La vocazione suicida
Ieri mi sono imbattuto nell’hashtag #SELnowar lanciato da Claudio Fava e dal gruppo parlamentare di Sinistra Ecologia Libertà. L’occasione è il rifinanziamento del “decreto missioni” ma è ovviamente un dibattito che vuole generalizzare sulle nostre Forze Armate e sulla presenza stessa di esse nel nostro ordinamento. La memoria mi ha riportato al secondo governo Prodi e a quando il Professore reggiano andò sotto proprio sullo stesso decreto grazie ai due voti contrari di Rossi e Turigliatto di Rifondazione Comunista.
Ogni volta che si parla di finanziare o meno le missioni di pace delle nostre truppe armate c’è una parte della sinistra che non soltanto si sgancia ma cerca – sistematicamente – di muovere strali contro le stesse Forze Armate, salvo magari implorarle di intervenire quando ci si trova davanti a tragedie umanitarie, come quelle che avvengono nei nostri mari.
Trovo scorretto questo modo di procedere. Un conto è essere contrari a una specifica missione, afghana, libanese, libica, kosovara, e via dicendo. Altro è pensare – ingenuamente – che abolendo il modello di Forze Armate che abbiamo in Italia si riesca veramente a costruire un mondo di pace.
E non è nemmeno rispettoso verso le nostre truppe, di terra, di mare e di aria, che sono tutto fuorché militari guerrafondai, e la dimostrazione ce la danno quotidianamente proprio le popolazioni locali quando vengono aiutate dai nostri connazionali in uniforme. A dispetto delle sciocchezze, peraltro riprese recentemente in veste istituzionale dal sindaco di Messina, l’articolo 11 della Costituzione è stato sempre rispettato e l’Italia non ha mai partecipato a missioni di guerra ma sempre di pace. Chi afferma il contrario o è disinformato oppure è intellettualmente e politicamente disonesto (giusto per chiarire: l’Italia non partecipò all’operazione Enduring Freedom irachena proprio perché Ciampi e il Consiglio Supremo di Difesa la considerarono in violazione della Costituzione in quanto priva di mandato internazionale. Partecipò a quella successiva, l’Operazione Babilonia, per ricostruire il Paese. A mio avviso distruggere e ricostruire sono due cose diverse).
C’è – secondo me – in una certa sinistra, che per semplicità mediatica siamo soliti chiamare radicale, una sorta di rigurgito anti-americano e anti-occidentale, persino in contrasto con le idee di quell’uomo che ancora oggi è rimpianto (e Dio solo sa quanto lo sia davvero!) dall’intero popolo di sinistra e che è Enrico Berlinguer.
Il più amato segretario del Partito Comunista, a dispetto di quanto sostenuto da quello sciagurato esponente pentastellato – Alessandro Di Battista – che ne ha persino infangato la memoria (salvo poi scusarsi a posteriori), sostenendo che il PCI di Berlinguer avesse appoggiato l’intervento sovietico in Afghanistan, si beccò la scomunica da Mosca proprio perché aveva osato lì dove nessun altro Partito Comunista in Europa aveva ancora fatto, favorendo il distacco dal PCUS con il famoso discorso sulla maggiore sicurezza sotto l’ombrello della Nato.
A volte si ha la sensazione che a sinistra si abbia una certa nostalgia per la guerra fredda, per l’Unione Sovietica, per la Corea del Nord, come se quei modelli siano stati perfetti, mondi vivibili e con benessere diffuso. Al più si preferisce una sorta di terza posizione, quasi come i paesi non allineati capeggiati dalla Jugoslavia di Tito. Per distinguersi.
Questa posizione della sinistra radicale, che tanti guai ha portato nel 2008 quando – con la crisi del governo Prodi portò inevitabilmente Veltroni a scegliere di andare da solo al voto, è una posizione francamente suicida e che non potrà mai divenire maggioritaria nel Paese e quindi pensare di essere parte integrante di un comune programma di governo col PD.
E anche se si volessero imbrogliare gli elettori e magari vincere la prossima competizione elettorale, in un’alleanza con il futuro PD di Renzi, cosa accadrà quando un ipotetico nuovo governo PD-SEL si troverà davanti non soltanto le vecchie missioni ma soprattutto quelle nuove che inevitabilmente ci saranno dato che il mondo è complicato anche quando noi non lo vorremmo tale?
Quale modello di difesa è possibile ipotizzare se una parte della sinistra considera le nostre Forze Armate quasi killer mandati dai governi per affamare e uccidere le popolazioni locali?
Se l’esponente grillina Corda ha pestato una merda con l’equiparazione del kamikaze di Nassiriya alle vittime dell’attentato, siamo proprio sicuri che in una certa sinistra non si faccia quasi altrettanto con questo ostracismo nei confronti delle Forze Armate italiane?
Ma poi di quale mondo hanno nostalgia? Di quello nordcoreano dove stanno per essere condannati a morte delle persone per il solo fatto di aver osato guardare la TV sudcoreana o di essere stati trovati in flagrante possesso della Bibbia?
Di quello cinese, soltanto perché c’è una falce e un martello in bella mostra dietro il banco di presidenza del PCC, nominalmente paese comunista ma quello dove le disuguaglianze sono molto più alte che nel mondo occidentale, dove i diritti umani vengono sistematicamente non rispettati, dove persino in famiglia lo Stato impone un solo figlio?
Di quello cubano castrista? Di quello iraniano antiamericano ma fondamentalista? Di quello venezuelano degli eredi di Chavez? Di quello argentino kirchnerista, che imbroglia sui numeri mentre la popolazione ricomincia a mettere sotto il materasso dollari, sterline ed euro, temendo di nuovo il peggio?
Qual è il modello di società che questa sinistra radicale disegna in opposizione al modello capitalistico europeo che abbiamo costruito faticosamente negli ultimi settanta anni?