Schweinefleisch, referendum e altre considerazioni

 In POLITICA

… La cattiva notizia è che, a causa dell’insipienza dei partiti e del loro Lord Protettore e Imbalsamatore, la Consulta riporta le lancette dell’orologio indietro di vent’anni, riesumando l’ultima legge elettorale della Prima Repubblica: quella con cui si votò nel 1992, il proporzionale puro con preferenza unica (a parte lo sbarramento al 4% per l’accesso alla Camera e all’8 per l’accesso al Senato dei partiti non coalizzati). Quella sonoramente bocciata dall’82,7% degli italiani il 18-19 aprile ’93 nel referendum di Segni&C. che introdusse il maggioritario (poi in parte recepito e in parte no dal “Mattarellum”). Le forbici della Consulta proprio questo fanno: trasformano il Porcellum da legge maggioritaria in legge proporzionale spianando la strada ai nemici del bipolarismo. Napolitano, Letta, Alfano e Casini in testa: i nostalgici dei governi che non nascevano delle urne, ma dagli accordi aumma aumma nelle segrete stanze dei partiti e del Quirinale. Se, come dicono, Renzi e i 5Stelle vogliono difendere il bipolarismo (“Morto il nano, ce la giocheremo noi e il Pd, e ne resterà solo uno”, tuonava Grillo), possono rendere un grande servigio al Paese: scrivendo insieme una nuova legge elettorale, col ritorno al Mattarellum o col doppio turno alla francese, che salvi il bipolarismo.Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano del 05 dicembre 2013

Il dettaglio che per Travaglio è insignificante, cioè la soglia di sbarramento, rende questa legge elettorale, corretta dalla Consulta, non esattamente uguale a quella del 1992 (non esisteva lo sbarramento) bensì molto più vicina a quella tedesca per l’elezione del Bundestag. Evidentemente a Berlino non sapevano che avere una legge elettorale fa sì che gli accordi di governo si fanno aumma aumma nelle segrete stanze dei partiti e del Quirinale.

Hanno anche loro un maiale, Schweinefleisch, a loro insaputa.

Alcune considerazioni:

  1. Ascoltando il senatore cittadino avvocato Giarrusso, mio concittadino, intervistato da Radio Capital due sere fa, prima quindi della sentenza della Consulta, abbiamo appreso (ma l’avevamo intuito) che il Movimento Cinque Stelle è alternativo al sistema per come lo conosciamo, quindi preferisce il sistema proporzionale a quello maggioritario, infischiandosene del bipolarismo in quanto il nostro ordinamento è “assembleare“. Ora al di là del fatto che Giarrusso confonde assemblearismo e parlamentarismo, la domanda sorge spontanea: come si coniuga la proposta dei parlamentari pentastellati con quanto invece sembra affermare Beppe Grillo che desidera un ritorno al Mattarellum.
  2. Su queste pagine ho scritto spesso di come il bipartitismo o il bipolarismo siano normalità in un Paese maturo. Il punto è che nessuna legge elettorale può mai salvare nessun tipo di bipartitismo o bipolarismo, a meno di mettere mano alla Costituzione e cambiare la forma di governo da Repubblica Parlamentare, con un legame fiduciario fra potere legislativo e potere esecutivo come la nostra, a una Repubblica Presidenziale con forti poteri di controllo e di veto e separazione netta fra i due poteri dello Stato. Nessuna legge elettorale potrà mai impedire ex post che la composizione dei gruppi parlamentari vari successivamente e quindi si realizzino i cosiddetti ribaltoni, le maggioranze diverse, i governi tecnici e tutto ciò che – in una repubblica parlamentare – è normale e soltanto la visione distorta di una certa stampa complottista derubrica sempre a inciucio. Se l’Assemblea legislativa si chiama “Parlamento” forse qualche parola potrà anche essere scambiata.
  3. Travaglio parla dei quesiti referendari del 1993: ora a parte che tecnicamente il referendum cambiò solo la legge elettorale – in senso maggioritario ma non con collegi uninominali – del solo Senato, quel quesito era immerso nel consueto lenzuolo di quesiti dei radicali. Oltre al famoso referendum sul finanziamento ai partiti, fra essi l’abolizione del Ministero delle Partecipazioni Statali,  di quello dell’Agricoltura e di quello del Turismo. Mi chiedo se la volontà popolare, tanto invocata da Travaglio, Grillo, Renzi quando si tratta del finanziamento pubblico ai partiti, sia ancora la stessa sull’abolizione di quei dicasteri. Ieri, nell’inserto di Repubblica “Viaggi“, l’ufficio turistico della Germania ha pubblicizzato il turismo natalizio verso le città dei mercatini. Lo stesso spesso avviene sui nostri giornali con la Spagna, la Francia, l’Irlanda. Un paese che dovrebbe campare di turismo invece ha rinunciato al Ministero preferendo un dicastero senza portafoglio, quindi con pochi fondi, per promuoversi. Stesso dicasi per l’Agricoltura, con i guasti che le regioni settentrionali con la questione delle quote latte, caldeggiata dalla Lega Nord, hanno portato, parzialmente corretto da un fantomatico Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (nessuno che però osi dire che il ministero ora guidato dalla Di Girolamo violi la sovranità popolare!).
  4. Non era evidentemente sufficiente – a Marco Travaglio e al Grillo Quotidiano – il consueto e ormai persino scontato attacco giornaliero al Quirinale sulla prima pagina: oggi di pagine ne servono altre due, per pubblicare le anticipazione del libro “Viva il Re!“, dove il vice direttore del Fatto finalmente completa la sua opera omnia contro il Capo dello Stato. Così stamattina il quotidiano che “non riceve alcun finanziamento pubblico” ci delizia con il capitolo che prende spunto dai diari di Tommaso Padoa-Schioppa, l’ex ministro tecnico del secondo governo Prodi, di gran lunga il migliore in quella compagine di governo, come afferma Travaglio e che mi sento tutto sommato di sottoscrivere (anche Bersani ministro non era male e persino D’Alema agli Esteri, ma è questione di gusti e poi Padoa-Schioppa è morto e gli altri due sono del PD, quindi per Travaglio nemici da abbattere). A distanza di tre anni dalla scomparsa veniamo finalmente a sapere che Travaglio frequentava la casa romana dell’ex ministro, uomo di Bankitalia e BCE, peraltro, ma evidentemente banchiere buono, bocconiano presentabile, loden passabile, non come Mario Monti. Ora io comprendo che pur di vendere si voglia scrivere la qualunque ma le elezioni presidenziali del 2006 io le ricordo benissimo. Al Quirinale sarebbe andato tranquillamente Massimo D’Alema, che aveva disegnato per sé una specie di ruolo alla Napolitano ante litteram. Silvio Berlusconi non lo volle pretendendo – neppure tanto a torto – onestamente – dopo il quasi pareggio – una figura più super partes e chiedendo sempre per il solito Gianni Letta quel posto. Piero Fassino chiese che cadesse la pregiudiziale sugli ex comunisti, che sembrava (e sembra) ossessionare Forza Italia e quindi mise sul tavolo il nome di Napolitano, senatore a vita nominato da Ciampi, che fu votato da tutta l’Unione (il centrosinistra) con l’astensione dell’UDC di Casini, che si smarcò da Forza Italia proprio perché nulla poteva eccepire a quella figura. Ora che Napolitano, anziché essere grato con la maggioranza che l’aveva eletto, cominciasse a remare contro lo trovo francamente surreale e al limite della paranoia. Forse – ma Padoa-Schioppa non c’è più, come Biagi e Montanelli ai quali spesso Travaglio si rifà, e quindi non potrà mai né confermare né confutare né spiegare meglio la propria tesi – Giorgio Napolitano cominciò – nel 2007 – a intuire che c’era qualcosa che non andava in una coalizione di governo che non aveva la maggioranza in politica estera e che aveva ministri che partecipavano a manifestazioni contro il Governo, cioè contro se stessi!

Ecco, se dovessi regalare a qualcuno questo libro, quel qualcuno saprà in maniera subliminale che non provo proprio un eccesso di affetto nei suoi confronti. Come se regalassi l’annuale libro di Vespa.

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