Adesso #Renzi è senza più alibi
Chiunque abbia trascorso il pomeriggio di ieri osservando la Direzione del Partito Democratico, con uno sguardo alla sua timeline di Twitter e un altro alla diretta fiume dei principali network di informazione, avrà forse provato una sensazione strana.
Da un lato quasi una tenerezza nei confronti dei moltissimi simpatizzanti del Sindaco di Firenze, delusi da una classica manovra di palazzo che porterà nelle prossime ore Matteo Renzi a Palazzo Chigi; dall’altro una sorta di incredulità per uno stile che – come hanno definito oggi sul Fatto Achille Occhetto e Paolo Cirino Pomicino – assai lontano dalla classe con la quale si liquidavano le leadership nei due principali partiti della Prima Repubblica, il Partito Comunista Italiano e la Democrazia Cristiana.
Certo immagino lo stupore – per dirla alla Renzi-Crozza – dei giovanissimi, degli under 30, estasiati ormai da molti anni dallo stile giovanile dell’ormai imminente ex sindaco di Firenze, che ieri è apparso più come un cinico e abile manovratore occulto piuttosto che il limpido e leale rottamatore che avevamo conosciuto.
Comprendo bene chi si possa sentire spaesato di fronte a un rottamatore che fino a due giorni fa affermava che mai e poi mai avrebbe fatto le scarpe a Letta, che mai e poi mai sarebbe andato al Governo senza passare dal voto.
Tuttavia la politica è anche questa: può piacere, disgustare, inorridire. Ma ovviamente è tutto perfettamente lecito, anche se le opposizioni sbraitano all’ennesimo golpe o sgarbo istituzionale. E se ai più giovani (grillini in primis) è concesso non ricordare, fa innervosire un tantino l’atteggiamento del quasi premio Nobel Renato Brunetta, oggi strenuo difensore della centralità e dell’onore del Parlamento, esautorato da un dibattito in forma pubblica. Strano: dev’essere un altro Brunetta rispetto a quello che solo qualche anno fa votò che Ruby fosse veramente la nipote di Mubarak, umiliando la nostra storia con uno dei resoconti verbali più tristi e vergognosi del nostro Parlamento. E il Brunetta di oggi non appare minimamente imparentato con l’omonimo che per una vita è stato al servizio di un altro uomo forte, Bettino Craxi, colui che – insieme agli amici Forlani e Andreotti – era espertissimo in crisi extraparlamentari, spesso suggellate da accordi dentro un camper insieme a De Michelis e a Martelli, i quali – noterete – non rilasciano mezza dichiarazione sulla forzatura istituzionale di oggi, loro che sono espertissimi di quelle del passato.
Francamente l’unica cosa che si può appuntare a Matteo Renzi è l’enorme caduta di stile con la quale ha liquidato questa esperienza del Governo Letta. Su queste pagine ho spesso sostenuto che il fatto che il leader del partito di maggioranza relativa guidasse il governo fosse un fatto positivo, ci avvicinasse a Westminster, rendendo più semplice la nostra democrazia parlamentare, nata sotto il segno della paura del Fascismo.
Ma c’è modo e modo.
Per quanto il Governo Letta e il suo Presidente facessero schifo alla nuova dirigenza del PD, il precedente che Renzi ha portato ieri è sì innovativo, ma non è detto che tale innovazione sia positiva. Non tutti i cambiamenti sono positivi, come quelli climatici ad esempio insegnano.
Intanto perché Letta – come richiamato ieri da Alfano in una lucidissima conferenza stampa (direi perfetto, dal suo punto di vista, il capo del Nuovo Centrodestra) – era il vice segretario del partito, facente funzioni di segretario, quando è stato nominato. Si fosse fatto l’avvicendamento il giorno dopo l’Assemblea Nazionale del PD a dicembre, anziché giocare al partito di lotta e di governo, sarebbe stato meglio e persino comprensibile per la base.
Aver detto di voler appoggiare e collaborare con Letta e poi – off the records – lavorare al suo logoramento è stato scorretto e Renzi in qualche modo lo pagherà, sia in termini di consenso (a sinistra il voto è molto idealista, pure troppo talvolta), di favore verso la sua persona o di interesse per la novità (ha perso moltissimo della sua carica innovatrice), sia in termini di concessioni che dovrà inevitabilmente fare agli alleati (chiunque essi siano) per evitare di diventare Primo Ministro in carica … per gli affari correnti in campagna elettorale.
Avrà colpito molto la moltitudine di fan, specialmente sui social, che pensavano di aver votato un leader totalmente nuovo, quasi a caricarlo della solita mistica provvidenziale, e invece si sono ritrovati la quintessenza della politica.
Naturalmente per chi non ha mai creduto nella novità della rottamazione, per quel disincanto che spesso prende quando si capisce che i rivoluzionari diventano conservatori una volta arrivati al potere e che soltanto i riformisti cambiano veramente le cose, le modalità di sostituzione a Palazzo Chigi non destano scandalo, né amarezza.
Certo rimangono molti interrogativi, a partire da un famoso incontro con Massimo D’Alema del quale non si è mai saputo nulla.
Si capiscono meglio le manovre dello scorso marzo e il suo “fate presto“.
Si comprende bene la pressione che poneva sul tentativo di Pierluigi Bersani, per logorarne la leadership: d’altronde oggi non mi sembra che i voti di Bersani facciano poi tanto schifo, dato che consentono a Matteo Renzi di andare a Palazzo Chigi, senza quell’investitura popolare che egli riteneva indispensabile, rifiutando i premi di consolazione (cit.).
Ma anche la legittimazione popolare è solo una questione di tempo. Ne ho scritto stamane su Twitter (mi scuso per l’autocitazione):
Prevedo: #Renzi si candida alle #europee in tutte le circ. Mln di voti -> legittimazione. Come #Berlusconi e meglio di #Dalema. #sapevatelo
— Vincenzo A. Pistorio (@vpistorio) 14 Febbraio 2014
Naturalmente tutto questo scandalizzerà coloro che consideravano Matteo una sorta di semidio, indispensabile per vincere e che adesso intende sottrarsi alle urne addirittura fino al 2018 (Bersani avrebbe dovuto fare un governo di qualche mese per tornare rapidamente al voto, mentre ieri abbiamo appreso che anche la legge elettorale è in rallentamento).
A me invece questo non scandalizza affatto.
Io sono contento che Renzi vada al Governo, si misuri con la sua capacità di fare una coalizione e proponga la sua squadra di ministri al Presidente della Repubblica.
Come ha scritto Claudio Velardi ieri sul suo blog, l’ambizione smodata che Matteo Renzi ha manifestato in questa fase ha un riflesso necessariamente forte e che è la severità con la quale verrà giudicato lui al Governo.
Le aspettative che molti hanno riposto in lui, quasi come di fronte a un ennesimo salvatore della patria, l’ultima spiaggia, sono così alte che ovviamente di contro impongono a chi si occupa di informazione, volontari o professionisti che siano, una fermezza nel giudicare i suoi comportamenti e i suoi atti che in Italia hanno avuto soltanto coloro che si sono presentati allo stesso modo: Bettino Craxi e Silvio Berlusconi.
Non avrà sconti Renzi e credo lo sappia benissimo e lo ha sicuramente messo in conto quando ha deciso che fosse il momento di prendersi questo rischio enorme.
Chi scrive – lo sapete – non è un renziano e considera il Sindaco di Firenze, prossimo Presidente del Consiglio dei Ministri, inadeguato a guidare il nostro Paese non perché non ne abbia le capacità (anzi!), ma perché le ricette economiche e sociali che ha proposto – almeno finora nelle campagne per le primarie – sono state di conservazione, altro che di rottura, di cambiamento o di sinistra.
D’altronde il parterre de roi delle sue Leopolda, nel 2012 e nel 2013 dopo la rottura con Pippo Civati, si è composto di molti esponenti che hanno spesso manifestato idee politiche più liberiste che sociali, idee sconfitte dalla storia del nostro continente, come ampiamente dimostrato negli ultimi due anni con le crisi enormi dei paesi del cosiddetto gruppo dei PIIGS.
Valga per tutti il finanziere Davide Serra, che anche recentemente non ha risparmiato cinguettii che lo disegnano più come un seguace della Thatcher che di François Hollande, il partito del quale fa parte del Partito Socialista Europeo che sta per modificare la propria denominazione proprio per far entrare il PD.
Vedremo se Renzi e il suo esecutivo all’opera quando si tratterà di tagliare la spesa pubblica, come sempre si dice di fare: si taglierà dove?
Si favorirà la razionalizzazione della spesa o si mirerà soltanto al risparmio?
Perché mentre nel secondo caso si viene accecati dal dato puntuale (mi auguro ci si risparmi la retorica del costo della siringa perché non è certo quello lo spreco nella nostra Sanità!) razionalizzare significa generare efficienze di sistema per il fatto che le tue risorse – sempre le stesse – le usi meglio.
Capiremo se il PD di Renzi è ancora un partito di sinistra da come approccerà il mercato del lavoro: se l’idea è quella di Serra, cioè di una sorta di concessione, di elemosina, dall’alto allora questo non è sinistra: avere il cuore a sinistra significa pensare alla sussidiarietà anziché all’egoismo, alla comunità e non all’individualismo, all’estensione dei diritti di chi non ne ha anziché alla compressione degli stessi.
Vedremo se finirà la stucchevole polemica sull’articolo 18, ampiamente disatteso per la semplice ragione che il rapporto tra contratti full-time e contratti atipici ormai si è ribaltato, e che comunque è stato dimostrato non è certo quello il freno per le imprese, dopo che è stato modificato dal Governo Monti.
Sicuramente capiremo meglio le cose dalla squadra e da come questa risolverà i propri conflitti di interesse: si sente parlare di Farinetti all’Agricoltura, che è come nominare Berlusconi al Dicastero delle Comunicazioni. Ci auguriamo che ciò non avvenga anche per le idee di lavoro e sui lavoratori che il fondatore di Eataly ha manifestato.
Ovviamente ci si augura tutti che Matteo Renzi riesca nel suo tentativo e che ci riesca facendo crescere l’Italia nuovamente, ampliando i diritti, favorendo l’equità e il benessere di molti.
Ma una cosa almeno adesso sarà chiara per tutti: non ci sono più alibi, non ne ha più.
E non potrà nemmeno usare la frase “non mi hanno lasciato lavorare“: innanzi tutto perché sarebbe copiata da Berlusconi che l’ha usata ad libitum.
Poi perché questa bicicletta, che ha sempre detto di non voler pedalare, l’ha proprio voluta lui.