La scoperta dell’acqua calda
Andate su qualunque sito che aggreghi le prime pagine dei quotidiani in edicola oggi e troverete una quasi unanimità di commenti rispetto al discorso e alla replica di Matteo Renzi ieri al Senato.
Salvo rare eccezioni, la maggior parte di direttori (e vice) di testate, cartacee e digitali, di influencer e di opinion maker appaiono quasi sconvolti dal fatto che Renzi abbia più parlato da sindaco che da premier.
Dopo che l’hanno pompato da due anni, ne hanno fatto il campione del rinnovamento perché ci fa vincere (a sinistra) o perché non è comunista (a destra), dopo che lo hanno letteralmente supplicato di andare al Governo per dare una scossa al Paese ecco che adesso rimangono basiti perché il discorso del Presidente del Consiglio è stato deludente sui contenuti, troppo lungo, una sorta di copia e incolla dei discorsi in campagna elettorale per le primarie, da sindaco (sembra che non guidi un governo ma una giunta comunale, è stato detto).
Ora è chiaro che chi ha avversato Renzi durante le primarie di coalizione lo scorso anno aveva sempre notato questo limite e implicitamente lo stesso Capo del Governo lo ha ammesso ieri quando al Senato ha confessato che ha ancora molto da imparare.
Ma tutti i maggiori commentatori italiani, di fronte a un fenomeno mediatico e comunicativo del quale hanno nettamente contribuito a esaltarne le doti di trascinatore (eccelse), mitigando e nascondendo opportunamente i vuoti programmatici e politici, forse dovrebbero avere la decenza e il buon gusto di non sorprendersi né tanto meno indignarsi.
Inoltre se è vero che Renzi ieri s’è fatto prendere un po’ la mano dalle promesse, senza peraltro indicare il come le realizzerà; se la sua relazione ha presentato gravi lacune in tema di politica estera e di difesa forse gli autorevoli commentatori italiani dovrebbero un po’ interrogarsi sul senso di molti dei loro editoriali, commenti e articoli dell’ultimo anno, da quando – sferzanti – avversavano il tentativo di Bersani di fare un governo di cambiamento (anche con la minoranza al Senato, ma omogeneo nella coalizione), fino all’ultimo periodo nel quale hanno esaltato Matteo Renzi come l’ultima speranza, concetto peraltro ormai abbondantemente inflazionato avendolo adoperato per Monti e Letta negli ultimi due anni.
Surreale che proprio costoro, che hanno personalizzato a dismisura la formazione di questo gabinetto, adesso abbiano scoperto che il voto di fiducia non è alla persona Matteo Renzi, ma al Governo da lui presieduto e sulle dichiarazioni programmatiche che ha reso.
Patetico che dopo averlo dipinto come l’ultimo uomo della Provvidenza perché dopo c’è la troika, il baratro, la fine, l’antipolitica, ecco che adesso siano rimasti sorpresi che la relazioni di ieri, sulla quale è stata posta la questione di fiducia, presenta – da un punto di vista programmatico – pochissimi elementi sui quali giudicare l’esecutivo e tutta una serie di buone intenzioni, molto generiche ed efficaci in campagna elettorale.
Stupisce – a chi ha sempre pensato che Renzi non fosse ancora adeguato a guidare il Paese per un normale lack of experience – che i maggiori commentatori abbiano scoperto oggi l’acqua calda e che presentino – solo oggi – qualche preoccupazione per questo rimpasto mascherato da novità che si presenta alle Camere.
Ecco forse anche nel nostro mal messo mondo dell’informazione servirebbe un tornado alla Renzi per spazzare via le incrostazioni di potere che taluni nel mondo dell’informazione hanno ormai sedimentato, contribuendo al fatto che questo nostro Paese non abbia la statura che merita nel proscenio internazionale.
Le pulci ai politici – negli altri paesi – le cominciano a fare prima, non dopo che sono arrivati nella stanza dei bottoni. Perché dopo potrebbe essere tardi e qualche danno potranno pure commetterlo.
Siamo fiduciosi comunque che tanti danni Renzi non potrà farli, non fosse altro per la spregiudicatezza che lo contraddistingue e il fiuto per le elezioni che prima o poi lo porterà a chiedere al Capo dello Stato lo scioglimento anticipato della legislatura.
E si resta come storditi per il fatto che quasi tocchi a noi – che lo abbiamo avversato sui contenuti – il dovere di difenderne gli strumenti che ha ritenuto adoperare per presentare i suoi, di contenuti.