Generazione Bim Bum Bam: il trionfo di @matteorenzi
Non ho la presunzione di credere che il nuovo segretario del PD, Matteo Renzi, abbia letto la mia lettera pubblicata su queste pagine la scorsa settimana. Troppi impegni per la campagna elettorale: figuriamoci se avrà trovato il tempo di leggerla. Tuttavia sono giorni che osservo – da quando lo esortai a considerare Beppe, Silvio e Angelino i nostri avversari – che il suo registro è cambiato: avrò portato bene.
Probabilmente stava già capendo che da ieri sera, dopo che oltre due milioni di persone hanno messo una croce sul suo nome, non potrà più permettersi di giocare al rottamatore, perché adesso anche lui è classe dirigente.
Il dato che maggiormente emerge da questo schizofrenico congresso in tre fasi (non penserete che riuscirò a capire perché il segretario di un partito debba essere votato anche da me che non sono iscritto al partito, vero?) è che oltre l’80% degli elettori e circa il 60% degli iscritti ha votato per Matteo e Pippo, le due giovani leve che rappresentano due diverse anime del PD, al netto dell’apparato che appoggia Renzi e che fugge da Pippo Civati come se fosse appestato.
Ho votato Gianni Cuperlo ieri: fino all’ultimo ero indeciso se andare al circolo del PD e poi una volta lì pensavo di annullare la scheda con la semplice scritta “PD“. Ho preferito invece dare il mio voto a Cuperlo per due ragioni essenzialmente. Innanzi tutto perché è stato vittima di assurdi attacchi: c’è stato persino chi lo ha dileggiato accostandolo all’Ambra guidata all’auricolare da Boncompagni, con Massimo D’Alema nei panni del regista. Offensivo oltre ogni lecito, da parte di chi sta dentro lo stesso partito, perché Gianni Cuperlo è un uomo molto colto, preparato e intelligente e non merita certi attacchi, peraltro mossi verso un’altra personalità che invece sa benissimo difendersi da solo. E non sopporto gli attacchi gratuiti verso chi ha almeno un grande merito che agli occhi della società contemporanea viene spacciato per difetto: l’educazione. “Non siamo il volto buono della destra” – diceva Cuperlo – “noi siamo la sinistra!“, e chi lo ha conosciuto nel tempo, nei suoi articoli, nei suoi discorsi, sa bene che se dice quelle cose non è perché c’è Massimo D’Alema a suggerirgliele!
Ma il leader maximo ha rappresentato per chi è di sinistra il capro espiatorio da sacrificare, come è giusto anche che sia riconoscendo – in D’Alema – un uomo potente e responsabile delle non vittorie. In realtà io credo che in questo continuo attacco a D’Alema ci sia soprattutto l’antipatia fisica per il personaggio, dai baffi alle battute, soprattutto alla luce dei risultati elettorali che – come detto più volte – premiano in realtà l’ex Presidente del Consiglio rispetto al suo avversario interno storico, Walter Veltroni, storicamente bravo a vincere le primarie (anche quelle ante litteram con i fax del 1994) ma poi incapace di portare il PDS prima e il PD poi alla vittoria che conta. Spero che Renzi non faccia il suo stesso errore e confonda i tre milioni di elettori alle primarie con un plebiscito alle urne. Un’alleanza dovrà costruirla perché il PD – da solo – è minoritario.
Ma ho dato il mio voto a Cuperlo (e non a Civati fra i due più a sinistra) perché è l’unico – fra i tre – che ha avuto il coraggio di difendere Enrico Letta. Qui non si tratta di essere lettiano! Nemmeno Enrico stesso lo è!
È solo che il PD non può far finta di non essere al Governo o di esserci con una delegazione di testimonianza. Assumersi la responsabilità della guida del Governo e della maggioranza è sinonimo di maturità: il voto di febbraio, che poi è quello che conta perché sono le secondarie che devono poi essere vinte, ha imposto una scelta fra la responsabilità e l’irresponsabilità: il PD ha scelto la prima, perché probabilmente il Paese è più importante del Partito, e ha affidato a Letta il compito – arduo – di tessere una rete con l’altra parte. D’altronde coloro che ad aprile erano a lutto per il Governo con il PDL di Berlusconi che avrebbero voluto fare? Andare a votare con quella stessa legge poi dichiarata incostituzionale?
Ho ascoltato soltanto alcuni pezzi iniziali del segretario eletto e non ho potuto che apprezzare il nuovo taglio, più maturo, più da leader nazionale che da Giamburrasca. Ma c’è un passaggio – nel discorso di Matteo – che mi ha colpito molto. Parlando del suo gruppo, della sua generazione, dice che la sua, la loro (la nostra?) è “una generazione che era alle Medie quando il muro di Berlino è crollato e che è cresciuta pensando che la parola politica fosse una parolaccia“.
Non avevo mai prestato molta attenzione al fatto che – sebbene la differenza in anni fra me e Matteo è di soli tre – è come se questi fossero dilatati, come se lui appartenesse ad una generazione di molto successiva alla mia. Per la prima volta ho messo bene a fuoco la ragione: mentre Matteo e i suoi collaboratori (spesso qualche anno più giovani di lui, quindi nati praticamente negli anni Ottanta, come la bellissima deputata Boschi ormai su ogni TV come ai tempi di Bersani c’era la Moretti) erano alle medie (secondo me Renzi era almeno al primo anno di superiori però!) quando il Muro è caduto, io stavo preparando gli esami di maturità.
Mentre al liceo, Renzi e i suoi, erano già nella Seconda Repubblica, noi eravamo alla fine della Prima e avevamo ancora a che fare persino con le Brigate Rosse (Roberto Ruffilli fu ucciso nel 1988 quando ero al terzo liceo, mentre Renzi era probabilmente in terza media). Insomma Matteo Renzi e il gruppo cosiddetto dei rottamatori, dei renziani della prima ora, è cresciuto nell’era di BIM BUM BAM su Italia Uno, mentre per me i cartoni animati erano quelli di SuperGulp su Rai Due …
La parola politica non era affatto una parolaccia quando ero giovanissimo: è diventata tale dopo, lo è stata quando – nell’entusiasmo del maggioritario e dell’alternanza di governo – è sceso in campo Silvio Berlusconi e ha personalizzato tutta la scena. E sebbene anche io ieri sia andato alle urne per difendere il cosiddetto bipolarismo (non nego che l’annunciata partecipazione di Prodi mi ha interrogato molto) non posso non notare che quando ero giovane io il dibattito politico era molto più serio, forse con troppe sfumature, ovviamente necessarie per distinguere le varie offerte dei partiti.
Adesso per il Partito Democratico comincia veramente una fase nuova: Renzi, Cuperlo e Civati rappresentano la nuova classe dirigente del partito ma non dovrebbero dimenticare che a Palazzo Chigi siede una persona del loro stesso partito: un uomo che è un vero signore (espressione che volentieri rubo a un’amica che l’ha definito tale di fronte al massacro che gli stanno facendo dall’interno), che alle otto del mattino di una domenica si è messo in fila a Testaccio, ha votato come ogni iscritto e ha poi twittato per testimoniare la sua partecipazione, come hanno fatto tutti i leader della nuova generazione.
Non dovrebbero nemmeno scordare che al Palazzo del Quirinale se c’è ancora Giorgio Napolitano è perché è stato il PD a essere stato irresponsabile. La stessa lealtà e fedeltà al segretario – che adesso Renzi chiede – non c’è stata ad aprile quando due fondatori del partito sono stati impallinati. Se la regola delle decisioni a maggioranza deve funzionare ora che Matteo è segretario, anche se ha i gruppi parlamentari non proprio a favore, perché non dovette applicarsi ad aprile quando Franco Marini non fu votato dai deputati renziani? Analogo discorso per la mancata elezione di Prodi: per l’epopea del sindaco vogliamo certo credere che non avesse interesse a impalare il professore emiliano, ma a far fuori Bersani credo proprio di sì. Ma questo è ormai materiale per gli storici.
Come ha detto il professore emiliano: la faccenda dei 101 è il passato. Il dispiacere in politica è lecito, il risentimento no. E questa è stata – in un pomeriggio deprimente per l’informazione (mentre su SkyTG24 celebravano come un Messia il nuovo segretario, alle 16 il TG1 anziché dare la cronaca dell’omaggio alla Madonna da parte del Papa a Piazza di Spagna faceva l’ennesima catechesi vestita da informazione) – la più grande lezione politica che è arrivata dal PD.
Infine un’ultima considerazione in polemica con il mio amico Alessandro che ieri su Twitter ha completamente sbagliato valutazione su una mia posizione:
@vpistorio stacce eh!! Altrimenti inizio a fare io il tuo troll
— Alessandro Ordine (@alesort) 8 Dicembre 2013
Qui non si tratta di “starci” al risultato elettorale: chi fa informazione, sia che lo faccia per mestiere che part-time come chi scrive, ha il dovere di essere obiettivo ma anche di fare le pulci ai potenti.
Così come nel mese di aprile non ho esitato a scrivere che Pierluigi Bersani avrebbe dovuto dimettersi non appena il Presidente della Repubblica fosse stato eletto, nonostante avessi appoggiato e mi fossi battuto perché divenisse Presidente del Consiglio, serietà impone che non si facciano sconti nemmeno al neo plebiscitario segretario del PD.
Per tutta la campagna elettorale nelle manifestazioni di Matteo Renzi, così come alle primarie dello scorso anno, le bandiere del partito si sono viste con il lumicino. Si è persino cambiato l’ordine delle foto a Palazzo Vecchio per evitare che gli spettatori di Piazza Pulita vedessero il ritratto del Presidente della Repubblica dietro le spalle del sindaco di Firenze (grazie a Non Leggerlo per averlo segnalato in rete!). Ecco da stamattina, quando probabilmente verrà qui a Roma, il nuovo segretario del Partito dovrebbe ben essere conscio che non potrà più giocare al rottamatore, al Pierino che combina le marachelle per vedere che effetto fa.
Adesso è chiamato alla responsabilità, a cominciare dall’atteggiamento da tenere verso il Quirinale e verso il Governo del Paese. Nel primo caso – a prescindere dall’attuale inquilino del Colle – sarebbe il caso che un leader politico manifesti sempre e comunque il massimo rispetto verso il Presidente della Repubblica. Non perché Giorgio Napolitano sia un re laico o un intoccabile come sostiene la stampa grillin-forzaitaliota (Fatto, Giornale, Libero, Travaglio, Scanzi) ma perché il Presidente della Repubblica, la sua persona e l’Istituzione che rappresenta, si rispettano a prescindere e se le critiche politiche sono lecite, non è lecito il vilipendio e l’insulto sistematico.
Poi Renzi dovrà chiarire quale sarà l’atteggiamento nei confronti del Governo Letta. Non basta dire detteremo noi l’agenda: a partire dalla legge elettorale il nuovo segretario dovrà negoziare con tutto il Parlamento la proposta per tornare alle urne. E se il PD vuole continuare l’azione di governo non potrà farlo criticando un giorno sì o un’altro pure il Capo di quel Governo. Pare che Renzi abbia in mente una sorta di documento di intesa sul modello SPD in Germania per il governo Merkel. Ben venga! Trasparenza e chiarezza.
Ma giocare a stare con un piede dentro il PD e uno fuori non potrà più farlo.
Adesso è il nuovo segretario del Partito Democratico e le bandiere del suo partito dovranno sventolare.
In bocca al lupo, Matteo.