La Repubblica fondata sull’elemosina
Nel primo vero fine settimana d’autunno, due proposte piombano sul dibattito politico destinate a rinfocolare le sempre più frequenti polemiche politiche.
La prima è quella presentata alla rete (dei propri iscritti) da parte del Movimento Cinque Stelle e subito demolita – con la calcolatrice in mano – dal vice ministro dell’Economia Stefano Fassina. La seconda è quella riportata in prima pagina dal Fatto Quotidiano oggi in edicola e che racconta di come il consulente economico di Matteo Renzi, insieme con tutto lo staff del futuro segretario PD, candidato premier e probabilmente futuro uomo della Provvidenza per il popolo italiano (povera Provvidenza, quanti ne ha dovuti consacrare!), hanno intenzione di tagliare le pensioni di reversibilità che nella quasi totalità dei casi sono erogate alle vedove.
Così mentre Beppe Grillo propone un reddito di cittadinanza pari a 600 euro mensili (si badi bene, reddito di cittadinanza, non reddito minimo garantito. La differenza è enorme e basta la lingua italiana per comprenderla!) senza nemmeno uno straccio di provvedimento atto a migliorare le condizioni del lavoro, ma soltanto all’integrazione del reddito mensile, Matteo Renzi in un’Italia dove la disoccupazione femminile arriva praticamente al 50% e molte delle donne anziane non hanno lavorato e quindi hanno come sostentamento soltanto la pensione di reversibilità del defunto marito, pensa di tagliare proprio quest’indennizzo.
C’è un filo comune fra i grillini movimentisti e i grillini fighetti attorno a Matteo Renzi ed è una sorta di considerare la leva economica per i più deboli come una specie di elemosina di stato, anziché pensare alla crescita sociale e ad ampliare i diritti.
La stortura del reddito di cittadinanza, a prescindere dalle valutazioni economiche e di sostenibilità finanziaria, oltre che sulla fattibilità tecnica (Fassina ha sottolineato come i dilettanti pentastellati confondano spese in conto capitale e spese correnti), non sta nell’importo di 600 euro ma il fatto che tale importo venga erogato soltanto perché si è cittadini. E anche se vivessimo in un eden, senza un’evasione fiscale che spacca l’economia in due come la mela di Platone e che consentirebbe a chi vive di redditi in nero di beccarsi pure il contributo statale alla faccia di chi invece le tasse le paga fino all’ultimo centesimo, il problema rimane a monte e riguarda la concezione – tipicamente di destra, conservatrice, liberista – di considerare il lavoro una concessione che viene dall’alto e non una conquista sociale e un diritto per ciascun cittadino. Nell’elemosina di stato, sia essa di 600, 700 o 1.000 euro c’è tutta l’arroganza di chi pensa che sia il denaro la fonte della soddisfazione di ciascuno e che la realizzazione personale, professionale e lavorativa, il rendersi soggetto attivo e non passivo della società, venga soltanto dopo.
Diverso sarebbe invece il discorso se cominciassimo a parlare di reddito minimo garantito per tutti, quella soglia invalicabile che viene ritenuta indispensabile per garantire a ciascun lavoratore una propria dignità professionale. La paga garantita, che esiste persino nel paese del mondo sviluppato dove il lavoro è meno regolamentato, gli Stati Uniti, che vale poco più di sette dollari l’ora e che l’Amministrazione Obama vuol portare vicino alla soglia psicologia dei dieci, nel nostro Paese è presente soltanto nei contratti collettivi di lavoro che ormai riguardano una minoranza di lavoratori dipendenti. Cospicua, ma pur sempre una minoranza. Se il Movimento Cinque Stelle avesse realmente a cuore il problema del lavoro, del precariato, non dovrebbe pensare a un reddito minimo di cittadinanza ma a una morsa che affronti il problema del disagio sociale da due lati: il primo è quello del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Da un punto di vista economico allargare a tutta la platea dei lavoratori una paga minima consentirebbe sia l’emersione di un po’ di nero o di sommerso, sia un primo passo verso la conquista sociale dei precari, che hanno praticamente zero diritti rispetto agli altri lavoratori contrattualmente garantiti.
Dall’altro dovrebbero pensare di incidere sulle pensioni minime per garantire anche ai pensionati una dignità di vecchiaia.
Ma ovviamente questi provvedimenti sarebbero più impegnativi sia da un punto di vista finanziario sia – soprattutto – dallo studio parlamentare per trovare le coperture giuste e soprattutto durevoli, cosa non proprio scontata. Se infatti – come millantano i pentastellati – vengono adoperate spese in conto capitale, per definizione una tantum (con ammortamento), come verranno finanziate dopo il periodo di ammortamento? Queste cose le capirebbe tranquillamente un bambino di quarta elementare: se non creo un risparmio continuo nel tempo non posso finanziare una spesa continua nel tempo. E sono certo che Grillo e i suoi la sappiano perfettamente questa differenza, ma la sparata la fanno soltanto per demagogia elettorale, alla stregua dell’impeachment di Giorgio Napolitano.
E veniamo a Matteo Renzi: nella sua spasmodica voglia di recuperare il famoso voto dei moderati (che però chi ha votato finora Berlusconi vorrei capire di quale moderazione sia portatore) e dei delusi del centrodestra, si è lanciato persino contro le pensioni di reversibilità. Come se il nostro Paese fosse la Svezia, la Norvegia, un paese dove l’occupazione femminile sia stata storicamente paritaria con quella maschile e quindi l’incidenza di una riduzione della reversibilità sarebbe sopportabile. Renzi e i suoi fanno finta di non vedere che la maggior parte delle donne over 70 (e che hanno quindi un’aspettativa di vita di oltre una decina di anni, secondo le statistiche che premiano le italiane con una longevità elevata) non hanno contributi sufficienti a garantirsi una vita dignitosa per gli anni che rimangono. Se poi aggiungiamo che siamo un paese con una disoccupazione femminile da far venire i brividi, sembra che il futuro Premier in pectore del centrosinistra si auguri che le nostre signore schiattino prima di noi maschietti quando saremo (se lo saremo) in grado di percepire la pensione.
Se è vero che le norme sulla reversibilità sono state nel passato oggetto di forti polemiche, specialmente dalla Lega, per l’abuso che si è fatto nei confronti di improvvisi matrimoni fra le badanti e gli anziani, ancora una volta prevale la classica scelta italica che anziché pensare di colpire gli abusi, si taglia completamente il problema all’origine.
Quale sarebbe quindi il risultato in una proiezione futura? Un’elemosina collettiva nei confronti delle vedove? Un darwinismo sociale per cui chi ce la fa ce la fa, le altre faranno bene a spararsi? Che Stato è uno che approva norme sul femminicidio e poi per un altro verso è attore di un femminicidio morale?
Se questa è la nuova politica, basata sulle boutade elettorali da un lato e su una revisione dei diritti sociali dall’altro, allora francamente preferisco la vecchia e dato che non posso essere accontentato perché indietro non si torna, quanto meno mi tengo alla larga sia dal Movimento Cinque Stelle che da questo Partito Democratico che ha in mente Matteo Renzi. Se questo è un partito che pensa di entrare nell’Internazionale Socialista, nel Partito Socialista Europeo, penso che il sindaco di Firenze dovrà ancora prendere qualche lezione. E poiché in Italia non si fida di nessuno forse è il caso che vada a studiare il prossimo anno a Strasburgo, magari vicino Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo e candidato socialista alla guida della Commissione europea che verrà fuori dopo le elezioni del prossimo anno.
Perché se questi sono i valori del partito che ha in mente Renzi allora onestamente quel partito non ha più nulla di sinistra. E questa è la ragione non soltanto perché non mi sono iscritto (e credo mai lo farò al PD) ma soprattutto perché non voterò alle primarie aperte di dicembre. Lo troverei persino scorretto partecipare all’elezione di un segretario di un partito che trovo ormai così distante da me.
p.s. Caso Giulia Ligresti: strano che due giornalisti sempre molto precisi come Marco Travaglio e Michele Santoro non abbiano chiesto al sindaco di Firenze per quale ragione sulla Cancellieri si sia espresso soltanto ex post e non ex ante. Non posso pensare non lo abbiano fatto perché sostenitori della stessa tesi di Renzi. Non sarebbe deontologicamente corretto e sia il vice direttore del Fatto che il conduttore di Servizio Pubblico sono due “giornalisti”, non due pennivendoli come la stragrande maggioranza di quelli che scrivono sui “giornaloni”.