La democrazia a colpi di tweet

 In POLITICA

Avranno notato, i più affezionati fra i quattro gatti che leggono assiduamente queste pagine, che non sto scrivendo moltissimo dell’attualità politica (almeno rispetto al passato). È che di novità serie ce ne sono pochissime e tutto il resto è gossip. Trovo più interessante – di questi tempi – osservare l’atteggiamento della stampa italiana e dei principali commentatori politici nei confronti del potere. Fatte salve alcune eccezioni, tutti sembrano ossessionati dalle campagne elettorali. Ora è vero che in campagna elettorale si vendono più giornali, salgono i profitti pubblicitari e si misura il potere di controllo, però è altrettanto vero che non si può stare in campagna elettorale permanente.

Ho ascoltato ieri il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi sia alla trasmissione Ballarò che sulla precedente diretta Twitter ormai famosa: #matteorisponde. Ho anche fatto una domanda che però non ha avuto risposta. E ho letto con interesse la sua lettera alla Stampa di stamattina relativamente al Jobs Act. Ora è perfettamente normale che tra i cittadini ci sia un enorme entusiasmo e una grande aspettativa nei confronti di Renzi. Però compito della stampa, anche di quella che ha sostenuto apertamente e lealmente la sua candidatura alla segreteria del PD, è quella di chiedere conto al segretario del PD degli impegni presi durante la campagna per le primarie e soprattutto incalzarlo all’assunzione delle responsabilità che competono al segretario del principale partito italiano.

Io capisco che fa vendere di più la notizia di avere il leader del principale partito di maggioranza che sembra essere un partito di lotta e di governo ma non è così che si fa il bene di Renzi e dello stesso PD.

Se il Governo ha fatto pochino – come probabilmente è anche vero e come lui stesso ha sottolineato – non è che il problema lo risolvi semplicemente cambiando o dettando l’agenda: serve un’assunzione di responsabilità. Se si è insoddisfatti di come il Presidente del Consiglio sta dirigendo la politica dell’esecutivo c’è soltanto un modo per dimostrare responsabilità: assumersela. Se non in prima persona, perché si ritiene che non si è ricevuto un mandato popolare (sebbene si viva in una repubblica parlamentare, cosa che ormai è dimenticata da tempo), non si può derubricare a rimpasto da prima repubblica la modifica della compagine di governo: è assunzione di responsabilità. Assuma un incarico di prestigio Del Rio, si metta Gutgeld o lo stesso Taddei, responsabile economico del PD, al Tesoro o allo Sviluppo Economico, si cambi insomma la squadra o la delegazione democratica al Governo senza timore di farsi impantanare nei riti della Prima Repubblica. Perché se c’era una cosa che allora abbiamo sperimentato era proprio la totale assenza di senso di responsabilità e la mera spartizione delle poltrone.

La libera stampa italiana farebbe bene anche a tirare le orecchie a Matteo Renzi quando su Twitter spara cretinate sul compito del Primo Ministro (che ricordiamo è una semplificazione giornalistica poiché in Italia non esiste il “Primo Ministro“). Recita infatti la Costituzione della Repubblica:

Art. 92.
Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.

Art. 93
Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.

Art. 94
Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

Art. 95
Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.
I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri.
La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri.

La stampa farebbe bene a chiarire a Renzi che non è Enrico Letta che può cambiare questo o quel ministro se non attraverso una moral suasion. Può fare soltanto una cosa: dimettersi e rimettere al Capo dello Stato l’onere della decisione di rinviare alle Camere il Governo, formarne un altro oppure sciogliere il Parlamento e andare immediatamente a votare.

Personalmente sono dell’idea che Letta debba dimettersi: innanzi tutto perché è evidente che non gode della fiducia del suo partito. È una sorta di fiducia condizionata e questo un Premier non può permetterselo. Poi perché non è un bene – per l’Italia intera – che il Presidente del Consiglio – in ambito comunitario e internazionale – sia visto come una sorta di anatra zoppa. Si lasci dunque alla saggezza del Presidente Napolitano e all’intelligenza della nuova dirigenza democratica comprendere quale possa essere la strada migliore per il 2014. Ma non è pensabile che il semestre di presidenza italiano che comincerà a giugno si tenga con un capo del governo che non soltanto deve rintuzzare gli attacchi dell’opposizione ma deve guardarsi anche dal suo stesso partito. Si faccia un governo nuovo oppure – se non ci sono i numeri – si torni immediatamente al voto, con o senza nuova legge elettorale.

Perché la democrazia è una cosa troppo seria per poterci giocare a colpi di tweet.

p.s. faccio notare che la legge elettorale adesso vigente, dopo la sentenza della Consulta, non è – come fanno molti notare – un “proporzionale puro”. Ci sono due soglie di sbarramento, il 4% alla Camera e l’8% (su base regionale) al Senato, che la rendono fortemente “tedesca”. Se questa non assicura la “governabilità” – come giustamente si sostiene – non è perché attribuisce i seggi in base a una proporzione, ma perché lo scenario politico da febbraio è totalmente cambiato. Per questa ragione mi chiedo se non sia il caso, qualora non si riesca a varare una legge elettorale seria (ho letto le proposte di Scelta Civica e tutto sommato sono condivisibili, anche se non riesco a capire perché il doppio turno di collegio non vada bene a nessuno!), di eliminare le soglie di sbarramento e consentire che la prossima legislatura sia veramente “costituente”, con un’Assemblea che rappresenti fedelmente il corpo elettorale italiano. Ci vorrebbe un patto fra gentiluomini, che sancisca che riscritte le opportune regole del gioco, scelta una nuova forma di governo, rivisti poteri e contropoteri, si vada poi di nuovo a votare con la certezza di avere sempre la continuità dello stato e delle istituzioni. Ma appunto ci vorrebbero i gentiluomini: si fa fatica a trovarne nelle figure apicali degli odierni partiti politici italiani.

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