Michelle, ma belle
Domenica prossima, mentre la mia famiglia sarà tutta presa dai festeggiamenti per il quinto compleanno della nostra adorabile e irascibile, dolce e petulante, bellissima e stronzetta, principessa a oltre diecimila chilometri dalla nostra Capitale, in quella della Repubblica del Cile, Michelle Bachelet entrerà trionfalmente – per la seconda volta dopo i quattro anni di riposo forzato come previsto dalla nuova democratica costituzione cilena – al Palacio de la Moneda dove poco più di 40 anni fa, in un altro 11 settembre, Salvador Allende venne deposto e la giunta militare di Augusto Pinochet cominciò il suo lungo periodo dittatoriale conclusosi soltanto nel 1990.
La candidata del Partito Socialista Cileno vincerà le elezioni con un programma tutto impostato sulla spesa pubblica – ripeto pubblica – con forti investimenti nella cultura, nelle università, nello stato sociale per far sì che la forbice fra ricchi e poveri, fra abbienti e meno fortunati, si riduca e tutti abbiano le medesime opportunità – per quanto l’ingiusto mondo che viviamo lo possa consentire – ai blocchi di partenza di questo gioco chiamato vita.
Nel nostro Paese manifestanti di piazza che si autodefiniscono di popolo, come se noi che stiamo invece sulle nostre scrivanie non lo fossimo, farneticano di incendiare libri e librerie, chiedono di destituire il Governo Letta perché non eletto dai cittadini sostituendolo con un Governo Istituzionale a guida militare.
Al di là dell’inesattezza sullo status giuridico del Governo (in Italia si eleggono le Camere e il Governo si forma in Parlamento) il fatto che questi manifestanti chiedano una giunta militare e minaccino di bruciare i libri ci riportano a un periodo non proprio edificante per il nostro Paese e per l’Europa. Non si capisce nulla nemmeno delle rivendicazioni: manifesto per mia figlia di tre anni, ha detto uno a Radio Capital ieri sera, senza però specificare cosa vuole. Solo che vadano a casa.
Nel frattempo, i capi di due grandi forze politiche parlamentari, che valgono circa il 40% dell’elettorato italiano stando alle ultime elezioni politiche e agli ultimi andamenti dei sondaggi, invitano o minacciano azioni eversive: uno – il barbuto – chiede alle Forze dell’Ordine e alle Forze Armate di disertare e di non garantire la democrazia del nostro Paese; l’altro – il pregiudicato – minaccia che se dovessero arrestarlo – in uno degli innumerevoli procedimenti penali a causa della sua condotta criminale – avverrà una rivoluzione.
Gli house organ delle due grandi forze politiche anziché condannare gli atteggiamenti eversivi e fascisti dei due pompano benzina sul fuoco, in barba alla loro sedicente eredità dei grandi giornalisti con la schiena dritta del passato, da Indro Montanelli a Enzo Biagi.
Il programma elettorale della Bachelet nasce anche dal confronto con gli studenti cileni che sono scesi in piazza negli anni passati, durante la presidenza Pineira, rivendicato non soltanto diritto allo studio ma anche investimenti massicci in cultura e formazione, perché soltanto attraverso il miglioramento della propria condizione culturale si può competere nel mondo contemporaneo.
In Italia – viceversa – al grido di tutti a casa e inneggiando al pubblico come un grande spreco collettivo (ovviamente per quelle spese che non toccano la mia di famiglia!) – si scende in piazza per manifestare il nulla, senza nessuna ricetta da proporre, da far inserire nell’agenda. Senza diritti da rivendicare (diritto al futuro di mia figlia è una cazzata!). Solo protesta e nessuna proposta. E naturalmente – anziché prenderne le distanze – le due citate forze politiche ne cavalcano l’onda, giocando allo sfascio totale.
Se non fosse il compleanno della bambina io domenica vorrei stare a Santiago e non a Roma.