Una domanda senza risposta

 In POLITICA

Ieri sera, durante la rubrica quotidiana SKYTG24 Economia, il conduttore ha posto a Marco Rizzo la seguente domanda (riformulata, n.d.b.): “Ma ammesso e non concesso che il Governo Italiano proceda nella direzione da lei indicata, cioè provveda a nazionalizzare gli stabilimenti Fiat in Italia, chi dovrebbe comprare poi le vetture, se il mercato è saturo e la domanda sta drasticamente calando?“.

L’esponente politico, che per chi non lo ricorda è stato capace di scindere persino il Bosone di Higgs a sinistra, passando da Rifondazione Comunista di Bertinotti ai Comunisti Italiani di Cossutta, per poi criticare la Sinistra Arcobaleno, fondare la Lista Anticapitalista e quindi approdare finalmente al partito Comunisti Sinistra Popolare – Partito Comunista, che ha come riferimento un noto democratico come il dittatore della Corea del Nord, ha cominciato una di quelle filippiche contro il mercato, il capitale, le banche, per esaltare la bellezza dell’economia pianificata, la previsione costituzionale delle cooperative dei lavoratori che gestiscano la fabbrica: tutte belle cose, alcune utopistiche, altre sperimentate – se non ricordo male – con scarso successo in Unione Sovietica.

Poiché la rubrica era in chiusura e l’edizione delle 19 incombeva, il conduttore ha cercato di fermare l’esponente di sinistra. Ma alla fine s’è dovuto arrendere e ha chiosato: “Lei però non ha risposto alla mia domanda!

Già! Perché la vera questione sta proprio in quella domanda: “Ma siamo sicuri che tutte queste macchine trovino poi chi è disposto a comprarle?“. Cioè:  proviamo anche a immaginare che la FCA (prego astenersi dal ridere, già in rete hanno detto di tutto!) si convinca a lasciare definitivamente l’Italia, anche in termini sostanziali oltre che formali. Supponiamo che in un rigurgito di nazionalismo il Governo Italiano segua l’idea di Rizzo (“l’industria automobilistica è un asset strategico del nostro Paese“) e quindi proceda alla nazionalizzazione e all’affido della gestione a cooperative di lavoratori. Supponiamo ancora che questi lavoratori siano così bravi, ma così bravi, da costruire autovetture straordinarie, di gran fattura e ottima qualità. Ma per garantire la sostenibilità dell’investimento ne dovranno pure produrre tante, ma tante.

Ecco mi chiedo: ma siamo sicuri che il modello di “fabbrica” che abbiamo sempre sperimentato, con quel “Compro Fiat perché è Italiana” che tanti danni ha fatto alle nostre imprese che si adagiavano sulle svalutazioni periodiche della lira producendo vetture obbrobriose, fino all’avvento della nuova 500, siamo sicuri – dicevo – che sia questo tipo di industria, quella che produce macchine per spostarsi, sia veramente l’asset della nostra società e che la gente brami per comprare un’auto nuova?

Personalmente ho una Toyota, la cambierei con una Fiat soltanto se la casa italo-americana mi assicurasse lo stesso livello di servizio, ma comunque ce l’ho dal 2003! Non è certo in cima alle mie priorità acquistare una vettura e da quel poco che posso osservare, guardando la realtà che mi circonda, da Roma a Catania, ho l’impressione che persino le priorità dei giovani siano cambiate.

Mentre ai nostri tempi avere 18 anni significava l’indipendenza di movimento, mentre a 14 anni il motorino era un must e a 16 si passava alla moto targata, ho come la sensazione che per i ragazzi della classe ’90, le cose non stanno proprio così.

Si passa dallo smartphone o dal tablet in adolescenza a un anno di studi all’estero, e magari anche tutta la carriera universitaria, per gli studenti.

Con la maggiore età l’appeal delle quattro ruote, una volta sinonimo di libertà e di fughe d’amore, ormai è sbiadito: intanto perché i diciottenni di oggi hanno bruciato molte più tappe di noi. Non avvertono la conquista del permesso di guida come qualcosa di fondamentale nella nostra vita. Anzi. A volte non gliene frega proprio nulla! E considerando che le gite scolastiche si cominciano a 10 anni e che in adolescenza le opportunità di farsi tre giorni fuori con la morosa o il moroso sicuramente sono molto di più di venticinque anni fa, possiamo tranquillamente affermare che la macchina come simbolo della prima alcova certamente ormai non c’è più.

Ora è evidente che la presenza di Rizzo a quella trasmissione fosse più che altro dovuta alla rappresentazione di un’idea – la ri-nazionalizzazione di alcuni settori industriali – che ha diritto di essere presentata all’opinione pubblica. Tuttavia mi chiedo se a sinistra, a parte appunto i teorici della scissione subatomica come l’esponente comunista, e a destra, siano in grado di comprendere la società contemporanea.

Perché soltanto attraverso una corretta e obiettiva osservazione del mondo, scevra delle tue personali convinzioni che possano deformare la realtà percepita, si può pensare di avere una vision per i prossimi decenni. Temo che molti – nella classe dirigente – sottovalutino il cambiamento di bisogni secondari che le nuove generazioni avvertono e che saranno – inevitabilmente – il terreno per costruire i modelli economici del futuro. E il meccanismo di creazione di bisogni, che tanto bene fanno i bravi marketers come Phil Schiller di Apple Inc., parte proprio dall’osservazione non soltanto di quello che vuole la gente (il famoso cavallo più veloce dei tempi di Ford) ma dall’invenzione di nuovi desiderata, evoluzione di quelli già posseduti o desiderati.

E forse è questa la parte più complicata: perché con le nostre case che scoppiano di benessere, con le stanze dei nostri bambini che sembrano tanti reparti di Toy’r’us di Times Square e con le nostre sale Hobby che sembrano attrezzate per gestire tranquillamente una micro-impresa, studiare, inventare e realizzare prodotti o servizi all’altezza delle aspettative diventa sempre più complicato.

Ci sarebbe la strada della riconversione: pensare a esempio che arte, cultura, musica, cibo, che – occhio e croce – in Italia non dovrebbero mancare, possano diventare i nuovi asset di riferimento, sostituendo l’industria pesante per come l’abbiamo conosciuta finora, lasciandola a nicchie di consumatori (il lusso di Ferrari e Maserati va in questa ottica) e convertendo impianti e piccole imprese a un modello produttivo nazionale che valorizzi il nostro petrolio e attragga non soltanto investitori stranieri ma soprattutto visitatori, in grado di riversare nelle tasche degli imprenditori, dei commercianti e dei lavoratori un fiume di denaro. Ma per fare questo – tanto per cambiare – servono le solite due cose: umiltà e onestà. Oltre che la competenza, s’intende, ma quella – grazie a Dio – non manca grazie a una scuola che – nonostante tutto – è ancora tra i primi posti nelle classifiche dei paesi più sviluppati.

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