I gusti e le scelte dei padri che ricadono sui figli

 In LIFE

A Palazzo Chigi, stamattina, si riunisce il Consiglio dei Ministri.

All’ordine del giorno, come potete vedere, fra altre cose, il Decreto Legislativo recante “Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli, in esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 7 gennaio 2014“. Come probabilmente avrete letto, la Corte ha accolto il ricorso di una coppia italiana che si era rivolta al giudice sovranazionale per aver riconosciuto il diritto di mettere ai propri figli il cognome materno.

Ora immagino che anche su questo – in Italia – ci si dividerà come sempre, con le opposte curve, nel grande stadio della politica italiana.

Tuttavia io non riesco proprio a comprendere per quale ragione un cittadino maggiorenne non abbia il diritto di decidere come diavolo chiamarsi!

Si dirà: ma se si ha un cognome o un nome ridicolo la legge già lo consente di cambiare le generalità. Vero. Ma perché lo Stato deve legiferare anche su questo? Chi stabilisce poi il confine del ridicolo? Faccio un esempio: nel nord d’Italia il cognome Puppo è molto diffuso. In Sicilia è invece un dispregiativo per i gay, come in italiano si dice finocchio, frocio.

Ma il punto non è questo: perché una persona che acquisisce la capacità giuridica, risponde personalmente di crimini commessi, ha il diritto di elettorato attivo e passivo, ha tanti diritti e moltissimi doveri, non possa avere il diritto di chiamarsi come vuole senza dover presentare al Tribunale una mole di carteggio gigantesca per attestare le sofferenze psicologiche, eventuali soprusi subiti? Perché in uno stato democratico e libero io non posso avere la libertà individuale di chiamarmi come mi pare e piace?

Il problema non è solo il cognome paterno o materno: ma proprio tutte le generalità.

Nella quasi totalità degli Stati Uniti, se non erro, a fronte di una presentazione di un’istanza, deve semplicemente trascorrere il tempo necessario a una normale burocrazia – al massimo un paio di mesi – per ricevere il tuo decreto con le nuove generalità. Stesso dicasi nel Regno Unito.

Il problema che uno amministrazione pubblica normale dovrebbe avere è soltanto quello di verificare, ed eventualmente sanzionare, che tale pratica non venga adoperata per aggirare l’Agenzia delle Entrate e quindi il pagamento delle tasse.

Ma nell’era post-informatica, a distanza ormai di decenni da quando i database relazionali sono stati inventati, non credo sia complicato associare il Codice Fiscale (in US non contiene lettere né riferimenti alle generalità, ma è un numero) all’individuo.

In Italia, anche se fonte di ridicolo, un adulto per poter cambiare nome e cognome deve chiedere il consenso dei genitori e persino dei nonni se sono in vita. Vi sembra normale? A me no.

Ciascuno di noi potrebbe avere una storia da raccontare sul proprio nome e sul fatto che ha dovuto conviverci con qualche sofferenza.

Vi racconto un episodio: come ho scritto nella mia biografia su questo sito, tanto per riderci su, io mi chiamo proprio Vincenzo Antonio, nel senso che l’anagrafe catanese mi ha registrato così. Ora siccome in Italia non ci facciamo mai mancare nulla, con la burocrazia, ci siamo inventati la discriminante delle “virgole“: se dopo il primo nome c’era la virgola gli altri non si consideravano, altrimenti niente!

Ti beccavi tutta la fantasia dei tuoi genitori.

Però la normativa sulla punteggiatura arrivò successivamente alla mia data di nascita …

Così bisogna risalire all’estratto dell’atto di nascita: nel mio c’è scritto che quel bel bambinello (modesto!), nato la domenica di carnevale del 1972 (scherzetto!), è stato registrato con il “Nome“: Vincenzo Antonio.

Sostantivo singolare: Nome.

Naturalmente ho vissuto ignorando questo problema fino a quando sono stato residente in Sicilia. Quando nel 2000 portai per la prima volta la residenza a Roma ricevetti una convocazione giudiziaria presso l’ufficio elettorale di Roma: ora non è che quando tu ricevi un messo giudiziario sprizzi gioia da ogni poro in un paese dove se non trovi l’anti taccheggio sul giubbotto o sulle scarpe ti fanno spogliare mezzo nudo in aeroporto!

Mi recai all’ufficio elettorale di Roma, mi fecero accomodare in sala d’attesa fino a quando venni ricevuto dal dirigente preposto alle liste elettorali, insieme a un paio di collaboratori e se non ricordo male alla Polizia Municipale di Roma.

Ma lei come si chiama?i” – mi chiese il dirigente. “Come, come mi chiamo?” – risposi io – “Ma se mi avete scritto voi, lo saprete come mi chiamo!“.

Il dirigente sorrise alla mia battuta e mi spiegò la surreale questione burocratica: “Vede, Signor Pistorio” – cominciò quasi imbarazzato per quanto stesse per spiegarmi – “dall’Ufficio Anagrafe di Catania, dove lei è nato, risulta che è registrato come Vincenzo Antonio. L’Ufficio Elettorale di Mascalucia, da dove lei proviene e quindi dove è iscritto finora alle liste elettorali, l’ha registrato con il solo Vincenzo. Noi per accettarla qui a Roma e registrarla correttamente abbiamo bisogno di un atto formale che sancisca le sue generalità“.

Voi potete certamente immaginare la mia faccia di fronte al dirigente che mi chiedeva di autocertificare (Santo Subito Bassanini e la sua Legge sull’Autocertificazione, altrimenti sarebbe dovuto essere un Tribunale a sancire 28 anni dopo la mia nascita come mi chiamassi!) con quale nome preferissi essere registrato a Roma.

Nei documenti come risulta?” – mi domandò ancora il dirigente. “Vincenzo Antonio” – risposi – “solo in Banca ho entrambe le firme depositate“.

Allora le consiglio di farci una dichiarazione giurata in cui chiede di essere sempre riconosciuto con entrambi, anzi che d’ora in poi il suo nome è Vincenzo Antonio” – mi esortò.

Così feci.

Ora vorrei capire se nell’Anno di Grazia 2014 la società italiana non abbia raggiunto la maturità tale da poter consentire a un cittadino di decidere sul proprio nome, senza incartamenti particolari, testimonianze, medici, perizie psichiatriche e le sempre immancabili raccomandazioni!

Perché deve fregare qualcosa all’Amministrazione Pubblica?

Perché i gusti e le scelte di noi genitori devono ricadere perennemente sui figli?

 

 

 

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