E il Palazzo scoprì la TV
Sessantasette anni dopo il primo Discorso sullo Stato dell’Unione trasmesso in televisione, ad opera del Presidente Truman e quarantanove dopo la prima volta in prime time ad opera del Presidente Lyndon Johnson, anche in Italia sembra sia arrivato – finalmente – nel Palazzo il cavo che trasporta il segnale televisivo dentro i Sacri Palazzi Laici e connette il Parlamento con il famoso popolo sovrano.
Al netto dei contenuti del discorso, lacunoso in molti aspetti, Matteo Renzi ha letteralmente spazzato via decenni di comunicazione politico-istituzionale, ormai diventata incrostata e fine a se stessa.
L’ha fatto ovviamente con il suo stile e il suo linguaggio, cosciente del fatto che in quel momento non stava parlando alle gentili senatrici e onorevoli senatori lì presenti, ma stava parlando agli italiani. Chiunque abbia dimestichezza con i riti della politica avrà certamente notato che quelle di oggi non erano le dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio: era il Discorso sullo Stato dell’Italia molto più vicino a quello del Presidente degli Stati Uniti che ad ogni inizio d’anno segna il cammino dell’amministrazione statunitense.
Nulla sarà più come prima dopo questo discorso perché adesso – anche a sinistra – devono comprendere che la comunicazione, il modo di comunicare con i cittadini, non è secondario nell’attività politica. E per battere coloro che sanno maneggiare bene le tecniche comunicative, le telecamere e le gestualità, non basta soltanto avere contenuti differenti: serve presentarli in maniera efficace e puntuale, in maniera tale da fare incuriosire le persone a valutare le differenze.
Bastava leggere su Twitter i commenti in tempo reale al discorso: avevano tutti pregiudizi, nel bene e nel male. Sia chi non osa mai criticare il nuovo Premier, come se fosse una lesa maestà, sia da chi invece lo critica soltanto per l’antipatia.
Eppure oggi era chiaro che la novità era ancora una volta sì Renzi, ma soprattutto l’entrata del Palazzo nel Terzo Millennio.
Ci sarebbero molte cose non convincenti sul discorso del Presidente del Consiglio ma temo che nella discussione generale prima e nelle dichiarazioni di voto poi il discorso verterà più sulla persona “Matteo Renzi” e non sui contenuti assenti nel discorso.
Renzi ha parlato più in dettaglio di riforme costituzionali ed elettorali: ma queste non sono materie dell’Esecutivo, sono del Parlamento e qualcuno a Matteo Renzi dovrebbe ricordarlo.
Ha invece parlato più di sogni riguardo alle materie sulle quali il Governo è direttamente responsabile: la sacrosanta messa in sicurezza delle scuole, che peraltro darebbe il vero segnale di fiducia che la gente attende; il saldo dei debiti della Pubblica Amministrazione; l’abbattimento del cuneo fiscale; la rinegoziazione dei trattati europei. Tuttavia non ha parlato delle coperture e questo un Presidente del Consiglio purtroppo non può permetterselo, perché un minimo accenno devi pur darlo: quando Mario Monti s’insediò – tanto per fare un esempio – e accennò all’IMU, parlò quasi di aliquote possibili e quale gettito si sarebbe aspettato, per quanto il suo discorso fosse curato. Ora magari un dettaglio simile sarebbe impensabile ma quando si accenna all’eliminazione del debito pregresso da parte della P.A., quando tutti noi abbiamo assistito – all’inizio della legislatura con la commissione bicamerale ad hoc costituita in Parlamento – della difficoltà di liberare qualche decina di miliardi, allora è evidente che un certo registro ai contenuti delle dichiarazioni dovrai pur farlo.
Sicuramente è stata assente la Politica Estera: noi siamo l’Italia, siamo in mezzo al Mediterraneo e il Governo del nostro Paese – nel momento supremo dell’insediamento – ha l’obbligo di parlare di che visione ha per almeno questa parte del mondo, per il Magreb, per il Medio Oriente, e come vede la presenza delle nostre truppe all’estero (credo sia la prima volta che manchi in un discorso di insediamento alle Camere un accenno alle truppe e il doveroso ringraziamento di rito al Capo dello Stato).
Ma tutto questo – oggi – non poteva avere spazio: non perché il Governo non abbia posizione in merito.
Ma perché appunto la platea alla quale il Presidente del Consiglio si rivolgeva non erano i senatori, ma le gentili spettatrici e i cari spettatori, davanti ai teleschermi, tablet, pc, smartphone.
E se in effetti è lecito interrogarsi su che senso abbia un voto di fiducia – quale quello previsto dalla nostra Costituzione – su dichiarazioni programmatiche così fumose, forse la risposta dovremmo cercarla più sull’abolizione di taluni riti che altro. La “Costituzione più bella del mondo“, come spesso amiamo noi definire la nostra, mostra i segni del tempo per quanto riguarda l’assetto istituzionale. E forse sarebbe il caso di interrogarsi se non sia giunto il momento – anche a sinistra – di distruggere il tabù del presidenzialismo e del premierato forte, con meccanismi di sfiducia costruttiva e poteri più forti al Presidente del Consiglio, sul modello del Primo Ministro inglese, se non quello presidenziale francese.
Ora nel giudicare da un punto di vista comunicativo assolutamente eccezionale il discorso di Matteo Renzi, si comprende benissimo lo shock di senatori e deputati, specialmente nel PD, che si trovano a votare la fiducia non su un programma ma su una persona.
Ma la sinistra del PD deve anche capire che se vuole che Renzi non duri venti anni, e quindi con il rischio di convivere con un altro referendum fra renziani e antirenziani, allora deve imparare a combattere i programmi utilizzando un linguaggio comprensibile da tutti.
Perché dopo il discorso di oggi indietro non si tornerà più.
p.s. Come ho scritto ieri nel commento al mio post sul ministro Orlando e la pena dell’ergastolo, non sono diventato renziano e grazie al cielo non sono un Parlamentare del PD perché sarei stato costretto a votare la fiducia, poiché il Governo è presieduto dal Segretario Nazionale del partito, con fortissimi mal di pancia. Ciò non toglie che bisogna imparare a riconoscere i meriti di chi ce li ha, anche quando lo consideri inadeguato a un ruolo. E se a sinistra non la smettono con la supponenza rispetto ai bravi comunicatori allora temo che non riuscirà a stare sempre all’opposizione e ripeterà gli errori del 1996 e del 2006.