Un Silvio è per sempre o è #lavoltabuona?
Quattro anni fa come oggi, il 24 febbraio 2010, questo blog nemmeno esisteva. Vivevo l’ultima settimana del mio congedo parentale e mi apprestavo a sei mesi di pendolarismo aereo spinto. A Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi da meno di due anni: aveva ottenuto una maggioranza enorme, non soltanto grazie al Porcellum (che peraltro aveva funzionato abbastanza bene in quell’occasione) ma soprattutto perché il Partito Democratico di Veltroni aveva pagato caro prezzo sia per la fine del Governo Prodi che per l’azzardo del primo segretario del partito di giocarsi tutto in un’alleanza con l’Italia dei Valori dell’ex PM Di Pietro, sperando che la retorica della vocazione maggioritaria avesse fatto breccia a sinistra.
Le fibrillazioni dentro la maggioranza cominciavano a farsi sentire, ma il Cavaliere godeva ancora dell’onda lunga di Onna, quando per la prima volta si trasformò persino in partigiano. Ma tutto sommato, a nemmeno metà della legislatura, il Governo Berlusconi IV era pienamente in sella, la crisi – ci diceva Tremonti – era soltanto percepita, Gianfranco Fini sarebbe stato attaccato soltanto due mesi dopo durante la Direzione Nazionale del PDL in diretta televisiva e poi cacciato in estate, Karima el Marough non era stata ancora fermata alla questura di Milano e il ciarpame senza pudore denunciato dall’ormai ex signora Berlusconi non era esploso con lo Scandalo Ruby ma ben silenziato al solo diciottesimo compleanno di Noemi Letizia.
A Firenze, alla Leopolda, Matteo Renzi e Pippo Civati teorizzavano la rottamazione della classe dirigente e sembrava andassero d’amore e d’accordo nel rinnovamento dell’establishment del PD.
Oggi pomeriggio, invece, il quarto governo in quattro anni riceverà la fiducia del Parlamento e quindi entrerà nella pienezza delle sue funzioni, illudendoci ancora una volta di poter fare sempre meglio dei precedenti.
Naturalmente per il bene del Paese non resta che sperare che questa sia veramente la volta buona, come recita l’hashtag lanciato dal nuovo Presidente del Consiglio, confidando che il Governo duri tutta la legislatura perché siamo di fatto l’unico paese occidentale di un certo peso dove si cambia governo come lo si fa con i pannolini dei neonati e si celebrano elezioni come se fossero sagre paesane!
Ma com’è questo Governo Renzi?
Personalmente lo vedo come un bel bicchiere riempito a metà e quindi mi pongo la classica domanda: è mezzo pieno o mezzo vuoto questo bicchiere del bimbino fiorentino?
Sicuramente ha molti lati positivi: innanzi tutto è guidato dal segretario del partito di maggioranza relativa. Questa è un’innovazione che da queste pagine ho spesso sostenuto e auspicato. Innanzi tutto per la salvaguardia di un sistema parlamentare basato non sulle persone bensì sui partiti, movimenti o comunità. Nei sistemi presidenziali si votano gli esecutivi, da noi – come nel Regno Unito, in Spagna, in Germania – si rinnovano le Camere.
Altro aspetto positivo è ovviamente il rinnovamento generazionale, sebbene già avviato da Enrico Letta, il cui governo aveva già una bassa età media e il premier era comunque molto giovane rispetto agli altri partner mondiali. Inoltre la parità di genere: da adesso in poi non ci sono più alibi alla rimozione di tutti gli ostacoli di genere in qualunque ambito sociale. Beato sarà quel paese dove ministri e classe dirigente verranno scelti in base alla loro forza politica e al loro merito, indipendentemente dal fatto che siano di sesso maschile o femminile. Infine un governo abbastanza snello, fondato maggiormente sui dicasteri con portafoglio come dovrebbe essere, demandando gli equilibri ancora precari della maggioranza alla scelta del sottogoverno, che avverrà martedì in Consiglio dei Ministri.
Altre cose positive ne vedo poche, francamente, soprattutto se osservo la composizione del governo che Matteo Renzi ha formato utilizzando sapientemente il manuale Cencelli ma spingendo a ricambi che onestamente appaiono forzati. Sulla presenza di Andrea Orlando alla Giustizia, sulla quale mi sono confrontato in un mio post precedente con l’amico Antonio, rimando a questa dichiarazione di Rodolfo Sabelli, segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati e pubblico ministero nell’inchiesta P3 (quindi sicuramente non berlusconiano, a meno si ritenga che chiunque non la pensi come Travaglio in tema di giustizia lo sia): «L’inopportunità che un magistrato in servizio vada a ricoprire una funzione apicale del potere esecutivo come quella di Ministro della Giustizia deriva dalla necessità di non confondere i ruoli. A prescindere dai nomi e dalle qualità delle persone. Se vogliamo difendere l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione, occorre una distinzione netta con l’ambito dell’attività politica e di governo». Certamente la suggestione Gratteri, come ogni grande nome si sia speso nella storia del nostro Paese, era molto forte. E certamente è vero che abbiamo vissuto tanti periodi di eccezionalità, a partire dalla rielezione del Capo dello Stato. Tuttavia riporre sempre questo carattere salvifico sulle persone lo trovo sempre e comunque esagerato. Le Istituzioni restano, sono le persone che passano, sebbene in Italia sembriamo come ossessionati invece dal contrario.
In un Governo così giovane colpisce che l’unica casella, dove invece l’esperienza e le relazioni internazionali dovrebbero essere la leva principale per l’amministrazione del dicastero, sia andata a Federica Mogherini: nulla da eccepire sulla formazione dell’esponente democratica e del suo profilo internazionale. Tuttavia sostituire Emma Bonino, sotto l’onda emotiva della vicenda dei due marò (peraltro ancora non è chiaro come abbiano fatto a scambiare i pescatori con pirati, accertamento della verità che sarebbe il principio di ogni caso giudiziario), lo trovo folle. Non la si voleva alla Farnesina? Meglio allora qualcuno di consolidata esperienza internazionale. Purtroppo però l’unico nome spendibile nel centrosinistra per quel ruolo era l’unica persona che Renzi non avrebbe mai voluto nel governo e temo anche lui non sarebbe mai entrato in un governo guidato da Renzi: Massimo D’Alema, già alla Farnesina con Prodi. Non c’erano molte alternative di centrosinistra a Bonino e D’Alema: la scelta della Mogherini quindi indebolisce sicuramente la statura internazionale del nostro Paese, anche in considerazione della scarsa (ancora) considerazione personale – a livello mondiale – del Presidente del Consiglio.
Incredibile è anche la scelta di Marianna Madia per i rapporti con la Pubblica Amministrazione: non si hanno certamente elementi per dubitare sull’enfant prodige del PD, e non voglio certo scendere ai livelli di Dagospia che associa sempre ogni cosa alle relazioni amorose (quella della Madia con Giulio Napolitano, figlio di Giorgio). Tuttavia anche in quel dipartimento, che si occupa di riformare il moloch della nostra amministrazione pubblica, probabilmente serviva maggiormente un ministro di peso e statura amministrativa elevata anziché una troppo giovane e acerba esponente di partito. Forse sarebbe stato meglio nominarla sottosegretario e non direttamente al Consiglio dei Ministri. Nulla da dire sugli altri due ministri senza portafoglio: Boschi e Lanzetta. Appaiono scelte normali, sebbene la seconda sia stata nominata per ingraziarsi una corrente interna al PD, ma anche questo fa parte della politica.
La delusione maggiore per questo governo sta in due aspetti pesanti che sono altrettante sconfitte per il PD nella negoziazione per la nascita del Governo. Innanzi tutto Renzi ha ceduto ad Alfano su tutti i fronti: rimangono sulla propria poltrona i tre ministri del Nuovo Centrodestra che gestiscono tre dei principali comparti di spesa pubblica: Interno, Salute e Infrastrutture e Trasporti. Fra i ministri con portafoglio il PD si accontenta dei Beni Culturali, che in un paese come il nostro dovrebbero essere veramente il Tesoro (cit. Vittorio Sgarbi): solo che anziché confermare il ministro Bray, come chiesto a gran voce da moltissimi in rete e persino dallo stesso Sgarbi, viene spostato – in puro stile democristiano – Dario Franceschini, già vicedisastro del disastro Veltroni (cit. Matteo Renzi). Quanto meno Bray i “Bronzi di Riace” li ha fatti “rialzare” e per una città come Reggio Calabria è una cosa di enorme importanza. Alle Politiche Agricole, nel posto che fu di Nunzia De Girolamo, viene promosso un sottosegretario uscente, Martina, riducendo il PD come una vecchia corrente della DC di un tempo, mentre un altro ex sottosegretario (all’Istruzione) Galletti, viene promosso a Ministro dell’Ambiente.
Puro rimpasto democristiano.
Il partito di Renzi perde persino l’Istruzione, nella quale vi era la Carrozza, per cedere la casella al segretario di Scelta Civica Stefania Giannini, lasciando all’ormai partitino di Monti un dicastero di enorme importanza per il futuro delle prossime generazioni.
Tre sono i tecnici nel governo, due che si possono riferire all’area PD, uno a … Forza Italia.
Sembra pazzesco, lo so, ma così è.
Se Padoan e Poletti si possono ascrivere a una componente di sinistra, sebbene comunque siano dei tecnici, trovo pazzesco che dopo un politico, il sindaco Zanonato (è evidente che se i sindaci sono renziani vanno bene, se sono bersaniani no), allo Sviluppo Economico vada un’esponente, Federica Guidi, degli industriali, con un enorme conflitto di interessi fra le proprie aziende e gli appalti pubblici (basta guardare in rete l’album delle figurine degli appalti che la Ducati Energia si è aggiudicata), e con la delega delle Comunicazioni che – visto il suo trascorso quasi organico a Forza Italia – ha portato persino Silvio Berlusconi a gioire per avere un ministro pur stando all’opposizione.
Sull’altra casella, quella del Lavoro, c’è uno scambio di tecnici: esce Giovannini ed entra Poletti, capo delle Coop. Giustamente – guarda che mi tocca dire! – Renato Brunetta ieri ha posto in risalto come il ministero guidato dal numero 1 della Legacoop debba vigilare – per legge – sul movimento cooperativistico: siamo al Conflitto di Interessi permanente nel Governo del nostro Paese! Francamente poco importa la precisazione del sottosegretario Delrio che ha assicurato che sarà il Premier in persona a occuparsi di eventuali casi nei quali i due esponenti governativi potranno trovarsi in conflitto. Non è così che funziona nelle democrazie. E sinceramente si resta senza parole di fronte al fatto che il sedicente principale partito di sinistra non riesca a esprimere, al proprio interno, personalità in grado di rappresentare il mondo dei lavoratori (tutti), veri assenti dalla rappresentanza oggi al governo.
Infine una nota positiva: al di là delle obiezioni politiche che riceverà su F35 e sui legami con Finmeccanica, che il Ministro della Difesa sia una donna è una bella cosa. Avendo frequentato diverse Direzioni Generali della Difesa durante il mio servizio da ufficiale posso dire che portare un po’ del sano pragmatismo femminile, in un ambiente spesso incrostato dal potere macho è forse una novità di cui dare atto al Governo Renzi.
Mi auguro che le dichiarazioni programmatiche che verranno fra poco esposte da Renzi a Palazzo Madama facciano chiarezza sul programma che il Presidente del Consiglio dei Ministri vorrà proporre. Presidente che dovrà fare i conti con la durissima realtà e cioè che amministrare una città e governare un intero paese non sono proprio la stessa cosa.
Dovrà anche spiegare se siamo di fronte veramente a un governo con due maggioranze o se invece i voti di Forza Italia si aggiungeranno soltanto per le riforme istituzionali concordate e non diventeranno la ciambella di salvataggio ogni qualvolta si dovesse avere difficoltà a mediare.
Perché da questo si comprenderà se la promessa di Renzi, cioè di essersi assunto tutta la responsabilità che gli si chiedeva, in qualità di segretario del PD, per condurre un governo di legislatura e di svolta sarà mantenuta o meno, oppure in quei famosi sette minuti di colloquio a quattro occhi, fra Berlusconi e lo stesso Premier, non si sia soltanto dibattuto di giustizia e di televisioni, come i giornali hanno ricostruito. Bensì si siano accordati per stabilire che sono loro e non altri ad avere potere di vita e di morte sulla durata dell’intera legislatura.
Si capirà quindi se la giusta e umana ambizione di Renzi, magari un po’ scomposta nei modi, sia stata soltanto finalizzata all’assunzione della responsabilità che gli competeva o se invece non era altro che l’ennesimo gioco di potere finalizzato a se stesso.
E soprattutto si capirà se Silvio Berlusconi si potrà finalmente consegnare alla storia o se piuttosto dovremo conviverci insieme come se fosse il diamante di una nota pubblicità.
Come se un Silvio possa essere per sempre, sia sotto le sembianze originali che sotto quelle di questo baldanzoso quasi quarantenne che si appresta oggi a giocarsi la sua partita al poker, sapendo di stare al tavolo con il re della bugia.