi precedenti ne ho alcuni, ma come spesso capita non sempre ciò che si ricorda è direttamente legato all’esperienza del tempo o frutto di continui aggiustamenti, specialmente in un’era nella quale in rete si può recuperare di tutto. Ricordo a esempio il Presidente Pertini a Vermicino e l’apprensione che si avvertiva provenire da quella scatola in salotto; la visita dello stesso Pertini a Beirut alle nostre truppe, per la prima volta fuori dai nostri confini dopo il secondo conflitto mondiale; la crisi di Sigonella.
So che potrà sembrarvi angosciante ma da studente liceale prima e universitario poi il sabato pomeriggio una delle trasmissioni che preferivo seguire, svaccato sul divano di casa sperando nel consueto abbiocco, era “Sette giorni in Parlamento” e talvolta guardavo anche “Oggi al Parlamento“, rubrica quotidiana sui lavori parlamentari. La prima precedeva trasmissioni a sfondo religioso, che poi presero forma con la rubrica settimanale “A Sua immagine“, e che guardavo insieme a un’altra trasmissione che RaiDue trasmetteva (e forse ancora trasmette) sulle Chiese protestanti.
Forse apparirà bizzarro che non stavo sintonizzato su canali musicali ma ciascuno ha le proprie manie, no?
Comprendo quindi il Premier quando dice che lui la politica l’ha seguita da bambino: forse una differenza sta nel fatto che per lui tale mania si è tradotta nella passione per la politica attiva mentre da me si è manifestata con la voglia di analizzarla e raccontarla. Ecco, se fossi stato un giornalista professionista (no, tranquilli, non voglio ricominciare con il pippone sugli Ordini professionali che andrebbero aboliti!) forse qualche anno di cronista parlamentare – per la carta stampata – non mi sarebbe certo dispiaciuto.
Almeno finora, almeno fino a ieri.
Di dibattiti parlamentari e di discorsi in aula ne ho sentiti a migliaia: ho seguito gli insediamenti di molti governi; gli speciali sulle elezioni dei Presidenti delle Camere; l’assurdo ballottaggio fra Scognamiglio e Spadolini; le elezioni di Scalfaro, Ciampi e Napolitano; la rielezione di quest’ultimo. Da quando esiste lo streaming in rete e quindi da quando le televisioni All News si sono moltiplicate, spesso i lavori parlamentari li ho potuti seguire come quando in auto ascoltavo Radio Radicale, il cui archivio credo si possa tranquillamente definire un autentico patrimonio dell’informazione e della cultura italiana. Ho ascoltato i grandi oratori che si alzavano dagli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama quando arrivava il momento delle dichiarazioni di voto finali e la parola toccava quindi ai big dei partiti.
Ma anche le discussioni generali sui provvedimenti, le descrizioni degli emendamenti o le interrogazioni erano interessanti. Lo erano perché si parlava di contenuti e quando dai banchi del Governo questi erano assenti ecco che allora le opposizioni incalzavano, completavano, supplivano.
È stato così fino a ieri: credo che mai come nella discussione generale sulle Dichiarazioni Programmatiche di Matteo Renzi alla Camera dei Deputati si sia raggiunto così tanto il fondo. Al di là delle capacità oratorie, spesso inesistenti di molti parlamentari, ciò che è apparso evidente è stata una specie di scollamento fra gli interventi all’interno dei vari gruppi: sembrava che fossero capitati lì per caso, sconnessi l’uno con l’altro.
A metterli in fila, gli interventi di un gruppo, non si capiva nulla.
È stato quindi gioco facile per Matteo Renzi, che maneggia come pochi le tecniche di comunicazione, apparire un gigante davanti alla maggior parte dei parlamentari che si susseguivano, pur avendo fatto un discorso così fiacco sui contenuti che in altri tempi sarebbe stato sì impensabile (perché scritto) ma anche se ciò si fosse verificato, sarebbe stato di corsa riempito dalla maggioranza di Governo o fatto letteralmente a pezzettini dall’opposizione.
Invece abbiamo assistito allo stucchevole dibattito sulla persona “Matteo Renzi” e sulla sua personale credibilità, sul suo mancato passaggio elettorale, su “#enricostaisereno“, sul tormentone delle banche, anziché sui contenuti programmatici che il suo Governo stava proponendo, seppur sommariamente, al Paese. Abbiamo persino ascoltato senatori del GAL, Grandi Autonomie Locali (bah!), non votare la fiducia al Governo perché non aveva menzionato esplicitamente il Mezzogiorno! A questo è arrivato il Porcellum: ad aver selezionato la più mediocre e inetta classe politica che il già disastrato Meridione avesse mai potuto produrre.
E infine sono arrivati loro, coloro che si credono dei comici barbuti in erba, come se avessero lo stesso talento artistico, la medesima presa scenica e infine lo stesso timbro vocale del loro capo: i grillini.
Nemmeno nella più turbolenta assemblea studentesca sarebbe stato possibile ascoltare l’innumerevole quantitativo di battute da bar e di sfottò da ubriachi che il Movimento Cinque Stelle ha profuso in continuazione durante la discussione generale. Da quel Carlo Sibilia, già noto per la promozione dei matrimoni fra uomini e animali, a quella che viene considerata la paladina antimafia dei pentastellati e che è stata ospite di Michele Santoro qualche settimana fa a Servizio Pubblico: Giulia Sarti. E se ormai ce ne siamo fatti quasi una ragione dell’ossessione che in molti di loro (e non solo) hanno per Berlusconi, come se il mondo fosse cominciato con lui, continuasse con lui e un giorno morirà con lui, mai avrei immaginato di poter ascoltare, nell’istituzione più importante del mio Paese, un mio rappresentante insultare il Presidente del Consiglio (e la sua mamma) con “Figlio di Troika“, giocando con le parole come fosse al Bagaglino o a Zelig.
E soprattutto mai avrei potuto pensare che la maggior forza di opposizione, ruolo fondamentale in qualunque parlamento e in ogni democrazia, si potesse scagliare con una serie di interventi contra personam, che nulla aggiungono e nulla servono al dibattito politico in un Paese grande e importante come l’Italia, anziché radere al suolo il programma di governo, le intenzioni programmatiche, la stessa compagine o la squadra di ministri scelta.
Ha fatto bene Matteo Renzi, di fronte al delirante attacco di Giulia Sarti sul tema della lotta alla mafia, a rispondere che egli ha così ben presente l’elezione di Scalfaro (e chi non ce l’ha, purtoppo!), e le stragi di Capaci e Via D’Amelio, che provava amarezza per la superficialità con la quale si toccasse quel tema. Una deputata che – basta seguirla su Twitter per comprenderlo – legge soltanto gli articoli di Travaglio e di Scanzi e pensa che la lotta alla mafia sia soltanto quella.
Ecco di fronte a quest’ultimo dibattito parlamentare, dopo averne viste – in un solo anno – di tutti i colori, io mi fermo qui. Dopo aver letto l’ultimo post dell’amica Stefania da New York, ho preso la decisione di fermarmi qui con la politica.
Almeno su questo blog.
Se il dibattito politico si deve svolgere in 140 caratteri allora abbiamo Twitter dove sfogarci e per post più lunghi Facebook o TwitLonger.
Questo blog non è nato per capire, studiare e commentare stucchevoli dibattiti parlamentari sulla coerenza di Renzi o su un fantasioso impeachment del Capo dello Stato.
Me l’ha ricordato proprio Stefania con quel suo pezzo “Mancanza e Speranza” quando ricorda che «all’epoca dell’emigrazione del cervello, dell’emigrazione scelta con entusiasmo e vissuta con il sollievo di chi proprio non vorrebbe essere nei panni dei colleghi italiani oggi, il cervello non ha alcun rimpianto, ma il cuore ancora non ha trovato la sua pace, e continua ad essere sospeso tra vecchi ed eterni affetti e nuove e preziose occasioni».
Trentamila Piedi sopra lo Stivale è un blog che nasce per raccontare anche le vicende e le emozioni della vita di un pendolare di lusso prima e di un emigrante moderno oggi: di un cittadino del mondo che si trova costretto dalla vita e dalle sue scelte professionali (e non) a vivere come sospeso non soltanto su questo nostro amato e odiato Stivale, ma proprio come se si trovasse in un equilibrio, più o meno precario, fra il cervello che gli impone di mantenere per terra i piedi e lo costringe a vivere una parte di vita che non è proprio sua e il cuore che invece lo incoraggia a seguire le sue aspirazioni, a cercare di coronare i suoi sogni e i suoi progetti e a volare alto, come gli stormi migratori che fra un po’ vedremo di nuovo arrivare sulle nostre città.
Per la politica ci sarà forse tempo, quando i grillini si ridimensioneranno a forza politica rumorosa, il centrodestra si sarà affrancato dalla proprietà berlusconiana e il centrosinistra potrà tornare a fare una sola parte in commedia. Per il momento, come dissi a un’amica a pranzo qualche tempo fa, sembra come se il principale partito italiano, anzi l’unico partito organizzato a due cifre, sia preda della maledizione della Democrazia Cristiana. A quel tempo la DC – in assenza di una reale alternativa per la conventio ad excludendum nei confronti del Partito Comunista Italiano – era costretta a recitare tutte le parti in scena: destra, centro e sinistra – all’interno della Balena Bianca – si contavano per spartirsi il potere e per stabilire gli equilibri temporanei del Palazzo.
Lo stesso è costretto a fare oggi il Partito Democratico con una duplice maggioranza (di governo e di riforme, e chissà che con i dissidenti grillini, in procinto di realizzare un ennesimo gruppo parlamentare, non possa nascere una terza), con un Capo del Governo extra parlamentare che potrà persino giocare – per l’inesistenza di una seria opposizione – a fare il populista anti-casta alla bisogna, con una minoranza nel partito che è maggioranza nelle aule, con una maggioranza nella Direzione Nazionale poco incline a dibattere e molto a comandare; con una stampa ormai totalmente rincoglionita estasiata dal fatto che il Primo Ministro – durante il lunghissimo dibattito parlamentare – si sia attrezzato con PC, iPad e iPhone (lo so che non era mai accaduto ma l’iPhone esiste dal 2007 e l’iPad dal 2010).
Sento pressante il bisogno di staccare la spina dalla politica per dedicarmi ai miei progetti fotografici, ai miei racconti, al mio romanzo.
Sento forte la voglia di raccontare su queste pagine qualcosa che sia altro rispetto a questa brutta pagina di storia politica contemporanea che stiamo vivendo.
p.s. adesso posso soddisfare la vostra curiosità per l’immagine in evidenza su questo blog. Ieri su Twitter avevo appreso che Matteo Renzi sarebbe stato ospite di Ballarò. Ho cinguettato che speravo che dopo questa intervista ci si evitassero almeno le tazze, i pupazzi e i portachiavi con Matteo Renzi raffigurato poiché la sovraesposizione mediatica del Premier era – credo – evidente. Un mio follower mi ha scritto che arrivavo tardi perché a Firenze già ci avevano pensato. Ecco, se la crisi di governo fosse arrivata un po’ prima forse oltre al bimbo vestito da “papa” avremmo avuto anche il piccolo “Matteo”.